Capitolo 8

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Mi ritrovai all'ingresso della scuola. Vedevo tutti i compagni entrare, ma io non riuscivo a muovermi. Ero paralizzata. Non riuscivo a fare un passo. Guardai le mie braccia e le mie gambe. Erano ancora lì, ma per qualche motivo erano ferme. Immobili. Sentii il panico salire dentro di me. Iniziai a sudare. Improvvisamente vidi Natalie e Rose parlare di qualcosa e ridere mentre venivano verso di me. Sorrisi, ma loro continuarono a camminare, come se io non esistessi. Come se fossi invisibile. Non capivo cosa stesse accadendo. Perché ero in quello stato? Ero morta? Chissà, ma pensai solo che volevo che finisse tutto il più presto possibile. Prima che me ne accorgessi però, vidi spuntare dal nulla una figura. La riconobbi subito. Hunter. Mise la mano dietro i pantaloni, estrasse una pistola, me la puntò contro e premette il grilletto.

Mi svegliai di botto, sussultando. Ero sudata. Era solo un sogno, per fortuna. Guardai la sveglia che segnava le 6.30. Ormai era troppo tardi per addormentarsi nuovamente. Decisi quindi di alzarmi e andare a fare colazione. Mi feci del latte caldo con un po' di miele. Ultimamente aveva iniziato a fare freddo Los Angeles e i primi malanni cominciavano a dilagare. Cercai di fare il più piano possibile, per non svegliare nessuno. Dopo aver mangiato qualche biscotto andai in camera a prepararmi. Feci una doccia e mi vestii. Decisi di raccogliere ancora qualche altro materiale per la ricerca. Oggi era quel giorno: avrei dovuto lavorare con Hunter Evans, per un progetto che valeva la metà del nostro voto finale di storia. E non solo quel giorno. Ci saremmo dovuti incontrare altre volte. Non avevo per niente voglia di fare tutto da sola, quindi Hunter doveva collaborare, volente o nolente. Ripensai al sogno che avevo fatto poco fa. 'Non è successo niente, era solo un sogno.' continuavo a ripetere al mio cervello.

La scuola filò liscia come l'olio. Fu un giorno come un altro, tranne per il fatto che io continuavo a pensare a cosa sarebbe successo poche ore a venire e anche a ciò che avevo sognato quella notte. Era più forte di me. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a togliermi Hunter dalla testa. Forse ero spaventata davvero da lui. Ma come facevo a non esserlo? Quello che avevo sentito era estrapolato dal contesto, e anche quello che avevo visto sarebbe potuto esserlo. Cercai di concentrarmi il più possibile alle lezioni, ma non sempre avevo successo. Non era la giornata giusta, oggi. Quando suonò l'ultima campanella, tirai un sospiro di sollievo. Fu una delle giornate di scuola più lunghe della mia vita. Ero preoccupata. Cosa avrebbe fatto Hunter? Come mi sarei dovuta comportare?

