25 - Le guardie umane di Azkaban

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Sono profondamente pentito di ciò che ti ho fatto.


Lord Lucius Malfoy ricadeva contro il muro umido e freddo della sua cella, ridendo. La sua voce era uno stridore rauco, da ghiacciare il suo stesso sangue. Con ogni probabilità non riuscivano a sentirlo da fuori, oppure qualcuno avrebbe sicuramente gettato un occhio nella piccola apertura sulla porta, sicuro che fosse definitivamente impazzito.


Sono profondamente pentito di ciò che ti ho fatto.


La seconda ed ultima lettera del preside di Hogwarts conteneva queste esatte parole.
Quel mattino - o forse quella notte, non ero più sicuro di quanto i miei occhi mi mostravano - il riso era come qualcosa su cui non avevo più controllo.

Andai avanti a sentirmi ridere per una buona decina di minuti, poi mi spaventai, deglutii e mi imposi di smettere.
Abbassai uno sguardo velato di lacrime su quella seconda missiva. Non avevo bisogno di rileggerla. Quelle poche parole olezzavano già di morte. Era come un profumo sottile, letale di cui fosse imbevuta quella carta da lettere. Veniva da lui, da Silente.

A pensarci bene adesso quello era forse un goffo, assurdo tentativo di scusarsi proprio in vista della morte. Buffo, no?

Sono profondamente pentito di ciò che ti ho fatto. Tu non volevi, ed era chiaro. Ti ho costretto, ricorrendo a mezzucci biechi pur di soddisfare questa mia brama, o mania come ti piace chiamarla.
Adesso penso a ciò che ti ho fatto... forse la lontananza giova alla mente, dissipa i fumi dell'ossessione. Lucius, non trovo più niente di piacevole nel ricordo di te abbandonato impotente sotto le mie carezze, vedo solo quanto malessere devi aver provato.


Lasciai che la pergamena scivolasse via dalle mie dita.

Avevo conservato un minimo di lucidità.
Mentre la mancanza di Severus mi rodeva le visceri come un veleno, mentre tutte le parole mi abbandonavano ogni volta che tentavo di usufruire del mio diritto di scrivere missive - se pure rigidamente controllate - continuavo ad alzarmi quando una guardia apriva la mia porta, per portarmi alle docce.

Ero tutto sommato pulito, mi ero anche sbarbato, sotto stretta sorveglianza, attraverso una rozza lama tutt'altro che affilata. Avevo un aspetto presentabile, o almeno supponevo: l'unica volta che avevo intravisto il mio riflesso, nel muro di maioliche lucido d'acqua delle docce avevo faticato a riconoscere quel volto scavato, dagli occhi pieni di ombre, gli zigomi lividi. 

I capelli umidi che circondavano quel volto però erano ancora di quel biondo così vistoso, quasi bianco... anche se c'era qualcosa di tragicamente grottesco in quell'appariscenza, adesso.
Mi sarebbe bastato solo uno di quegli attimi di lucidità, ne avrei approfittato come se ne andasse della mia vita.

Ma ogni volta fissavo il foglio bianco, la piuma iniziava a tremarmi tra le dita e immancabilmente la lasciavo andare.

Oh, non potevo chiedere notizie a Severus di quello che accadeva là fuori. Le lettere potevano essere intercettate. Così non avevo idea di cosa stesse succedendo a mio figlio mentre le mie giornate passavano immerse nella disperazione, forse era molto meglio così: avessi saputo del Marchio, del rischio che stava correndo, non so davvero come l'avrei presa.

Così non riuscivo a scrivere due maledette parole a Severus, fosse anche stato il classico incipit, 'caro', e non riuscivo ad escogitare un modo per mettermi in comunicazione con lui senza svelare dettagli ulteriormente incriminanti.

Eppure più di ogni altra cosa mi sarebbero bastate due semplici parole. Briciole del mio amore per lui, immenso.

Forse mi intimidiva, se pure lontanamente l'idea che qualcuno avrebbe scandagliato con attenzione le mie parole. Non era proprio una paura dettata dalle condizioni precarie della mia mente, questa: in effetti la mia reputazione, e di conseguenza quella della mia famiglia avevano subito una tragica caduta. Me ne ero reso conto con estrema precisione poco dopo il mio ingresso in quella cella.


* *

Dovevano essere passati all'incirca quattro, al massimo cinque mesi.
Mentre ero disteso sulla mia branda, una stanca mano immersa nella tunica, non mi importava niente di chi poteva osservarmi. Chi c'era lì dentro dopo tutto? Quando i Dissennatori circolavano per i corridoi, io mi univo alle urla ed ai pianti di tutti quelli che avevano ancora forza per urlare e piangere. Quanto alle guardie umane, di loro avevo visto al massimo una mano scarna intenta a spingere dentro la gattaiola i miei pasti, sentito il cigolio lontano di una serratura. Di tanto in tanto lo sportello metallico che celava l'unica apertura della porta scorreva e per qualche secondo un paio d'occhi spiava frettolosamente l'interno della cella. Tutto qui.

Ma una sera - ero più presente a me stesso quel giorno - udii un lieve fruscio di passi e mi parve di cogliere qualche parola da dietro quella pesante porta. La mia attenzione non si sollevò e non si riscosse. Continuai a massaggiarmi distrattamente, debolmente.

Poi lo sportello metallico che copriva le sbarre stridette forte e percepii la remota presenza di un Patronus. Apparteneva alle poche guardie umane ed era comunque troppo distante perché un prigioniero potesse beneficiarne.

Ricambiai quello sguardo vivido, verde senza nemmeno smettere di fare ciò che stavo facendo.

"Guardalo..."
Sussurrò una voce oltre la pesante barriera di legno e metallo.

"Lo vedo... sì, sì, Lucius Malfoy ha la nomina che ha ed a quanto vedo é decisamente meritata. Correvano anche certe voci, qualche mese fa... pare che ispezionandolo si siano accorti che é più aperto di una mela aperta a metà... "
Sussurrò una voce più anziana, cavernosa in risposta.
Poi gli occhi verdi si staccarono da me, la bocca che non potevo vedere sussurrò qualcosa che non udii.

"Ma dai, sarà pieno di pidocchi!"
"Lo sai che mettiamo il disinfettante apposta nelle docce."
"E con questo? Guardalo, é pallido come un morto..."
"Non é ridotto male, però. Non come quell'altro... mamma mia quanto é brutto tra l'altro. Quel Goyle, mi pare."
"Va bene, lui é un po' più in se' degli altri. Ma non di molto secondo me. Non credo che si sia accorto di essere osservato."
"Oh, se ne è accorto, eccome. Ehi Malfoy!"
Non risposi. Gli occhi verdi presero a fissarmi intensamente, interdetti.

Poi la voce più anziana e roca parve ridacchiare ed apparvero i suoi occhi nella feritoia. Erano scuri, molto vividi e colmi di avidità.

"Vuoi un po' di compagnia? Mh? Ti daremo del cibo in più... ti tratteremo bene..."
"Hudson..."
Ammonì la voce più giovane senza però aggiungere altro, a quel punto il mio braccio destro si levò stancamente. Sembrava pesare come fosse piombo, ma riuscii in un gesto eloquente se pure breve.
' Accomodati' dicevano quel gesto, quella mano che ricadde contro il pagliericcio.

Immediatamente sentii la serratura cigolare. Poi la porta si aprì.

L'uomo chiamato Hudson era decisamente grassoccio, l'uniforme nera si tendeva sul suo stomaco. Aveva un volto largo e squadrato, perfettamente sbarbato. Avanzò puntandomi la bacchetta contro. Poi certe funi luminose mi si avvolsero intorno ai polsi, alle ginocchia. Non aveva dimenticato che genere di prigioniero occupava quella cella, a dispetto di quel luccichio famelico sul suo volto.

Diario di un cortigianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora