(CREDITI A @haroldstouch )
Il pensiero che avrei visto Harry alla festa quella sera mi aveva dato le energie necessarie per superare la giornata. Passai la maggior parte del tempo a cercare di evitare Dan, e me la stavo cavando piuttosto bene finchè non era entrato nel deposito di cui mi ero servita come nascondiglio per l’intero pomeriggio. Mi trovavo nel retro; la luce in quella particolare fila di mensole sarebbe dovuta essere stata cambiata da circa un mese, il che significa che ero costretta a lavorare quasi al buio.
“Bo?” mi chiamò.
Il rumore dei passi sul pavimento piastrellato riecheggiò nello spazio circostante.
“Cavolo” mormorai, appoggiandomi a uno degli scaffali.
Il mio proposito di prudenza fu del tutto rovinato: inciampai in uno scatolone che avevo abbandonato distrattamente a terra poco prima. La rovinosa caduta di CD e cassette che si sparpagliarono sul pavimento freddo rivelò la mia presenza. Dan ben presto mi raggiunse, i capelli gli ricaddero sulla fronte mentre mi porgeva una mano. La accettai, impaziente di rialzarmi e togliermi la polvere dai vestiti. Rispose al mio pacato “grazie” con un cenno del capo; qualche secondo dopo mi allontanai. Sapevo di apparire maleducata, ma non avevo idea di cos’altro dire; non eravamo stati esattamente dell’umore adatto per parlarci negli ultimi tempi, specialmente dopo che mi aveva pugnalata alle spalle. Non avrebbe dovuto raccontare tutto a Harry, non in quel modo. Mi chinai nuovamente e iniziai a radunare gli oggetti che erano stati scaraventati giù dalle mensole, risistemandoli in delle pile. Mi stupii quando un altro paio di mani si unì alle mie. L’evidente contrazione delle sue labbra mi fece pensare che si stesse preparando a dare voce ai suoi pensieri.
“Mi dispiace, Bo” proruppe Dan. “So che non era mio diritto raccontare tutto, e mi sento davvero uno schifo. Ma ero solo preoccupato per te. Harry doveva sapere”.
La sua confessione improvvisa mi lasciò piuttosto sconcertata. Il mio silenzio allarmò Dan, che appoggiò a terra la cassetta che teneva in mano e si scivolò nella mia direzione, sedendosi accanto a me. Eravamo entrambi con la schiena appoggiata allo scaffale. Non mi sarei mai aspettata delle scuse; mi preoccupavo più per un eventuale litigio, che sorprendentemente non era arrivato. Non ero pronta.
“Se posso fare qualcosa per farmi perdonare basta chiedere” continuò Dan.
Appoggiai cautamente la mano sulla sua, che giaceva inerte sul suo ginocchio. Sperai che non avesse notato il mio timido rifiuto del suo tentativo di intrecciare le nostre dita. Il mio gesto doveva essere inteso come quello di una semplice amica.
“Ero abbastanza arrabbiata con te all’inizio” ammisi. “Ma capisco perché l’hai fatto, stavi solo cercando di tenermi al sicuro e lo apprezzo molto, Dan”.
L’azzurro dei suoi occhi sembrò illuminarsi, era sollevato che ciò che aveva fatto non avesse compromesso irrimediabilmente il nostro rapporto. Ritrassi la mano, appoggiandomela in grembo.
“Possiamo tornare come prima? Mi piace stare con te mentre lavoriamo” sorrise.
“Certo, ammesso che mi aiuti a sistemare tutto questo casino” replicai, alludendo con un gesto della mano al disordine intorno a noi.
“Ovvio” rise.
L’operazione fu molto più semplice con il suo aiuto; riposizionammo lo scatolone sullo scaffale e tornammo giù al negozio. Notai che l’atteggiamento di Dan era diventato più cauto, potevo percepire un cambiamento nel modo in cui si comportava intorno a me. Nonostante avessimo seppellito l’ascia di guerra c’era qualcosa in quella situazione che andava al di fuori della normalità. Forse si stava semplicemente rendendo conto di quanto io e Harry fossimo disposti a fare per far funzionare a dovere la nostra relazione.
“Farai qualcosa dopo il turno?” chiese Dan con nonchalance, sorridendo a un cliente mentre gli porgeva il resto e lo scontrino.