Alle 16.00 presi lo zaino, il pc e scesi di casa, dopo essermi messa qualcosa di un po' più carino. Il One distava circa 40 minuti da dove abitavo, e non volevo affatto fare tardi. Durante il tragitto, cercai di prepararmi psicologicamente. Mi calmai. Passeggiare mi rilassa e mi rende più tranquilla. Arrivai con un quarto d'ora d'anticipo. Entrai a sedermi, per prendere un tavolo e ordinai una Coca Cola Zero per reidratarmi. Intanto accesi il Mac e cominciai a preparare il modello su Word per la relazione. Scelsi il tipo e la grandezza del carattere. Iniziai ad aprire alcune finestre e cercare informazioni sugli Inca, Maya e Aztechi. Intanto aspettavo Hunter. Ogni minuto che passava ero più vicina all'incontro. L'ansia era tornata. Volevo soltanto finire il prima possibile. Passarono le 17.00, ma di Hunter nemmeno l'ombra. I minuti passavano, ma ancora tutto uguale. Iniziai a scrivere qualcosa io, da sola. Continuavo a scrivere, ma non vedevo la persona che avrei voluto vedere. Mi prese un colpo. Lo avevo pensato, sul serio. Volevo che Hunter entrasse da quella porta. Perché? 'Perché deve fare la sua parte nel progetto.', dissi tra me e me, ma sapevo di sicuro che non era per quello. O meglio, non solo.
Si erano fatte le 18.00, e io ero stufa di aspettare. Avevo scritto l'introduzione e l'effettivo inizio della ricerca, ma chiesi il conto, e posai il computer nella borsa. Pagai, e mentre mi alzavo vidi entrare un ragazzo con la giacca di pelle: era lui. Non sapevo se essere contenta o arrabbiata, ma andai in panico. Era il momento della verità. Si incamminò verso di me. Non disse nulla, così fui io la prima a parlare.
'Meglio tardi che mai. Comunque, ormai me ne sto andando. Io non sto ai comodi di nessuno. Ed è meglio che non si ripeta, altrimenti...' non finii la frase. Avevo deciso, ero arrabbiata. Non gliel'avrei data vinta.
Mentre mi avviavo verso la porta, sentii dietro di me:
'Aspetta, ti prego. Non succederà mai più.'
Non ci potevo credere. Mi voltai, e vidi la sua faccia dispiaciuta, sottomessa. Non era il solito Hunter.
'Resta, ti prego. Ti prometto che farò il bravo.' Stavo sognando ancora? Non avrei mai immaginato che Hunter avesse una seconda personalità. Perché a me sembrava completamente un'altra persona. Era una persona che si stava scusando per il suo errore e che mi stava pregando di restare.
'Promettimi che farai la tua parte. Voglio solo prendere un bel voto, poi possiamo anche fare finta di non esserci mai visti ed essere semplicemente estranei. E sarà meglio che non riaccada mai più.'
'Come vuoi.' Disse, provando ad accennare un mezzo sorriso. Non sorrideva spesso, e si vedeva.
Tornai a sedermi al tavolo di prima e ordinammo un drink analcolico. Ripresi il mio Mac e cominciammo a lavorare. Mentre facevamo le nostre ricerche su Internet, trovando delle testimonianze di alcuni nativi americani generazionali sopravvissuti e di come conducevano la loro vita nella società moderna, ripensavo continuamente al mio sogno, ormai diventato per me un tormento. Chi avevo affianco? La persona che fino a pochi minuti prima si stava scusando in ogni modo, oppure quella con una pistola con cui mi sparava nel mio sogno? Non sapevo davvero cosa pensare. Decisi di prendere le cose come venivano, e non pensarci troppo. D'altronde eravamo in un luogo pubblico con altre persone, e non avrebbe potuto farmi nulla.

Finimmo per le 19.30 circa, e alle 20 fui a casa. L'odore della pasta al forno di mia madre si sentiva fin dall'ingresso. Sapeva cucinare bene, almeno. Cenai con i miei, parlando del più e del meno. Mi chiesero della scuola, delle nuove amicizie e delle lezioni che seguivo. Non parlavo molto coi miei. Non sapevo nemmeno io bene il perché, in realtà. In generale, io non parlavo quasi con nessuno di me, degli affari miei. Ero una persona riservata. Non mi fidavo facilmente degli altri. Le persone ti deludono sempre, e non bisogna fargli conoscere i propri punti deboli. Ad ogni modo, gli raccontai delle lunghissime ore di matematica, di Natalie e Rose e della loro comitiva, ma non dissi nulla riguardo Adam e Hunter. Oddio, Adam. Mi ero completamente dimenticata di Adam. Ero così presa da Hunter durante tutto il giorno che non avevo sentito Adam per niente. Credevo mi piacesse Adam. Non ero più convinta? 'Ma sì', pensai. La realtà però era che per tutto il giorno ero stata presa da Hunter e dai miei pensieri su di lui. Come poteva essere possibile? Io e Adam ci frequentavamo, mentre Hunter ed io eravamo praticamente estranei. Scossi la testa, e continuai a mangiare e a chiacchierare con i mei genitori.
Finita la cena, diedi la buonanotte e mi avviai in stanza. Misi il pigiama e mi stesi sul letto. Cosa mi era preso? Nemmeno io lo sapevo, ero confusa. Nel letto chattai con Rose e Natalie, e un po' anche con Adam delle solite cose. Ma sapevo di farlo più per buon senso che per altro. Possibile che non mi piacesse più, da un giorno all'altro? Non era possibile, con Adam stavo bene ed ero felice. Ma Hunter era sempre nella mia testa, qualunque cosa facessi e dovunque andassi. Ma non poteva essere. Prima che potessi pensare altro però, caddi nel sonno più profondo.

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