Noi.

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Generazione di menti complesse.
Vittime di aspettative inconciliabili.
Carnefici del romanticismo nel suo gusto più antico.
Al passo coi tempi ma indietro quando si tratta di cuore.
Ora dedichiamo i post sui social ma sotto casa non ci veniamo, perché "se mi vuole mi cerca".
Il "mi piace" è la nuova forma di corteggiamento. Facebook o Instagram i nostri bar di appuntamento.
Sì, avremmo innegabilmente perso degli aspetti della gioventù passata eppure siamo ciò che siamo anche in virtù di questi tempi.
Tempi pericolosi nei quali noi stessi ci sentiamo riflessa addosso tanta incertezza.
Questa sensazione alberga nei nostri cuori ogni volta che tentiamo di aprirlo a qualcuno.
Siamo il prodotto di un meccanismo strano. Eppure, nonostante ciò, sappiamo tramutare il dolore in canzoni, la sconfitta in voglia di correre sempre di più, la solitudine nel miglior alleato per raggiungere la nostra felicità.
Eppure siamo ancora qua a emozionarci, seppur in modalità diverse.
Il nostro problema è questo: l'amore.
Tutti parliamo d'amore però molti di noi ancora devono conoscerlo quello vero.
Pensiamo di capirlo ma in realtà è lui che studia noi. È lui che ci porta a far qualcosa, a rischiare di farci male ancora.
Forse dovremmo avere il rispetto che nel passato ai sentimenti si dava, averne più cura.
Tutti parliamo d'amore come se fossimo i nuovi poeti del sentimento moderno.
Eppure un po' ci sentiamo come i nuovi artisti maledetti, quelli che di notte dipingono muri di stazioni, palazzi e serrande e di giorno si tengono dentro i pensieri più indescrivibili, come se stomaco e cervello venissero stretti da spire di serpenti.
Le cose cambieranno quando saremo i primi a desiderarlo; fino a che ci starà bene non potremo che accontentarci.

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