“Sì, andremo a una festa”.
Spinsi le buste di riserva nello scaffale sotto la cassa, scostandomi i capelli dal viso.
“Andremo?”.
Raccolsi alcuni ciuffi ribelli e me li sistemai sopra la spalla.
“Io e Harry, a quanto pare sarà in una casa da qualche parte in campagna”.
Rovistando nelle tasche trovai il tubetto di burrocacao che stavo cercando. Dopo aver tolto il tappo e aver ruotato leggermente la parte inferiore, feci scorrere lo stick sulle labbra. I miei occhi incontrarono quelli di Dan, e subito mi resi conto di come mi fissava, quasi ipnotizzato. Risistemai il tubetto, mettendolo a posto.
“Sarà divertente”.
Sorrise debolmente, la solita aura di felicità che lo circondava sembrò smorzarsi.
“Tu invece che farai?”.
Appoggiai le mani sul piano della cassa, cercando di sollevarmi per mettermi a sedere. Dire che Dan mi colse di sorpresa quando mi afferrò per la vita sarebbe un eufemismo. Sconcertata dall’azione inaspettata, sbattei la testa contro la sua spalla. Sobbalzai, massaggiandomi con le dita la zona dolorante.
“Tutto bene?”.
Aveva gli occhi sbarrati per l’apprensione; le sue mani aderivano ancora ai miei fianchi. Risi nervosamente, rassicurandolo più volte che era tutto a posto; solo allora si tirò indietro. Non c’era neanche il minimo paragone con il tocco di Harry; il suo era elettrizzante, mi faceva sentire le farfalle nello stomaco, mi riscaldava dall’interno. Ma con Dan non c’era alcuna scintilla.
“Penso che incontrerò qualche amico per trafficare un po’ sul campo da pallacanestro”.
“Non sapevo che giocassi”.
“Già, non sono un fenomeno, ma mi diverto tantissimo”.
L’esaltazione quasi infantile che stava manifestando mi fece sorridere.
“Tu sai giocare?”.
“Oh, non proprio” ammisi.
A scuola era obbligatorio prendere parte ai giochi con la palla, ma non sono mai stata molto coordinata. Passavo la maggior parte del tempo cadendo a terra. Ma se mi si dava qualcosa per colpire quella palla, una racchetta o una mazza, allora sì che ero brava.
“Forse potrei insegnartelo io, ti farei fare qualche canestro” mi prese in giro.
“Non penso che la pallacanestro sia il mio forte” scherzai, dondolando le gambe.
Il mio sorriso svanì mentre sollevavo il capo; Dan si era avvicinato pericolosamente, con un sorriso appassionato sulle labbra. Cercai di eludere il suo sguardo intenso, mentre con l’indice mi scostava delle ciocche di capelli dagli occhi.
“Potremmo lavorarci su” mormorò sommessamente.
***
Dan aveva insistito per aspettare insieme a me fino all’arrivo del mio “accompagnatore”. Rimanemmo a chiacchierare fuori dal negozio per circa dieci minuti prima che la familiare auto nera si introducesse nel parcheggio, arrestandosi in fondo, dove c’era ancora qualche posto libero.
“Harry è qui” informai Dan.
“Oh, ok. Beh, ci vediamo presto, Bo” sorrise, piegandosi lievemente per avvolgermi in un abbraccio fin troppo amichevole.
Spalancai gli occhi per la preoccupazione quando udii lo schianto di uno sportello che sbatteva; diedi una rapida occhiata da sopra la sua spalla e vidi Harry che si precipitava verso di noi risoluto e irruente.
“Buon fine settimana” risposi, cercando di accelerare i convenevoli.
Fortunatamente Dan riuscì a girare l’angolo prima che il ragazzo furioso ci raggiungesse.
“Perché l’ha fatto?” chiese Harry, rivolgendosi a me.
“Sapeva che ero qui, perché l’ha fatto?”.
La sua domanda retorica rimase senza risposta mentre tentavo disperatamente di trattenerlo. Lo spinsi per le spalle, cercando di farlo tornare indietro nella direzione dalla quale era appena venuto. A volte la forza di Harry era davvero una spina nel fianco, non riuscivo minimamente a reggere il confronto.
“Harry, per favore, vai in macchina e basta”.
