Chapter Fourty-Six

188 15 16
                                    

Un gelo improvviso mi paralizza all'istante all'udire le parole di Calum, impossibilitandomi perfino a respirare. Rimango semplicemente ferma, con gli occhi increduli fissi nei suoi, ora intenti a dedicare la loro attenzione all'anello che ancora maneggia con le dita affusolate.

«È morta pochi mesi prima del mio diciottesimo compleanno.», rivela poco dopo, mantenendo il capo chino. La sua voce, nonostante il contenuto delle sue parole, è calma. «Stava tornando dall'università in pullman, ma l'autista ha avuto un colpo di sonno e il bus è andato fuori strada.», Calum si inumidisce le labbra, ora private quasi della forza che permetteva loro di sollevarsi. Ora ricadute giù, insieme alle copiose lacrime che riversano lungo il suo volto. Ma lui sembra non smuoversi dalla sua posizione, immobile, senza nemmeno singhiozzare. Anche la sua voce non trema.

E percepisco una morsa sempre più stretta stritolarmi il petto e il cuore. Questo procede così velocemente, adesso, che non riesco nemmeno a contarne i battiti.

«Sai, è stupido.», la sua voce mi richiama, poco dopo. «Quel giorno era stupido. Non era diverso dagli altri. Era esattamente uguale. Era un giorno normale. Siamo abituati a pensare che la morte sia qualcosa di eccezionale, ma in realtà è la cosa più stupida e normale che possa esserci.», deglutisco a vuoto all'udire le sue parole. Sono così vere, e l'ho sperimentato così bene.

In un battito di palpebre mi sembra quasi di tornare a quel giorno. Un giorno normale. Uno qualunque. Uno che era iniziato come mille altri e che ero pronta a giurare sarebbe finito nello stesso modo.

Eppure non è finito come tutti gli altri.

Quando ci adattiamo alla nostra routine, quando pensiamo che ogni cosa rimarrà uguale al giorno precedente, quando non riusciamo a distinguere un mattino da un altro; non facciamo altro che illuderci di essere al sicuro, protetti dalla nostra monotonia. Non facciamo che pensare che la morte sia qualcosa che non è compreso in questo continuo circolo vizioso. Qualcosa che non ci appartiene.

Ma seppur invisibile ed imprevedibile, è lì. Ci sarà sempre, in quell'angolo della cucina, in quel vialetto, su quelle strisce pedonali, su quel pullman, su quell'auto, in quell'ufficio, in quella palestra, in quella stanza, in quella casa. È lì, e neanche la monotonia di ogni giorno potrà farla smuovere.

Ferma, in attesa. Un po' come Calum adesso, ancora nella sua posizione originaria, non intenzionato a voler smuovere neppure un singolo muscolo.

È fermo, come lo ero anche io ogni sera, distesa nel mio letto con lo sguardo fisso al soffitto. Non c'era nessuna forza che animasse il mio corpo. Non riuscivo a muovermi, così come non sono mai stata capace di farlo per poter andare aventi dopo quel giorno.

Immobile. Ancora lì, ferma, incapace di voltare pagina. Guardare Calum adesso è quasi come rivedere me stessa.

Non mi sono mai smossa davvero da quel giorno.

E mentre abbasso il mio sguardo dal suo volto senza vitalità, l'unica cosa che riesco a fare è dedicargli il mio silenzio.

Perché ho pianto anche io, come lui, così tante volte. Senza disperazione, solo rassegnazione. E l'unica cosa che avrei voluto era qualcuno che stesse in silenzio ad ascoltare. Non qualcuno che provasse pena o che cercasse di farmi stare meglio, che mi asciugasse le lacrime o mi facesse sorridere. Non qualcuno che mi ignorasse o fingesse di consolarmi. Semplicemente, silenzio.

Percepisco i miei stessi occhi bruciare. Non c'è mai stato nessuno disposto a rimanere in silenzio per me e con me.

Tutti volevano farsi sentire da me. Tutti volevano dirmi cosa fare. Tutti volevano zittire il mio rumore per dar voce al loro.

LOST SOULS // Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora