IX- Le stanze private.

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Terry riprese lentamente consapevolezza, aveva avuto un violento attacco di panico, non gli succedeva da almeno un anno, i primi tempi dopo la guerra erano divenuti una stabile compagnia, ma ormai riusciva ad accorgersi quando stavano per arrivare e a bloccarli. In genere accadeva dopo un incubo, questa volta non c'era stato preavviso, solo una forte ansia, un attimo prima stava camminando verso lo studio di Piton, un attimo dopo era perso nei meandri della paura. Non si ricordava neppure cosa fosse accaduto, non aveva perso del tutto conosceza, ma le emozioni erano state così sovverchianti da non lasciargli la possibilità di concentrarsi su quello che accadeva al suo corpo e intorno a lui.
Aveva sentito vagamente dolore e poi il senso di calma e protezione dato da braccia forti, che sapeva gli stavano impedendo di farsi male, mentre una voce profonda e vellutata lo rassicurava facendolo calmare e restituendogli progressivamente coscienza di sé.

Era stanchissimo, gli pareva di aver corso per ore, le gambe lo sorregevano a mala pena, le braccia tremavano e dolevano, sentiva le dita bruciare, ma non riusciva a guardarle era ancora prigioniero del suo salvatore.
Chiuse gli occhi, la testa pulsava, si lasciò andare in dietro. Negli ultimi momenti, quando aveva iniziato a riconoscere chi gli stava prestando soccorso, si era progressivamente rilassato fino a lasciarsi cullare, sprofondando in un abbraccio che avrebbe sempre voluto.

Sapeva di doversi spostare, ma il petto che lo accoglieva era fatto su misura per lui: ampio, solido e caldo, con un respiro regolare che lo aiutava a rilassarsi e a focalizzarsi sulla realtà, lasciando scivolare via i demoni che lo opprimevano.

Respirò a fondo riempendosi i polmoni dell'aria fresca dei sotterranei e del profumo familiare, che sapeva di legna bruciata, di fumo, di erbe aromatiche, con un lieve sentore di agrumi e pergamena, era l'odore di Severus Piton.

Questa consapevolezza lo sconvolse e lo eccittò in eguale misura. Avrebbe voluto scavare una buca e nascondersi per l'eternità dopo questa manifestazione di debolezza, ma non riusciva a muoversi, così senza nemmeno capire ciò che faceva, reclinò il capo appoggiandosi alla sua spalla e concentrandosi sulla voce che ancora lo rassicurava.
Non si rese conto di aver pronunciato il suo nome finché non sentì il collega trattenere il respiro e dopo un' attimo rispondere:

<<Calmati. Sì, sono io, sei al sicuro.>>

Il vicepreside gli passò delicatamente la mano sui capelli scompigliati e sudati, in una lenta e benevola carezza. Terry chiuse gli occhi e desiderò che il momento durasse per sempre. Mentre continuava a muovere la mano, lo proteggeva, ma aveva allentato la stretta e per tenerlo in piedi lo aveva fatto aderire al suo corpo, provocando un acuta consapevolezza in entrambi, che cercarono di non soffermarsi sull'idea, per evitare che l'altro capisse l'effetto sconvolgente che il contatto produceva.

<<Sei ferito, dovrei portarti in infermeria, Poppy si prenderà cura di te, riesci a camminare?>>

Chiese a malincuore Piton, non voleva allontanarsi, ma il ragazzo stava perdendo sangue dalle mani e dalla fronte, in più voleva capire cos'era accaduto. Terry chiuse gli occhi, adesso sentiva un' altro odore, quello pungente e ferroso del sangue, che con la sensazione di una goccia vischiosa che gli scivolava su una tempia e il dolore sordo e pulsante, soprattutto alla fronte e alle mani, gli fecero capire che era ferito. Eppure sapeva che non era nulla di grave, non voleva andare in infermeria.

<<Siamo vicini al tuo studio, preferirei sedermi un attimo, magari vado fra un po', se non disturbo...>>

Aggiunse alla fine, nuovamente titubante, ma Piton lo rassicurò e si trovarono nello studio dopo meno di un minuto, erano davvero vicini. Piton, però, pensò che il soggiorno con il camino e il divano nelle sue stanze private, attigue allo studio, ma nascoste da un arazzo con i colori di serpreverde, che deccorava una parete in fondo, sarebbe stato più comodo.

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