Harry manifestò chiaramente la sua riluttanza e la sua testardaggine mentre praticamente lo trascinavo al sicuro all’interno del veicolo. Si sottrasse alla mia presa, entrando in macchina con fare scontroso.
“Siete di nuovo amici, adesso?”.
Mi sollevai un po’ sul sedile, voltandomi verso di lui. L’aggrottarsi delle sue sopracciglia fu un chiaro sintomo della sua rabbia crescente, la piega tra le due divenne sempre più sporgente. Tutto ciò che volevo fare era cancellare tutto con un bacio.
“Sì, abbiamo parlato oggi”.
“Non ci ha provato per niente, vero?” disse, ritraendosi leggermente.
“No” scossi la testa. “E posso essere amica di chi voglio” risposi tagliente, stufa dei continui litigi.
Harry strizzò gli occhi, frustrato, le sue mani stringevano spasmodicamente il volante, le nocche erano quasi bianche.
“Non ti sto dicendo che non puoi, ovviamente non ti proibisco di fare nulla, sarebbe da pazzi” replicò. “Ma dai, Bo. È un coglione del cazzo”.
La sua aggressività non era rivolta a me, ma a Dan. Harry non mi spaventava. Sapevo come gestire quel genere di capricci.
“Harry!”.
“Lo è davvero!”.
Le nostre grida avevano attirato l’attenzione dei passanti, che uscivano dai negozi dirigendosi verso le proprie auto. Non c’era bisogno che fossero messi al corrente delle nostre discussioni.
“Devi calmarti adesso, o non andrò da nessuna parte con te” lo rimproverai.
Un misto di amarezza e risentimento si impossessò dei lineamenti di Harry, che grugnì infastidito e mi diede le spalle. Spalancò la portiera, poggiando i piedi sull’asfalto. La macchina ebbe uno scossone per lo schianto improvviso; rimasi da sola in silenzio. Lo osservai attentamente dal finestrino: rimase con la schiena appoggiata allo sportello mentre si chinava, appoggiando le mani sulle ginocchia. Prese un profondo respiro, lottando disperatamente per ritrovare l’equilibrio. Improvvisamente si allontanò dalla macchina; quasi mi precipitai fuori dall’abitacolo, avevo paura che potesse andare a cercare Dan. Ma la mia preoccupazione era immotivata: si diresse nella direzione opposta, accostandosi al muro. Improvvisamente ogni dubbio svanì dalla mia mente, aprii la portiera e lo raggiunsi. Era seduto sul muretto, con le mani appoggiate sui mattoni freddi. Si curvò ancora una volta su se stesso, con la testa china. Non senza qualche sforzo, mi sollevai e presi posto accanto a lui. Rimasi in silenzio per qualche minuto, attendendo che il suo respiro si stabilizzasse; poi di sollevai una mano e intrecciai le dita tra i suoi capelli.
“Va tutto bene?” chiesi con circospezione.
“Benissimo” brontolò.
Era visibilmente più rilassato, si abbandonò al mio tocco delicato. Mi meravigliò come un semplice gesto potesse dare un simile conforto, uno stato di tranquillità stava prendendo il sopravvento: i suoi muscoli si rilassarono quasi del tutto.
“Va tutto bene”.
Si erse in tutta la sua altezza, la mia mano ricadde sul suo petto. Aveva ancora le sopracciglia aggrottate, ma le labbra non erano più serrate: erano invece increspate in una linea morbida, apparentemente stava cercando le parole giuste.
“Non intendevo…”.
“Sono felice che tu ti sia calmato” lo interruppi.
Il senso di colpa lo consumava, si era pentito di aver alzato la voce, aggredendomi. Ma avrei preferito di gran lunga che si allontanasse piuttosto che rimanesse lì a ribollire di rabbia. Qualche volta l’unica cosa giusta da fare è prendere le distanze dalla situazione, e apparentemente lui stava imparando a farlo.
“Va tutto bene”.
Gli diedi un bacio sulla guancia, cercando di tranquillizzarlo.
“Abbiamo una festa a cui andare, vero?”.
Sorrise esitante, le sue amate fossette fecero una gradita comparsa. Harry dimostrò le sue abilità da pugile, mandando in fumo con una rapida schivata il mio tentativo di dargli un buffetto su quei lineamenti adorabili. Non che avessi intenzione di sfidarlo, sarebbe sempre stato troppo veloce per me.
“Dovremmo cominciare a prepararci” sorrise, con un drastico cambiamento d’umore.
Mi appoggiai al suo avambraccio, saltando giù dal muretto e intrecciando la mia mano con la sua mentre percorrevamo la breve distanza che ci separava dalla macchina. Questa volta mi aiutò a salire con le sue mani carezzevoli, non senza avermi prima assestato una pacca sulla schiena; gli intimai non proprio educatamente di levarsi di torno. Al nostro arrivo a casa l’atmosfera era decisamente più felice, Harry si era già cambiato e mi stava aspettando in camera da letto mentre provavo in bagno diversi abbinamenti. Prima di uscire mi controllai allo specchio, sistemando qualche ciocca di capelli che era sfuggita alla coda. Sfiorai l’orlo del mio nuovo top, la graziosa scollatura era un po’ più audace di quelle che usavo abitualmente. Le mie amiche avevano dato la loro approvazione alla mia scelta, insieme agli shorts di jeans. Avevo quasi finito di truccarmi, controllai che il mascara fosse resistente all’acqua prima di applicarlo sulle ciglia.
“Forza, Bo” mi chiamò Harry.
“Un momento”.
Dopo un ultimo rapido sguardo allo specchio, scivolai fuori dal bagno e tornai nella mia stanza. Passai proprio davanti a Harry, in cerca della mia borsa. Anche di spalle potevo percepire il suo sguardo ardente su di me. Un verso acuto mi sfuggì dalle labbra quando le sue dita sottili tirarono la parte bassa degli shorts.
“Cosa stai facendo?” chiesi girandomi di scatto per guardarlo in viso.
I suoi ricci indisciplinati erano ora domati da un cappellino con la visiera, una maglietta nera aderente gli fasciava il torso. Indossava anche una camicia a quadri scura, dei jeans e un nuovo paio di Nike grigie.
“Sto cercando di trovare il resto di questi shorts”.
Tirò di nuovo con delicatezza. Sbuffai infastidita, allontanandogli le mani.
“Vanno bene”.
La mia rassicurazione non riuscì a scacciare il cipiglio di Harry. Cominciò a giocherellare con la mia coda, facendo scorrere i capelli tra le sue dita. Lasciai cadere la testa in avanti, abbandonandola sulla sua spalla e ascoltando il battito del suo cuore. Mi faceva sentire assopita, per qualche motivo.
“Li hai scelti tu?”.
Le sue braccia erano ora strette intorno al mio corpo, confortevoli e calde.
“No, Hayley”.
“Mmh” mormorò lui.
Combattei il mio desiderio, ritraendomi. Harry continuò ad abbracciarmi, tenendomi per i gomiti finchè non sollevai le braccia per circondargli il collo. Mi alzai sulle punte dei piedi.
“Non ti piacciono?” chiesi un po’ contrariata.
Nonostante il mio sforzo non ero comunque in grado di eguagliare la sua altezza, e dall’appena percepibile smorfia sulle sue labbra capii che Harry l’aveva notato. Ovvio che l’aveva notato.
“Li adoro, e sono certo che lo farà anche la maggior parte dei ragazzi alla festa”.
“Ma non mi importa di quello che pensano gli altri”.
Un bacio seguì le mie parole.
“Mi importa solo di te”.
Suscitai le sue risate dandogli un buffetto sul naso, come a confermare la mia affermazione. Tornata con le piante dei piedi a toccare il pavimento mi diressi verso l’armadio per trovare un cardigan che si abbinasse al resto del mio abbigliamento.
“Che scarpe ti metterai?”.
“Non lo so, potrei andare a piedi scalzi” lo informai, arricciando per un momento le dita.
Indossavo il mio colore preferito di smalto, uno scintillante blu marino. Sembrava che piacesse anche a Harry.
“Sei davvero divertente” mi prese in giro.
“Sono esilarante” mi voltai, con un cardigan violetto in mano.
“Sì, sì, forza” mi incoraggiò Harry, cercando di non ridere.
Lo guardai mentre estraeva attentamente un paio di sandali dal disordine sotto il mio letto, porgendomeli mentre si rimetteva in piedi. Sembravano più piccoli del solito nelle sue mani.
