Londra – 14 Settembre 1979
-70+ signorina Danes, complimenti-
La voce del giovane assistente con il quale ho sostenuto l'esame era così flebile che a stento sono riuscita a sentirla. Mi ha interrotto nel bel mezzo della mia dissertazione su Virginia Woolf, autrice sulla quale ero super-preparata, cogliendomi così alla sprovvista che di sicuro non avrà potuto fare a meno di notare il mio sguardo stralunato, meravigliato, ma infondo sollevato. Sollevato perché questo giovane assistente, alto, moro, abbastanza carino tutto sommato, non ha fatto altro che fissarmi per tutta la durata dell'esame e io per tutta la durata dell'esame non ho fatto altro che fissare la cattedra. Un bel pezzo di legno non c'è che dire, massiccio, di noce scuro, ma non era nelle mie priorità della giornata conoscere le fattezze del mobilio della mia facoltà. La mia priorità era superare questo maledetto esame di letteratura contemporanea nel migliore dei modi e godermi qualche giorno di meritato riposo prima di cominciare la stesura della tesi. E per fortuna ci sono riuscita. Ho firmato velocemente la camicia, il giovane assistente mi ha restituito il libretto regalandomi un languido sorrisetto mentre io, educata come sempre, l'ho salutato con un cortese -Buona serata e buon lavoro- prima che lui invitasse, con un tono di voce stranamente alto, il prossimo candidato ad accomodarsi a quello che fino a un minuto prima era stato il mio posto.
-Anche questa tortura è finita- mi ripeto, nel tentativo di rilassarmi. Sto camminando nel lungo e semi deserto corridoio della facoltà di Lettere del King's College, mi guardo intorno sorridendo, ricordando tutti i bei momenti trascorsi con le mie compagne di corso, quando scherzavamo e ridevamo per un nonnulla, quando eravamo preoccupate per un esame, quando eravamo stanche dopo un'intensa giornata trascorsa tra corsi e studio matto e disperato in biblioteca.
-Adesso è finita- penso, un po' rattristita dal dispiacere che la mia vita universitaria stia per terminare -O meglio, c'è la tesi Lilibeth e poi...-
Già, e poi chissà. Tutti, perfino Maggy e Bess che non sono mai nemmeno entrate in un ateneo, mi ripetono ogni giorno di continuare gli studi perché sono brava, capace, portata, ma io non so se me la sento. L'idea di dover ricominciare tutto daccapo tra corsi, esami, professori menefreghisti e assistenti sbadati o donnaioli, mi fa agitare. Studiare per quest'ultimo esame è stato poi davvero difficile, la mia testa era da tutt'altra parte, altrove, era, era ancora a Monaco, era ancora allo Sugar Shack, era ancora con Brian nella camera 639 dell'Arabellahaus. Non so davvero dove abbia trovato la forza di andarmene quella mattina di un mese e mezzo fa. Maggy e Bess, non appena ho raccontato loro la storia, mi hanno detto che sarei dovuta restare lì, che non sarei dovuta andar via -Ma cosa ne sanno loro? Cosa ne sanno?- Mi domando, scuotendo il capo, cercando di tenere saldamente a tracolla il mio fedele zainetto damascato che sta implorando pietà dato il peso eccessivo del libro-mattone dell'esame di letteratura -Se fossi rimasta lì mi sarei sentita... un'approfittatrice, si un'approfittatrice ecco o, o forse lo sono già stata. Non avrei dovuto fare l'amore con lui anche se... anche se è stata la cosa più bella che mi sia mai potuta capitare in tutta la mia vita-
Ecco: la gioia di essere stata nel cuore di uno dei chitarristi più famosi al mondo, almeno per una notte, si alterna di nuovo al senso di colpa per essermi, a mio avviso, approfittata della sua condizione psicologicamente fragile e instabile. Questo tormentoso avvicendarsi ritorna a imperversare, scomodo e violento, nella mia anima già abbastanza provata. In realtà lo ha già fatto troppo spesso nell'ultimo mese e mezzo della mia vita, impedendomi di studiare e concentrarmi come avrei voluto, ostacolandomi nei miei convinti, seppur pochi a dire la verità, tentativi di svago e divertimento serali insieme a Maggy e Bess. Non che sia mai stata amante delle serate in discoteca poi. Me n'è bastata una, una sola, per cambiarmi la vita.
Sono quasi giunta all'ingresso della facoltà, me ne accorgo perché avverto il fresco vento serale londinese farsi strada sotto il mio cappottino ancora sbottonato -Certo che abbiamo fatto davvero tardi- commento guardando l'orologio affisso al muro del corridoio che sto attraversando -Sono le sei. Bene, ho appena perso l'autobus e mi tocca aspettare almeno mezz'ora per quello successivo. Sarà meglio fare un giro nell'atrio, così vedo se c'è qualche annuncio di lavoro interessante affisso alle bacheche- Continuando a camminare a passo svelto, richiudo i bottoni del mio leggero cappotto grigio a quadri, ne alzo il colletto e a testa bassa raggiungo l'immenso atrio del King's College. Anche qui non ci sono molti studenti a quest'ora tarda e la desolazione in cui è sommerso fa sembrare questo infinito androne ancora più sconfinato di quello che è. Tutti i suoni, anche quelli quasi impercettibili all'orecchio, vengono amplificati dall'eco argentino e cadenzato prodotto dal calpestio delle levigatissime mattonelle a scacchi. Mi guardo intorno e scorgo studenti ritardatari, che si affrettano per non perdere l'autobus o la metro, insegnanti che si recano verso l'uscita dell'ateneo senza fretta, chiacchierando tra loro, gruppetti di amiche di corso che ridono e ciarlano amabilmente, e... -No, non può essere lui, che ci fa qui?- mi domando, completamente stralunata.
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Allo Sugar Shack (A Brian May Fanfction)
FanficMany girls that night at the Sugar Shack But you chose me (Chili Lily - At The Sugar Shack)