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ASPETTA CHE SI CARICHI LA CANZONE :)

Ps: buona lettura <3

Feci un gran sospiro prima di infilare la chiave nella serratura, immaginandomi i discorsi che mi avrebbero fatto i miei genitori e i finti pianti di quella che fisicamente aveva vent’anni ma mentalmente neanche uno.

Ashton, come gli altri, aveva insistito per accompagnarmi, ma io non gliel’avevo permesso, era un problema mio e non volevo che anche lui fosse coinvolto nel baratro che era la mia famiglia, perché l’avrebbe trascinato in fondo come aveva fatto con me.

Mi ripetei nella mente “Tu sei migliore di loro, qualunque cosa accada”, ma la verità era che non ci credevo neanche io, essendo cresciuta con l’ideale opposto; quando credetti d’esser pronta, infilai la chiave nella toppa e la girai finché la porta non s’aprì.

Nonostante fosse giorno, la fioca luce del lampadario della cucina sprezzava il corridoio nella parte superiore, isolandolo dal buio delle tende; sentii delle voci parlottare e abbassarsi notevolmente quando richiusi la porta alle mie spalle.

Non persi tempo e, senza neanche posare le cose nella mia stanza, mi diressi direttamente verso di esse, cercando di capire quelle parole che i bisbigli facevano sgusciare fuori, con vani risultati.

Presi un sospiro più che profondo e mi mostrai ai due seduti a tavola, con il volto rivolto verso la porta della cucina, e della ragazza con l’occhio violaceo contro lo stipite della finestra.

“Siediti” parlò mia madre, indicandomi con un cenno di capo la sedia di fronte a loro.

Feci come mi era stato detto e, quando le mie natiche posarono sul cuscino, mi sentii come d’esser in uno di quei film americani, con i prigionieri nel penitenziario e i poliziotti, di cui uno buono e l’altro cattivo.

A dire il vero non sapevo quale potesse essere quello cattivo e quello buono, ma l’esperienza mi accennava di poco che l’uomo dalla slanciata altezza e la testa calva fosse il peggiore.

“Cosa dovete dirmi?” mostrai il lato duro, ma in realtà dentro tremavo sotto lo sguardo di quell’uomo che io non avevo coraggio di chiamare padre, tanto lo odiavo e tanto era l’ignoranza che mi separava dalla sua personalità.

“Che cosa hai fatto a tua sorella?” parlò la donna, soffiando con quella voce calma che non mi teneva per nulla tranquilla.

“Io niente. Cosa ha fatto lei a me, forse” mantenni lo sguardo sugli occhiali rossi sul naso di mia madre, inarcando il sopracciglio come chi la sapeva lunga.

Gli occhi dei due guizzarono nella sua direzione, ma lei non si scompose, tanto convinta d’esser nel giusto.

“O forse cos’ha fatto il tuo ragazzo a me” da suoi occhi partì una scintilla quasi d’odio, che mi sentii bruciare in petto e mi mosse a dire prontamente “Cosa?!”.

“Il tuo ragazzo ha cercato di provarci con tua sorella” disse dura la donna, incrociando le mani, quasi compiaciuta del fatto che l’unico ragazzo che avessi avuto avesse cercato di mettermi le corna, con mia sorella- se così poteva essere chiamata – per giunta.

“Ma non è vero! Ci sono tre testimoni!” parlai già con l’alterazione che mi si faceva vivida nel tono, che marcava piano la vena sul collo pallido e nascosto dai capelli sciolti.

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