“Non voglio indossare quelli” mormorai.
“Scegli qualcos’altro, allora”.
Nonostante quello che Harry puntualmente era costretto a sopportare con i miei continui cambi di vestiti e le mie perdite di tempo, rimaneva in qualche modo paziente con me quando ci preparavamo per uscire. Non perdeva mai la calma, spesso si divertiva a giocherellare con i braccialetti che prendeva dal mio comodino comodamente sdraiato sul mio letto. Sembrava felice semplicemente standomi a guardare. Questa routine era probabilmente qualcosa di nuovo per lui, non aveva mai dovuto stare ad aspettare una ragazza. Specialmente una ragazza indecisa.
“Le mie Vans sono ancora a casa tua?”.
“No, penso che le abbiamo riportate indietro” constatò Harry, esaminando la stanza alla ricerca delle scarpe.
Alzandosi dal letto, cominciò a rovistare nella borsa che normalmente portavo da lui quando rimanevo per la notte.
“Aha, eccone una!” esclamai, sollevando la scarpa e cercando di non inciampare in una pila di vestiti.
“Ecco l’altra”.
Harry si era già inginocchiato davanti a me; le mie gambe penzolavano dal letto.
“Puoi metterle, per favore?” sorrisi speranzosa, presumendo che si sarebbe rifiutato di farlo, mettendosi a ridere.
“Non penso che mi stiano” Harry guardò pensieroso la scarpa con i lacci che teneva tra le mani.
“Intendevo a me!”.
Gli appoggiai un piede in grembo, sghignazzando. La scarpa destra scivolò con facilità; la lingua di Harry faceva capolino dalle sue labbra in una smorfia di concentrazione mentre faceva il annodava i lacci. Appoggiai l’altro piede sulla coscia, poi lo sollevai per aiutarlo a infilare l’altra scarpa.
“Ehi” mi ammonì Harry, mentre gli prendevo il cappello.
Lo indossai, con la visiera all’indietro come lo teneva lui. Non riuscii a non ridere alla vista dei capelli arruffati di Harry.
“Ow, è troppo stretto”.
Certe volte ci andava davvero giù pesante. Allentò leggermente i lacci, rifece il nodo e lo strinse nuovamente.
“Come va adesso?”.
“Bene, grazie” risposi con un sorriso, ammirando la sua opera.
Si alzò in piedi, afferrandomi per le caviglie opponendosi al mio inutile tentativo di tenerlo a distanza.
“Quello è mio” disse, riferendosi al cappello; si allungò per cercare di riappropriarsene.
“Possiamo condividerlo” proposi.
“No”.
La sua rapida risposta fu seguita da una serie baci giocosi sulla mia gamba nuda che teneva ancora ferma per la caviglia. Subito capii che il gesto era solo una distrazione, uno stratagemma per distogliere la mia attenzione da lui e rubare il cappello.
“Andiamo!”
***
Sentii una sensazione di felicità alla bocca dello stomaco mentre Harry si affacciava all’interno dell’auto dal finestrino e mi dava un buffetto sulla guancia. Si allontanò con un ghigno, afferrando la pompa di benzina e introducendola nell’apposito rubinetto. Appoggiai il mento sulla mano, sostenendomi sul gomito mentre lo osservavo fare il pieno.
“Ci saranno molte persone?” chiesi, affacciandomi.
“Sì, probabilmente.
“Hayley ha una casa piuttosto grande”.
“È casa sua o dei suoi genitori?”.
“Di suo zio, ma lui non c’è mai, è questo il motivo per cui lei sta in giro con i suoi amici per la maggior parte del tempo”.
Riflettei sull’informazione per qualche istante. Harry guardava i numeri che si succedevano sullo schermo, bloccando il tutto quando raggiunse la quantità desiderata. Soddisfatto della sua opera, rimise a posto la pompa.
“È un po’ triste” dissi solennemente.
“Cosa?” chiese, frugando nelle tasche in cerca del suo portafogli.
“Che lei in realtà non ha nessuno”.
“Lei ha noi e tutti gli altri” replicò Harry con un’alzata di spalle.
“Vuoi qualcosa dal bar?”.
Fece un cenno con la testa in direzione del negozietto annesso alla piccola stazione di benzina, aggiustandosi il cappello mentre attendeva la mia risposta.
