Erano passate due settimane e mezzo da quel giorno, ma il ricordo e le imprecazioni di Ashton alle prese con le bacchette e con il cibo cinese erano ancora vivide nella mia mente, come ogni secondo passato in quell’arco di tempo che era volato tra i nostri tocchi di labbra e carezze.
Le ferite sul suo polso, quelle più rosse e recenti, erano quasi del tutto scomparse e, ogni qual volta mi ci cadesse l’occhio, mi sentivo fiera di me stessa e sentivo che quella sensazione d’esser nel perenne errore s’alleviava, lasciando spazio al compiacimento e all’orgoglio che provavo nel vedere quello spettacolo che era il suo sorriso vivo e sincero.
Nel frattempo i miei capelli avevano subito un’intensa seduta dal parrucchiere, che li aveva accorciati leggermente, eliminando le divertenti doppie punte \ passatempo, e aveva ristabilito l’ordine di quel colore che tanto amavo, ma che non sapevo definire con certezza.
Mi strinsi nel vestito stretto, ispezionando allo specchio il tutto che componeva il mio outfit, sperando che il leggero rigonfiamento di grasso non si notasse più di tanto e osservando come quel colore chiaro si addicesse perfettamente a quello bronzeo della mia pelle.
“Sei pronta?” chiese colui che riconobbi essere Ashton, illuminando leggermente la stanza da letto con lo spicchio di luce che s’intromise per la porta, che fu bloccata dallo strillo che cacciai.
“No! Non guardare!” gridai ridendo, avventandomi sulla porta e chiudendola in un tonfo.
“Ma perché?! Mica ci dobbiamo sposare eh!” rise oltre il legno, e giurai su me stessa che anche quel giorno, prima o poi- sperando più nel prima-, sarebbe arrivato.
“Shh! – lo zittii scherzosa, muovendo quella risata nel suo petto, che rendeva tutto più bello – Piuttosto, chiamami Michael!” ordinai a mo’ di dittatrice, avvicinandomi nuovamente allo specchio che il riccio aveva appositamente comprato e posto per me.
“Ah, certo! Mi sembra ovvio che Michael, tuo amico, possa vederti ed io, tuo ragazzo, no! Ma okay!” sbraitò scherzosamente, ridacchiando e informando il ragazzo della sua presenza attesa nella camera.
Passai le mani sul tessuto azzurrino, come lo smalto, e lo allisciai ai fianchi, vedendoli appianarsi leggermente sotto il mio tocco, per poi tornare a riempire quel vuoto che sentiva la mancanza della pelle, come la parte superiore, stretta appena sotto il seno per evidenziare la forma a clessidra, sentiva la mancanza di quelle tette che sembravano aver fatto sosta a Seconda City e che ci si fossero stanziate per il resto dell’eternità.
Sentii la porta chiudersi e poi delle grosse braccia arrotolarsi alla mia vita, mentre il volto simpatico e compiaciuto di Mike si faceva largo tra il riflesso dei miei capelli e mi sorrideva come poche volte l’avevo visto fare.
“Come sto?” gli chiesi nervosa, sperando che quella sensazione di benessere non fosse solo una mia impressione.
“Sei bellissima, come sempre!” ridacchiò dandomi un bacino sulla guancia, che però bastò a riempire il silenzio nella stanza.
“Possiamo andare, quindi?” domandai ridacchiando, mentre saltellavo nella stanza, alla ricerca di quelle scarpe che tanto avevo voluto comprare, ma con le quali mi vergognavo e mi sentivo tutt’altro che a mio agio.
STAI LEGGENDO
Red Art
Fanfiction"Certo che ti farò del male. Certo che mi farai del male. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell'esistenza. Farsi primavera, significa Accettare il rischio dell'inverno. Farsi presenza, significa Accettare il rischio dell'as...