II- Incontri notturni

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Terry Steeval lavorava come insegnante di Pozioni nella scuola di magia e stregoneria di Hogwards, che lui stesso aveva frequentato fino a tre anni prima, per sette lunghi anni. In quei corridoi, che portavano alla torre di Corvonero e nel dormitorio della sua casa, aveva passato alcuni dei momenti più felici della sua vita.
Ricordava perfettamente quando era arrivata la lettera, che lo invitava a studiare in quella prestigiosa scuola.
Suo padre l'aveva frequentata da giovane, sua madre era di origini babbane, e in più era americana, lei aveva studiato in un normale liceo californiano, poi aveva conosciuto suo padre che era stato mandato come rappresentare della comunità magica inglese. L'aveva vista in una caffetteria e si erano innamorati. Parlargli della magia non era stato facile, ma Juliet gli aveva creduto e lo aveva seguito in Inghilterra entrando in un mondo di cui non sapeva nulla e vivendo una splendida favola d'amore, almeno fino a quando Voldemort non era ricomparso distruggendo la sua fiaba.

Ovviamente Terry aveva sempre avuto il desiderio di eguagliare il genitore e aveva sperato fin da piccolo di aver ereditato le sue capacità magiche per poter andare nella scuola che anche il padre aveva frequentato.

Nei secoli gli Steeval non erano stati una famiglia lineare che di generazione in generazione sfornava maghi della stessa casata, ma erano stati smistati un po' in tutte. Questo lo aveva privato di una tradizione o una pressione particolare perché portasse dei colori piuttosto che altri, ma lui era sicuro che sarebbe stato un Corvonero.
Amava la conoscenza, si incuriosiva e voleva sapere, certo non sempre amava studiare, ma la sua voglia di avere risposte era sempre stata più forte dell'avversione a stare seduto con un libro in mano, mentre i suoi amici correvano fuori.

I libri erano pieni di magia, non solo perché elencavano fatture e incantesimi, ma perché narravano storie e avventure e fin da piccolo leggendoli si sentiva trasportato in un altro mondo. Per questo Terry leggeva qualsiasi cosa. Aveva letto i grandi classici magici, come storia di Hogwarts, già fin da bambino, ma adorava anche libri babbani, come Dickens o la letteratura americana cara alla madre, ma a che quella russa. Insomma, la sua immaginazione volava con le ali della fantasia.

Lo appassionavano anche materie più disciplinate e precise, in particolare, la sua curiosità si esaltava nel mischiare cose note per vedere i risultati e crearne di nuove, poteva passare giornate intere a variare e sperimentare fino ad ottenere qualcosa di nuovo. Era con questo sistema che da bambino, aveva scoperto un infuso, che per un po', donava serenità e coraggio, inibendo la vergogna. Era una piccola pozione, piuttosto semplice, dove bisognava unire i fiori di un anemone, ai petali di una peonia, facendoli bollire piano, quando l'infuso diventava denso si aggiungevano fiori di alisso e semi di angelica schiacciati, dopo bisognava lasciare riposare per due ore e filtrare il liquido. La sensazione di smarrimento veniva sostituita da una, molto più piacevole, di fiducia in sé stessi. Certo era una pozione abbastanza banale, visto il significato degli ingredienti, ma il procedimento aveva richiesto molte variazioni e prove, ci aveva messo un mese per metterla appunto, cambiando anche qualche ingrediente e procedura. Probabilmente per un maestro pozionista sarebbe stato uno scherzo, forse anche per lui ora lo era, ma aveva messo appunto questa formula quando aveva sei anni, per sostenere suo padre che doveva parlare in pubblico e ne era terrorizzato. Si era messo in testa di aiutarlo e l'uomo seppur scettico, aveva bevuto la sua pozione, giusto per farlo contento e con somma sorpresa, aveva funzionato alla perfezione.

Nonostante fosse semplice, nessuno l'aveva mai provata prima e i suoi genitori l'avevano brevettata a suo nome. Era stata un'immensa soddisfazione quando il professor Piton, il primo giorno gli aveva chiesto se fosse il ragazzo della pozione Rinfrancante e lui aveva potuto dire di sì. Il professore aveva dato dieci punti alla sua casa per la sua prova fatta quando era così giovane. Poi, con un tono molto meno simpatico, lo aveva ammonito di non ritenersi arrivato, che da lui si sarebbe aspettato il massimo.

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