“Vengo con te” dissi, abbassando la maniglia della portiera.
“Non ce n’è bisogno, Bo. Vuoi qualcosa da bere?”.
Mi afferrò la mano, aiutandomi a poggiare i piedi sull’asfalto. Mi scontrai con lui mentre sbattevo la portiera un po’ troppo forte. Sapevo che Harry non aveva per niente approvato il mio gesto. I maschi e le loro macchine. Riuscii a farmi perdonare con una semplice scusa.
“Voglio curiosare tra i dolci” lo informai, facendomi strada verso l’entrata.
“Certo che lo vuoi” mormorò divertito alle mie spalle.
“Ti ho sentito”.
Il negozio era piccolo, vi erano alcuni piccoli frigoriferi sul retro che contenevano le bevande. I prodotti esposti consistevano più che altro in cibi saturi di zucchero, pacchetti di patatine e una nutrita scorta di giornali porno; apparentemente tutto ciò che sarebbe servito in un lungo viaggio in macchina. Rabbrividii alla strizzata d’occhio che mi venne indirizzata: il tizio accanto a me sembrava un po’ più grande di Harry, ma non aveva nemmeno la metà del suo fascino. I capelli biondi erano tirati indietro disordinatamente a scoprire gli occhi marroni, una pancia tonda sporgeva da sotto la maglietta. Ed era quasi come se volesse che il mio sguardo cadesse sulla rivista che reggeva tra le mani, con una bruna in copertina che metteva in mostra tutta la “mercanzia”. Un braccio si avvolse intorno alla mia vita e mi allontanò, Harry si mise tra di noi.
“Levati dai piedi” gli ordinò rudemente.
Decisi di non prestare attenzione alla situazione, continuando a guardarmi intorno distrattamente alla ricerca del cioccolato.
“Hai scelto qualcosa?”.
Harry era tornato e quel ragazzo ripugnante non c’era più. Appoggiai delicatamente la fronte al suo braccio, stringendogli la mano. Lo prese come un grazie, ricambiando la lieve stretta delle mie dita.
“Umm” mi spostai in avanti, separandomi da lui e afferrando un oggetto in esposizione.
“M&Ms?” sorrisi speranzosa, tenendo una confezione davanti a me.
Harry arricciò il naso alla mia proposta, allontanando la mia mano. Tenni ancora il pacchetto tra le dita, perplessa per il suo rifiuto.
“Non mi piacciono quelli con le arachidi”.
Lo osservai mentre continuava ad esaminare i dolci in esposizione. Il mio braccio scese lentamente giù, mi sentii sconfitta; il contenuto della confezione fece un lieve rumore quando colpì la mia gamba.
“Cosa? Perché no?”.
Non avevo intenzione che il mio tono suonasse così ferito. Perché stavo diventando così drammatica solo per del cioccolato? O, domanda più importante, perché non gli piacevano le arachidi?
“Non mi piacciono, preferisco quelli al cioccolato” ammise Harry, sfregandosi le mani sulle tasche dei jeans e facendo un passo verso destra, cercando di evitare il mio sguardo inquisitorio.
Lo seguii, comprimendomi nello spazio tra il suo corpo e l’espositore, determinata nella mia scelta.
“Ma se non vuoi le arachidi potresti semplicemente prendere degli Smarties!” gli feci notare esasperata.
“Vada per gli Smarties allora” il suo viso si accese di esaltazione.
“Nooo, non era quello che intendevo”.
Né io né Harry avevamo previsto che ci sarebbe voluto così tanto tempo per scegliere qualcosa. Avevamo trascorso sette minuti abbondanti vagliando le diverse opzioni e non avevamo fatto ancora alcun progresso.
“Che ne dici se prendiamo quello che vuoi tu, io mangio il cioccolato e tu ti prendi le arachidi?”.
Sorrise, come se fosse l’idea del secolo. Così spensierato e… felice, come non l’avevo mai visto prima, quando i suoi occhi ardevano d’ira prima che si avvicinasse e colpisse il suo obiettivo .
“Quindi in pratica secondo questo accordo tutto quello che ottengo sono arachidi che sono già state nella tua bocca?” conclusi disgustata.
“Hai detto che ti piacciono le arachidi”.
“Non quelle ricoperte di saliva, Harry” scossi la testa.
“La nostra saliva viene a contatto continuamente…”.
Lo bloccai con un rapido schiaffo sul braccio, lui protestò scherzosamente.
“Va bene, mi arrendo, prendiamo quelli con le arachidi”.
“Musica per le mie orecchie” sorrisi.
Durante i nostri dissidi a quanto pare c’era stata una corsa generale per la benzina, che ci aveva relegati alla fine della lunga coda. Harry si impossessò del nostro cioccolato mentre lo prendevo per mano.
“Quando esattamente avevi intenzione di dirmi che la festa sarà in un giardino… con una piscina?”.
Decisi di metterlo alla prova. Il suo corpo si irrigidì istantaneamente. Lo sapeva.
“Te l’avevo accennato” disse Harry, trovando difficoltà nel guardarmi negli occhi.
In quel momento divenne improvvisamente assorto nell’esaminare il retro della confezione degli M&Ms, facendo scorrere l’indice lungo la tabella nutrizionale. Ho sempre pensato che fosse totalmente inutile contare i grassi o le calorie, appena finito di leggere ti sarebbe passata anche la voglia di mangiare.
“No, non l’hai fatto” replicai.
“Oh, beh, Hayley mi ha chiamato tardi”.
“Quando?”.
“Beh, penso che tu fossi in bagno”.
Il suo debole alibi reggeva sempre di meno, diventando sempre meno credibile. Non fu abbastanza veloce per impedirmi di alzare la sua maglietta nera. Misi in mostra la sua pancia abbronzata, ma non era quello che mi interessava in quel momento. Harry protestò veementemente, chiamandomi per nome. Le mie dita afferrarono rapidamente la parte anteriore dei suoi jeans aderenti; li abbassai il necessario perché mi accorgessi che non stava indossando l’intimo.
“Hai il costume addosso. Se Hayley ti avesse chiamato mentre eri a casa mia non avresti avuto il tempo di cambiarti”.
Lo lasciai, il tessuto tornò a coprire la pancia di Harry, il che mi lasciò un po’ insoddisfatta.
“Coincidenza?” provò a giustificarsi, sorridendo come un bambino colpevole.
“Cazzate”.
“Non sei molto brava a nuotare”.
La sua alzata di spalle mi infastidì; si abbassò a raccattare le confezioni di cioccolato che gli erano cadute durante l’accesa discussione. Era una cosa un po’ stupida, ma mi faceva sentire in imbarazzo il fatto che mettesse in evidenza una delle mie debolezze.
“Questo non significa che io non voglia nuotare”.
Mi sorprese il suo scatto improvviso, si tirò su per guardarmi negli occhi.
“Beh, ad ogni modo pensavo che avresti voluto guardare me bagnarmi e nuotare un po’ in giro” mi fece l’occhiolino.
“Per quanto mi piaccia l’idea, entrerò in piscina anch’io”.
“Non puoi” scattò. “Non hai il costume e roba varia”.
Fu allora che compresi il suo piano: non aveva intenzione di informarmi della piscina perché non voleva che mi spogliassi davanti a tutti. Non riuscii a non ridere mentre mi abbassavo leggermente il top per rivelare il tessuto del bikini verde che in quel momento mi copriva il petto.
“Lo sapevi già?” chiese Harry pacato, chinando la testa.
“Sì, Hayley me l’ha detto mentre eravamo a fare shopping”.
Lo tirai ancora un po’ più giù, a beneficio esclusivo dei suoi occhi.
“È un po’ piccolo, non credi?”.
“Scusa?” inarcai le sopracciglia.
“Se salti su e giù ti uscirà tutto fuori” cercò di spiegare, gesticolando verso il mio petto coperto dal bikini.
La sua mano si ritrasse, mentre mi guardava come ipnotizzato. Se fosse stato per Harry probabilmente avrei dovuto indossare maglioni giganti e jeans per tutto l’anno. Decisi di andare fino in fondo.
“Intendi in questo modo?” chiesi, prima di iniziare a saltare su e giù sul posto davanti a lui.
Gli occhi di Harry si spalancarono mentre seguiva i miei movimenti, o per meglio dire il movimento del mio seno.
“D’accordo, d’accordo, ho capito” si arrese, disperato, afferrandomi per le spalle e bloccandomi mentre ridevo incontrollabilmente.