Chapter Twenty-One

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Gli occhi scuri della ragazza si posano su di me ed è strano, ma sembra che una strana luce li trapassi. Questa però svanisce prima ancora che io possa avere la certezza di averla realmente vista.

La sua pelle quasi pallida stona con il suo look, mentre le labbra piene e rosate non sono messe in risalto da nessun tipo di rossetto. Ha soltanto una pesante linea di eyeliner che le decora gli occhi, così da farla sembrare ancora più emo di quanto già non sembri.

Cerco di non far caso a lei e torno quindi a soffermarmi su Luke, ancora incredulo davanti alla scena che si è ritrovato davanti. Non ha più gli stessi abiti di questa mattina, quindi immagino che alla fine non sia svenuto per ore a terra come avevo immaginato.

Inoltre è messo più in tiro del solito: ammetto che la sua giacchetta di pelle - evito di commentarne il colore, ormai credo sia sottinteso - gli sta veramente bene come tocco in più al suo monotono modo di vestire. E quello che ha messo in testa è gel? Perché ha deciso di conciarsi così?

L'idea che lo abbia fatto per la ragazza che ha al fianco non è molto sensata, lei in confronto è vestita come una barbona - letteralmente. Non capisco, ma evito di farmi troppe paranoie. In fondo non mi interessa più di tanto.

«Finalmente ti sei fatto vivo. Ma dove diavolo eri?», spalanco le braccia, vedendo il lampione a due gambe puntare ora lo sguardo su di me. È ancora tutto in silenzio, non si sente nessuno fiatare e lui sembra arrossire davanti a tutti gli sguardi che gli sono puntati contro. La tipa al suo fianco, invece, sembra non badare alle attenzioni che ha su di sè, e pare guardare con aria incuriosita l'intera mensa, quasi fosse la prima volta per lei all'interno di questa sala.

In effetti è davvero strana, a partire dall'abbigliamento che sfoggia: un semplice pantalone da tuta forse fin troppo largo ed una maglia di cotone che è molto probabilmente di una taglia più grande della sua. Beh, d'altronde, non si può pretendere che tutti sappiano vestirsi in modo decente. Che pena.

«Io...Uhm, possiamo parlarne fuori da qua? Ci stanno guardando tutti...», mi domanda sottovoce Luke, facendo un passo nella mia direzione, quasi non volesse farsi nè sentire nè vedere. Mi guardo intorno, notando ancora tutti intenti a rivolgerci occhiate, escluso l'hippy ancora chinato a terra, piangente e sofferente con la camicia di prima stretta al petto. Inutile dire che la rabbia prende nuovamente il sopravvento. Diamine, ma cosa hanno le persone qui che non funziona?

«Cosa avete ancora da guardare? Lo spettacolino è finito, tornate a mangiare quella merda rossa e a farvi gli affari vostri. E lei, cuoca, non mi fissi in quel modo! Lo sa anche lei che quella poltiglia fa davvero schi-Hey! Ma che fai?», senza che possa dire altro, la mano di Luke mi afferra per il polso e mi trascina con sé fuori dalle porte della mensa, spingendomi verso quelli che riconosco essere i bagni adiacenti alla mensa. Cerco di strattonarmi e bloccare il moto affrettato del ragazzo, non riuscendoci però - come ogni santa volta. Non riesco nemmeno a protestare che lui mi fa entrare subito dopo nei bagni femminili, per poi lasciarmi finalmente stare.

Sto per aprire bocca per insultarlo, ma lui mi precede, lanciandomi un'occhiataccia. «Aspettami qui e dannazione, chiudi quella bocca, per piacere. Sei tutta fuori.», gli occhi di Luke paiono scurirsi mentre, alterato, si richiude dietro la porta, lasciandomi sola in uno stupido bagno scolastico con chissà quanti germi e virus.

Il mio occhio destro scatta. Ma come cazzo si permette? E chi si crede di essere per ordinarmi di aspettarlo e di non parlare? Giuro che adesso mi sente anche lui, oggi non ne ho per nessuno.

Mi avvicino all'istante alla maniglia, pronta a poggiarvici sopra la mano, quando la voce appena ovattata e non troppo lontana di Luke oltre la porta chiusa mi fa esitare.

LOST SOULS // Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora