Camminai per il sentiero stretto e fiorito, intravedendo già i capelli sparati all’aria di Michael e le voci ridenti degli altri due; affrettai il passo, sentendo il frusciare dei cespugli contro i miei stivaletti neri e puntando lo spiazzo di cemento appena visibile dalla stradina.
Mi stampai quel sorriso in volto, non più di tanto finto, ma leggermente malinconico per il pensiero di Red a casa, sul divano con le cuffiette al massimo e lo sguardo appiccicato al computer,mentre si lasciava sfuggire qualche occhiata verso la tv, lasciata accesa per compagnia.
Calum mi intravide e diede una gomitata ai due, che subito cominciarono con le loro solite esclamazioni e battutine sulla bandana nuova con cui tenevo i capelli in “ordine”, se così poteva essere definito ciò che regnava sulla mia testa coperta da ricci.
“Smash!” disse allegro Luke, cacciandosi via dalla bocca la sigaretta finita e gettandola al fiume che scorreva sotto di noi.
“Dr. Fluke, Mike-Ro-Wave, Calpal, buonasera a voi!” ridacchiai insieme al biondo, guardandomi intorno e sperando che nessuno, oltre loro, ci sentisse usare i nostri nomi in codice da supereroe che avevamo inventato circa cinque anni prima, quando eravamo ancora degli sfigati a certi livelli, anche se, usarli ancora, faceva di noi ancora degli sfigati totali.
“Che ne dici, mi apri la bottiglia con i tuoi super muscoli?” scherzò Michael, porgendomi la bottiglia di birra dagli scuri colori, per poi dargliela una volta stappata con il portachiavi che avevo acquistato prevedendo situazioni di quel genere.
Il ragazzo mi fece un cenno riconoscente con il capo, sorridendo e bevendo un sorso che gli colò giù per la gola, dissetando la sua sete interminabile, considerata l’altra bottiglia che teneva al fianco.
Mike non beveva spesso, ma quando lo faceva beveva tanto, arrivando a vedere gli unicorni girare per il giardino di Luke, e succedeva più o meno tutte le volte che andavamo a casa Hemmings dopo una serata tra noi, probabilmente per i colori sgargianti dei fiori che gli ricordavano quelli della mia maglietta dei pony – della quale Art si era impossessata, spacciandola per sua-, ricollegando le due cose e uscendone in condizioni pietose, ma mai quanto Calum.
Il ricordo di quella serata di fine di agosto di due anni fa era ancora impresso nella mia testa, semplicemente perché fu una delle serate più belle e brutte della mia vita, e ancora mi stupiva come ne fossimo usciti indenni.
Di fatti non era una novità ritrovarci al circolo già leggermente brilli, avendo ognuno sgraffignato alcuni alcolici a casa,in modo da risparmiare sulle birre al solito bar, ma quella volta il kiwi si era scolato metà bottiglia di Bourbon e le tre birre che consumammo insieme, almeno questo fu quello che venne fuori dalla lavanda gastrica che dovettero fargli d’urgenza, sul filo del coma etilico.
Quello che facemmo quella nottata non l’avevo molto chiaro, ma quello che successe in ospedale sì, e non mi piaceva ricordarlo, considerato le minacce che avevamo ricevuto da un vecchietto per la nipote quindicenne sul punto di partorire, ma le condizioni della ragazza non avevano fermato Luke dal volerci provare.
Be’, se il suo intento era vomitarle sopra, ci era più che riuscito, e anche più di una volta.
Poi se dovevamo dirla tutta, quella sera fu proprio Luke a scatenare l’inferno, buttandosi gridando in mezzo strada, svegliando tutto il quartiere nei dintorni del circolo, tuttavia non seppi se sarebbe stato meglio che qualcuno l’avesse investito o se, come successe, non passasse nessuna macchina, considerata poi l’ora vicino alle quattro del mattino.
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Red Art
Fanfiction"Certo che ti farò del male. Certo che mi farai del male. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell'esistenza. Farsi primavera, significa Accettare il rischio dell'inverno. Farsi presenza, significa Accettare il rischio dell'as...