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La mattina seguente, ancora scossa dalle svariate figure di merda e gli più che inaspettati incontri, mi svegliai di buon'ora per via del rientro ,piuttosto sbronzo alle sei e mezza circa, di mia sorella, che alle sette e trenta ancora girava per casa canticchiando stornelli e dicendo cose senza senso sotto gli occhi vigili dei miei genitori.

Se solo fossi stata io, mi avrebbero come minimo diseredato e disconosciuto. Tutto questo perché non ero lei.

Ero già stretta tra le pantacalze multicolore, con la mia solita maglietta grande circa quattro volte la mia misura e le mie veneratissime Vans nere; raggruppai i capelli in una coda alta, ma, ciò nonostante, ricadevano ancora sulla schiena e pungendomi il collo.

Mi controllai allo specchio, stringendomi nella giacca di pelle della biondina della camera di fronte, troppo ubriaca per accorgersi che fosse sua; cominciai a fare smorfie buffe, ridendo di me stessa e non capendo il perché non avevo nessuno con cui farle e prendermi in giro.

D'un tratto quella ragazza, che, a quanto mi pareva, solo da ubriaca mi rivolgeva la parola, piombò nella mia stanza ed esordendo con un "wow", probabilmente, riferito alla stanza; poi l'occhio le cadde sul mio volto sconcertato per la sua performance casalinga.

"Sveglia che il mattino ha l'oro in bocca!" urlò schiaffeggiandomi forse un po' troppo allegramente la faccia, mettendo su anche lei una smorfia, di cui non sapeva la presenza.

"Se continui, l'oro si trasformerà in bestemmie, cazzo!" ringhiai allontanandole con un gesto quasi disgustato le mani dal mio volto.

Lei rimase sulla porta, intrapresa ad ammirarsi allo specchio per tutto il tempo che trascorsi al bagno, ovvero circa dieci minuti, impiegati a finire il trucco e a lavarmi i denti dritti per via di due dolorosissimi anni di apparecchio.

Sentii il campanello trillare nel corridoio, ma non feci in tempo a raccogliere la borsa che Violet era già sulla soglia, con il sorriso da completa imbecille e le mutande che scomparivano tra le natiche.

"Artemide, c'è qualcuno di piuttosto carino alla porta! Ora ci provo!" urlò davanti ad Ashton, il quale non sapeva se ridere o pensare che fosse una minorata mentale.

Nel dubbio fece entrambi. Lo capii dallo sguardo che gli guizzò negli occhi, prima un poco spaventato e successivamente confuso e imbarazzato, accostato a quel sorriso che mi fece passare di testa quella svergognata in "mutande" e reggiseno.

M'avvicinai sempre di più alla porta con un passo frettoloso e con gli occhi che dicevano "Non chiedere nulla, non la conosco!", sgusciando da sotto il braccio della ragazza, borbottando in sottofondo, per poi respingerla all'interno della casa con tutta la violenza che non riuscii a contenere.

"Ma non ti chiami Artemisia?" chiese il ragazzo, ridacchiando tra sé e sé e facendomi passare prima di lui per le scale segnate dal tempo.

"E' una povera decerebrata,beota, fancazzista e imbecille, puoi aspettarti che sappia il mio nome? Anzi, se fossi in te, rimarrei stupito dal fatto che si è ricordata d'avere una sorella!" parlai già con il nervosismo e quell'oro trasformato in bestemmie in bocca.

"Ah – accennò a una risatina strana, quasi come lo squittio d'un coniglio, che durò un secondo e poi sparì come il nervosismo di quel risveglio non raro e sempre traumatico – Comunque, buongiorno!"si passò una mano tra i riccioli, sorridendo e brandendo lo zaino nero sulla piccola striscia di tessuto che ricopriva la spalla destra.

Lo guardai con fare ancora assonnato, cacciando in bocca la sigaretta  e cercando di sorridere senza farla cadere.

"'Giorno!" apostrofai mentre davo fuoco al tabacco e, con esso, a ogni tipo di sicurezza.

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