quattordici

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my universe

will never be the same

Im glad you came

«Hai bisogno di aiuto?» chiesi, entrando nella mia stanza, trovando mia cugina china sulla sua valigia. Si voltò, lanciandomi una strana occhiata e scuotendo la testa, chiudendo il bagaglio con un colpo secco. Incredibile come tutti i suoi vestiti ci fossero stati tranquillamente in una valigia così piccola. Si alzò, pulendosi i pantaloni neri e sistemandosi la coda di cavallo. Ci osservammo per qualche istante, senza sapere bene cosa dire. Avrei dovuto dire che mi sarebbe mancata? Avrei dovuto fingere un sorriso e dirle che non vedevo l’ora di abbracciarla nuovamente? Lei mosse le spalle, aprendo le braccia.

«Quindi ci dobbiamo salutare.» disse, alzando le sopracciglia e mordendosi il labbro inferiore. Annuii, deglutendo e battendo le mani due volte, come a voler attirare l’attenzione sebbene non ce ne fosse motivo.

«Sì - dissi flebilmente - Ci vediamo il prossimo anno!»

«Beh, magari potrei venire qui per Pasqua…» cominciò, chinandosi per prendere la sua valigia dopo essersi infilata la sua elegante giacca nera e i suoi tacchi a spillo.

«Certo, magari - dissi, sottolineando l’ultima parola - Ma forse andiamo in vacanza.» inventai frettolosamente, alzando un poco le spalle per poi farle ricadere stancamente.

«Certo, probabilmente anch’io - ammise non molto convinta - Beh, ricordati di dire a Louis che lo saluto e… niente, ci vedremo poi.»

«Lo farò sicuramente - mentii - È stato un piacere averti qui.»

Lei mi sorrise, prima di superarmi ed uscire finalmente da quella porta, che prontamente chiusi con un piede, non badando alla forza che ci avevo messo e al rumore assordante che era riecheggiato in tutta la casa. Mi buttai sul letto, sorridendo inconsapevolmente. Se n’era andata, finalmente. Niente di più Evleen. Non avrei più dovuto condividere la stanza con qualcun altro, non avrei più dovuto aspettare ore davanti alla porta del bagno, non avrei più dovuto sentire mia madre ripetermi di essere più come Evleen, non avrei più dovuto portarmi dietro la scorta ogni volta che si accennava ad incontrare Louis Tomlinson. Niente più Evleen, la ragazza perfetta, in casa mia per un anno intero! La porta della stanza si aprì nuovamente, facendomi sussultare e prendere uno spavento, temendo che potesse essere di nuovo lei, riuscita a convincere suo padre a lasciarla a Doncaster un’altra settimana, ma al posto di Evleen c’era soltanto mio fratello, che mi sorrideva trionfante. Chiuse la porta, per poi buttarsi sul mio letto e stendersi accanto a me.

«E abbiamo superato anche questa!» disse divertito, spettinandomi i capelli ed osservando il soffitto della mia stanza. Risi, annuendo, mentre il rumore delle macchine sul vialetto facevano intendere che finalmente tutti i nostri parenti erano andati via e potevano tirare un respiro di sollievo. Mio padre probabilmente stava facendo la conga in salotto, mentre mia madre si lamentava del casino come era suo solito fare dopo questo genere di feste con i parenti.

«Insieme possiamo superare tutto, non è così?» chiesi divertita, aggrappandomi al suo maglione verde ed osservando i suoi occhi azzurri. Alan annuì, cullandomi un poco.

«Solo che morto un Papa se ne fa un altro…» borbottai tra me, ripensando a quello che era successo proprio quella mattina di Natale. Mi strinsi nel maglione regalatomi da Louis, sbuffando sonoramente. Alan mi fissò con un’espressione incuriosita.

«Che vuoi dire?» chiese.

«Sai chi c’è a casa di Louis in questo momento?» gli domandai, mettendomi seduta e appoggiando la schiena contro il muro freddo, senza badare ai brividi che scorrevano lungo la mia schiena. Alan mi imitò, senza spostare il suo sguardo dal mio viso corrucciato.

69 cose che odio di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora