«Benedetta, alzati. Dobbiamo parlare.»
Mia madre entrò con irruenza in camera facendomi rischiare un infarto. Mi alzai a sedere di scatto sul letto e controllai l'ora. Erano le quattro e mezza del mattino. Mugolai infastidita, mi lasciai cadere di nuovo sul materasso e mi girai dall'altra parte dando le spalle a quell'aguzzino del sonno ristoratore.
«Dopo.» biascicai
Mia madre mi scosse con vigore, impietosa e senza un minimo di tatto.
«Ora.»
Volevo urlare e forarle i timpani, ma non lo feci perché mi ricordai come per causare un grave danno all'udito non bastavano i pochi decibel che ero in grado di emettere con la mia voce. Mi tirai di nuovo su a sedere e abbandonai la testa contro la testata del letto, i capelli si attorcigliarono a mia insaputa intorno ai ghirigori veneziani così, quando provai ad alzarmi, lasciai lì una folta ciocca. Mugolai per il dolore e mi ressi la testa, premendo nel punto in cui mi erano stati strappati i capelli e maledicendo mia madre sia per avermi svegliato sia per non avermi concesso la possibilità di arredare la camera secondo i miei gusti.
«Ti aspettiamo giù in cucina.»
Cinque minuti e scendo.
Tentai di rubare qualche altro magico istante rigettandomi sul letto per l'ennesima volta, ma non ne ebbi la possibilità perché l'urlo di mia madre mi raggiunse dal piano di sotto.
«Non rimetterti a dormire come al solito.»
Era molto nervosa e mia madre non era mai così nervosa a meno che la faccenda non fosse grave. Mi balzò il cuore in petto, avevo il timore che mi stessero per dire che avevano trovato a mio padre una massa neoplastica ai polmoni, o che mia sorella non avesse fatto rientro a casa per un incidente avvenuto nella notte mentre era a divertirsi con i nostri cugini.
Quei pensieri furono sufficienti a farmi volare giù dalle scale senza neanche aver indossato le ciabatte e con la vista ancora sfocata dal nonno. Non appena raggiunsi la cucina mi coprii gli occhi per proteggerli dalla luce accecante del lampadario. Il sole non era ancora sorto visto che non erano nemmeno le cinque.
«Ti abbiamo svegliato ora perché dobbiamo parlare prima che tua sorella rientri a casa. Non deve sapere.» disse mia madre.
Il cuore mi salì in gola e, tremante, presi posto su una sedia del tavolo, di fronte ai miei genitori. Quella scena mi ricordava un po' la prova orale dell'esame di stato in quinto liceo quando, tutta timorosa dinanzi la commissione, esponevo paonazza la tesina sulla coca. Come diavolo mi era saltato in mente di portare come argomento d'esame la coca? Ancora più imbarazzante era stato ascoltare la domanda del presidente di commissione che provava a comprendere con eleganza se ne avessi mai fatto uso di cocaina. Inutili erano state tutte le mie spiegazioni sui primi usi della coca a scopo terapeutico o su come venisse inizialmente utilizzata nella produzione di Coca Cola, ai loro occhi ero apparsa come una drogata.
Mio padre si torturava le mani e mia madre aveva già fumato quattro sigarette; lo testimoniavano i quattro mozziconi di Marlboro nel posacenere, lo stesso che svuotava ogni sera prima di andare a dormire.
«Benedetta, abbiamo avuto un problema e... non sappiamo come dirtelo...» balbettò mio padre.
Mi stavo preparando psicologicamente a udire qualcosa come 'metastasi' o 'non c'è più nulla da fare'.
«Ho fatto un investimento sbagliato qualche mese fa e abbiamo perso quasi tutto il denaro che avevamo in banca.»
Spalancai la bocca. Mia madre si strinse nella vestaglia da notte e con austerità si accese un'altra sigaretta. Mossi le labbra come se fossi sul punto di dire qualcosa, ma mi anticipò lui.
«Siamo rimasti con mille euro.»
Stavo per cadere dalla sedia.
Mio padre si passò una mano nei capelli brizzolati e strinse gli occhi come se stesse soffrendo.
«Non posso più pagarti gli studi a Milano.»
Calò il silenzio. Venne interrotto dopo qualche istante dalla mia risata isterica.
«Cosa vuol dire che non puoi pagarmi più gli studi?» domandai cercando di nascondere il panico che stava prendendo il sopravvento.
Non parlò, abbassò il capo e tornò a torturarsi le mani, fu mia madre a intromettersi.
«Quello che hai sentito. Paghiamo sei mila euro di retta, senza considerare l'affitto, i libri, i viveri, qualche sfizio per te. Arriviamo a più di diecimila euro l'anno, comprenderai che con mille euro non possiamo andare lontano.»
Fu glaciale, ma i suoi occhi erano prossimi alle lacrime. Non riuscii a pensare a nulla. Posi solo una domanda a mio padre.
«Di che investimento si trattava?»
Alzò lo sguardo mortificato.
«Aspirapolveri.»
Bene bene, eccoci qui con i primi 4 capitoli e al primo, fondamentale, punto di svolta della storia! Spero che vi siano piaciuti almeno un pochino!Ho appena scoperto che da Wattpad sono sparite alcune mie storie, tra cui Ogni alba rimasta. Non temete, è dovuto a un problema di manutenzione del social e dovrebbe ricomparire prima o poi :)
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Camera vista Colosseo
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