sei

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if we’re meant to be forever

then it’s down the road

if you really care about me

let me go

«Il sole splende, gli uccelli cinguettano e io sono appena tornato da un mondo incantato!» disse Alan, entrando nel salotto a passo di danza, per poi inchinarsi goffamente di fronte a me. Alzai un sopracciglio scettica. Possibile che madre natura mi avesse donato un fratello così deficiente? Cosa avevo fatto di male per meritarmelo?

«Ti ho mai detto che secondo me mamma e papà ti hanno trovato davanti alla porta? Non possiamo avere lo stesso sangue, è impossibile!» gli dissi incenerendolo con lo sguardo, quando lui si sedette di fianco a me con un balzo e abbracciandomi quasi fosse una scimmia. Chiusi gli occhi, prendendo un respiro profondo, trattenendomi dal prenderlo a pugni.

«Sì, me l’hai già detto - disse lui ridendo - E mi hai detto anche che probabilmente quando mamma mi aspettava è stata colpita da delle radiazioni che mi hanno fatto mutare. Tutte cose molto dolci e affettuose, Zoe.»

Annuii seriamente, scrollandomelo di dosso e sbuffando, aumentando il volume della televisione per fargli capire che non ero intenzionata a parlargli. Alan continuò a fissarmi, per poi sorridere d’un tratto, trattenendo una risata.

«Perché ridi?» chiesi osservandolo con la coda dell’occhio.

«Nonostante sia ovvio, essendo io perfetto e quindi di famiglia - disse con tono serio nonostante stesse dicendo solo stupidate - Sei davvero bellissima, sorellina.»

Mi voltai di scatto, osservando i suoi occhi così tanto simili ai miei.

«Devo farti qualche favore, Alan?» gli chiesi, non capendo il perché di quel complimento. Lui si strinse nelle spalle, ridendo sommessamente.

«È solo che ho letto tutti quei commenti di quelle stronze e ho pensato di dirti come stanno realmente le cose - mi spiegò, stringendomi a sé - Quando li ho letti mi è quasi venuta voglia di andare a cercare i loro indirizzi e uccidere i loro pesci rossi, molto crudelmente. Che poi già le immagino, brutte come la merda, sedute dietro un computer con un barattolo di crema al cioccolato, a deprimersi e a masturbarsi davanti alle foto e ai video di Tommo e compagnia bella. Quindi non dare ascolto a queste qui, sei la più bella sorella del mondo.»

Sorrisi, abbracciandolo un poco e tenendomi stretta al suo petto, esattamente come facevo da piccola quando facevo brutti sogni e bussavo alla sua porta per poi accoccolarmi nel suo letto e tornare a dormire, sapendo di essere finalmente al sicuro, con lui accanto che mi avrebbe difeso da qualsiasi mostro che avrebbe voluto aggredirmi. Volevo veramente bene ad Alan, lo adoravo, nonostante la maggior parte delle volte fosse un rompipalle di prima categoria e un impiccione. Era una delle persone più importanti nella mia vita, in fin dei conti.

«Però non vale, tu hai solo me come sorella! Non hai termini di paragone!» sbuffai, puntando il mio sguardo limpido nel suo.

«Zoe cazzo, smettila di rovinare i miei momenti poetici!» sbottò, prendendo la mia testa tra le sue mani e fingendo di mordermi la nuca. Risi, cercando di liberarmi, ma finii ancora più aggrappata a lui.

«Grazie Alan, sei il migliore.» dissi, posandogli un bacio sulla guancia e alzandomi.

«Lo so.» disse soltanto, sorridendo sornione prendendo il possesso del telecomando e cambiando canale su ITV2, dove stavano trasmettendo una partita di calcio.

«Vado al bar e poi vado a fare un po’ di spesa, torno prima di cena.» lo avvertii, afferrando il cellulare che avevo lasciato sul tavolino dopo che Gae mi aveva chiamato per fissare l’orario d’incontro. Alan fece un segno di assenso con la testa, troppo preso dalla partita per proferire parola alcuna. Mi strinsi nelle spalle e uscii dal salotto, infilandomi le Vans, la giacca da sci e una sciarpa bianca di lana. Presi la lista che mia madre aveva lasciato sul comodino in entrata e lo infilai nella tasca interna della giacca insieme al telefono, prima di uscire di casa e dirigermi lentamente verso il bar, cercando con cautela di non scivolare sul ghiaccio che ancora ricopriva i marciapiedi. Mi guardai intorno, in direzione dei cassonetti, ma la strada era deserta. Da quando avevo letto la falsa notizia di una probabile relazione tra me e Louis, uscire di casa era quasi diventato un incubo. Avevo il terrore di essere seguita, di essere costantemente spiata e odiavo sapere di non poter commettere gaffe - come era mio solito fare, invece - perché ci sarebbe stato qualcuno con la macchina fotografica pronto ad immortalarmi. Per non parlare della gente che mi guardava per strada nemmeno fossi stata un’aliena appena giunta da un pianeta sconosciuto di una galassia lontana anni luce dalla Terra. In quei momenti avrei desiderato gridare, dichiarare che tra me e quell’ameba di Tomlinson non stava succedendo nulla, se non una inutile sfida - che ovviamente avrei vinto. Entrai nel bar scocciata, togliendomi subito la giacca, accaldata dalla lunga camminata. Gae si voltò verso di me, un sorriso sincero dipinto sul volto perfettamente truccato. Dana stava parlando con lei, ma quando mi notò si zittì, sorridendomi e mostrandomi una tazza grande. Annuii e lei si mise subito all’opera per prepararmi il mio solito cappuccino.

69 cose che odio di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora