Roma, 257 d.C., Publio Licinio Valeriano e Publio Licinio Egnazio Gallieno Imperatori
"Allora, siamo d'accordo?".
Una leggera e tiepida brezza di fine primavera attraversò il vasto atrio che si affacciava su un giardino rigoglioso e ben curato. Numerose statue di marmo si affacciavano, con le loro pose plastiche ed immobili, tra le colonne stuccate, le fontane ed i cespugli di rose e rosmarino, quasi a spiare, curiose, la conversazione.
La donna, dall'elaborata acconciatura, con un gesto fluido del polso, fece roteare il vino Falerno che aveva nella coppa e fissò l'uomo semidisteso difronte a lei. L'età non ne aveva scalfito la bellezza del volto, dai tratti austeri, e gli occhi di un blu acquoso erano ancora quelli che avevano fatto innamorare mezza Roma, molti anni prima.
"Sì. Siamo d'accordo" rispose.
Cornelia Verania ingollò il liquido dolce e speziato, che contro la sua lingua divenne quasi amaro dopo aver pronunciato il suo assenso.
Sospirò impercettibilmente. Non avrebbe mai creduto di riuscire a dire quelle parole, di doversi piegare a trattare il suo rango senatoriale per soldi. Vedova e madre di due figli, ultima rappresentante di una delle più antiche Gens dell'Urbe, Cornelia era stata sballottata negli ultimi anni tra le mille vicissitudini dell'Impero e la miriade di Imperatori che avevano governato anche solo per qualche mese, impoverendo le ancora molte e aristocratiche famiglie della capitale, ultimi baluardi della grandezza di Roma. L'ultima disgrazia era stata la proscrizione che Gallieno aveva impartito ai cittadini, con pesanti conseguenze economiche e sociali.
E così, ora si trovava lì, nell'opulenta villa di Gaio Sestio Scaptio, di ricca famiglia equestre, alle pendici del Palatino, a barattare una carica in Senato in cambio di soldi.
Nonostante tutto, quell'uomo di mezza età e dalla camminata claudicante a causa di una vecchia ferita di guerra, l'aveva accolta in modo gentile, cercando di metterla a suo agio.
"Vostro figlio si trova a Roma, attualmente?" domandò, a smorzare l'aria pesante che aveva seguito la sua risposta affermativa.
"Rientrerà a breve, al seguito di Gallieno. Ha combattuto valorosamente sul fronte renano!".
Cornelia abbandonò per un'istante il suo cipiglio severo, lasciando spazio ad un lieve sorriso. Gaio sembrava essere molto orgoglioso di suo figlio; avrebbe voluto esserlo anche lei del suo.
"Bene. Sarò lieta di farlo incontrare con Camilla, appena sarà qui a Roma".
Il tribuno laticlavio Sergio Sestio Scaptio allungò le gambe nell'acqua, immergendosi nell'atmosfera fumosa ed umida del tepidarium delle piccole terme di provincia. Quando l'acqua arrivò a lambirgli il mento, chiuse gli occhi e sospirò rilassato. Il silenzio dell'ambiente, intervallato da un lieve gocciolio, gli sembrò strano.
Per mesi, gli unici suoni che le sue orecchie avevano ascoltato erano stati gli ordini del Legato e le urla assordanti dei barbari che si lanciavano disordinatamente contro le legioni.
Aprì gli occhi e osservò i grossi telamoni di stucco del soffitto, che sembravano mantenere sulle proprie spalle un grosso peso, ma senza mostrare alcuna fatica. Quel silenzio, ora, era quasi irreale, eppure decise di goderselo più che poteva. La sua licenza sarebbe durata ancora per poco: Gallieno gli aveva affidato il compito di mettere in pratica l'editto che suo padre Valeriano aveva appena emesso, cioè setacciare Roma con lo scopo di arrestare i capi della setta cristiana e di perquisirne i beni. Le campagne militari contro i barbari erano dispendiose e l'erario aveva bisogno delle ricchezze che quei fanatici possedevano ed accumulavano.
Dopo estenuanti marce e sanguinose battaglie sul limes, Sergio era stato quasi contento di tornare a Roma ed accettare quell'ordine. Amava combattere, ma dopo nove anni lontano da casa, l'idea di un po' di tranquillità non gli dispiaceva affatto. Sperò solo che il compito assegnatogli non fosse troppo noioso. Inoltre c'era la questione della sua carriera: suo padre teneva che lui riuscisse, grazie ai suoi meriti militari, ad accedere al Senato e ottenere un'importante carica pubblica.
Sarebbe stato difficile senza gli appoggi giusti, ma per quel che ne poteva sapere, suo padre Gaio Sestio stava già da un po' lavorando in tal senso e la loro famiglia era abbastanza ricca per comprare il favore di qualcuno.
Il silenzio delle terme si infranse con risa, insulti e parole oscene. Sergio roteò gli occhi rassegnato, prima che qualcuno si tuffasse nella spaziosa vasca tiepida, schizzando acqua ovunque.
Due ragazzi si agitarono e si dimenarono nell'ampia vasca, avvinghiati come due lottatori.
Uno dei due ragazzi emerse, tenendo bloccato l'altro con un braccio attorno alla gola: "Quando mi darai la somma che mi devi?".
L'altro annaspò nell'acqua: "Non ti devo niente! Hai imbrogliato!" dichiarò con la voce strozzata.
Claudio Decio Peregrino affondò la testa di Tito Fabio Corvo sott'acqua e poi lo tirò su: "Non ho imbrogliato! Ho vinto onestamente! Mi devi dei soldi!".
Tito sputacchiò acqua cercando di riprendere fiato: "No!".
Claudio sollevò il capo rivolgendo uno dei suoi affascinanti sorrisi al compagno di fronte: "Vero, Sergio, che questo farabutto mi deve dei soldi?".
Tito strizzò gli occhi azzurri, lievemente arrossati: "Diglielo che non gli devo niente!".
Sergio squadrò i suoi amici, tribuni militari come lui, con sufficienza: "Non so nemmeno di cosa state parlando".
"Come di cosa?" strabuzzò gli occhi Claudio "Dei dadi! Ieri sera ho vinto cinque partite su cinque contro questo farabutto! E tu hai visto!".
Tito sputacchiò l'acqua tiepida: "I dadi erano truccati!".
Sergio si grattò il mento rasato, con fare incerto: "In effetti, il dubbio che tu usassi dadi truccati è venuto anche a me".
Claudio lo fissò con astio: "La prossima volta useremo i tuoi dadi e vedremo! Vinco perché la Dea Fortuna è dalla mia parte! Non ho bisogno di mezzucci da bettola per vincere".
"Non fidarti!" riuscì a dire Tito prima di finire nuovamente ad annaspare sott'acqua.
Sergio scoppiò a ridere e uscì fuori dalla vasca risalendo dei piccoli gradini di pietra: "Non perdete altro tempo. Domani voglio essere a Roma entro l'ora di pranzo".
Con un colpo di reni, Tito riuscì a liberarsi dalla stretta di Claudio, e ad allontanarsi abbastanza per riprendere fiato, senza mancare di lanciare qualche occhiataccia al compagno tra un colpo di tosse e l'altro.
Claudio si passò una mano tra i capelli castani e sorrise: "Ah, Roma! Non vedo l'ora di rivedere il mio ometto".
Anche Tito sorrise e gli si avvicinò; Claudio aveva due passioni nella vita, di cui non faceva altro che parlare: lo studio dell'architettura e suo figlio di cinque anni, Flavio.
"Sarà certamente cresciuto".
"Già. E' passato del tempo dall'ultima volta che mi ha visto. Spero che si ricordi di me!"
Gli occhi azzurri di Tito scrutarono il profilo attraente e bagnato del compagno. Claudio aveva anche una terza passione, di cui però non parlava mai.
Tito affondò la testa nell'acqua e ne riemerse subito grattandosi i corti capelli biondi, che gli si arruffarono in cima alla testa: "Mi dispiacerebbe se si spaventasse con la tua brutta faccia".
Claudio gli allungò un pugno diritto ad una spalla, che Tito riuscì facilmente a schivare; il ragazzo però lo bloccò con l'altro braccio, circondandogli il busto, all'altezza dello stomaco e posizionandosi dietro di lui.
Rimasero così, immobili, mentre l'acqua che avevano agitato, sciabordava in piccole onde contro i bordi della vasca.
La presa di Claudio si ammorbidì per diventare un abbraccio: "Quanto tempo abbiamo?".
Tito avvertì il membro turgido del compagno premere contro il solco delle sue natiche. Un brivido gli percorse il corpo, dalle dita dei piedi alla nuca. Voltò la testa di lato: "Il nostro collega ha una certa fretta".
Claudio gli cercò la bocca: "Anche io, ora, ho una certa fretta".
Il giovane biondo si lasciò baciare; era bello essere una delle passioni di Claudio Decio.
Camilla Verania si sistemò lo spillone tra i capelli neri come la notte, con fare distratto. Con gli occhi rivolti al pavimento mosaicato dell'atrio, ascoltava sua madre che, con aria stanca, le spiegava cosa sarebbe stato della sua vita, negli anni a venire.
"Cosa?".
Camilla e Cornelia sobbalzarono a quell'urlo. Publio Veranio Maecia era entrato senza far rumore e, dall'espressione furibonda che gli contorse i bei lineamenti, era molto probabile che avesse ascoltato le parole di sua madre.
"Sono io il capo famiglia, madre! Avresti dovuto informarmi!".
"Così avresti detto no" ribattè Cornelia, senza nemmeno guardarlo.
"Barattare mia sorella per soldi? Certo che avrei detto di no!".
"Abbiamo bisogno di sostanze per mantenerci. E questa è la soluzione più ovvia e comoda per tutti. In fondo, ci è stato solamente chiesto di far entrare il figlio di Gaio Sestio in Senato per ottenere una qualche carica pubblica".
Publio arricciò le labbra, disgustato: "Compito che dovrò accollarmi io, giusto?".
Cornelia sollevò il suo sguardo severo sul figlio maggiore: "Esatto. Sei un senatore. Aiuterai il tuo futuro cognato. E' il minimo che tu possa fare, dopo aver sperperato quasi per intero ciò che rimaneva del nostro patrimonio".
Publio mugugnò infastidito. Se c'era una cosa che detestava era certamente il livore che sua madre Cornelia aveva nei suoi confronti e nei confronti del suo stile di vita.
Il giovane senatore rivolse poi la sua attenzione su Camilla e deglutì a vuoto. Sua sorella minore sembrava distratta, per niente interessata a quella discussione che decideva la sua sorte. Era piccola, fragile.
"Posso farlo senza la necessità di combinare matrimoni" intervenne qualche istante dopo "Per quel che so, il figlio di Sestio Scaptio è un tribuno che si è distinto in guerra. Non sarà difficile fargli ottenere un seggio in Senato".
"La situazione è difficile, Publio. La mia decisione è irrevocabile".
"Se la tua decisione è questa, madre, per me va bene" mormorò la fanciulla.
Cornelia sospirò chiedendosi come fosse stato possibile per lei generare due figli così diversi l'uno dall'altra: il maschio, Publio, vanesio e arrogante, dedito al gioco dei dadi, ai lupanari e al vino; la femmina, Camilla, dal carattere dolce, comprensivo ed ubbidiente.
Publio si avvicinò alla sorella e le prese una mano, cercando la sua ettenzione: "Non è necessario che ti sacrifichi...".
"Ho l'età giusta per maritarmi, fratello" ribattè lei, fissando i grandi occhi blu in quelli del fratello "E sai che rispetto le decisioni di nostra madre".
"Sono felice che almeno tu abbia un po' di buon senso. Sergio Sestio Scaptio è un tribuno che gode dei favori dell'imperatore. E' giovane e, se possiede un po' del fascino del padre, sono sicura che ti riterrai fortunata a maritarti con lui" intervenne Cornelia, in tono conciliante.
Publio inspirò l'aria, furibondo. Avrebbero potuto portargli via tutto, persino quel poco di dignità che ancora conservava, ma non Camilla, la sua Camilla.
La fanciulla annuì accennando un sorriso; lasciò la mano del fratello che aveva cominciato a stringersi nervosamente attorno alle sue dita e lasciò l'atrio.
"E' sconvolta" mormorò Publio, seguendola con lo sguardo.
"Oramai Camilla ha diciotto anni, Publio. A quell'età, io avevo già partorito te. Deve sposarsi, o si comincerà a pensare che abbia qualcosa che non va... a quel punto sarà troppo vecchia e nessuno la vorrà" scosse la testa "Non capisco questo tuo accanimento. Tua sorella non è più una bambina da proteggere. E' una donna".
Publio volse le spalle a sua madre e uscì anch'egli, con passo deciso.
Cornelia si passò una mano sugli occhi, con un gesto stanco. Publio, sin dall'infanzia, aveva sempre nutrito un profondo affetto per la sorella minore, quasi un attaccamento morboso, che il più volte aveva creato problemi, rifiutando già in un paio di occasioni le proposte di matrimonio di alcuni partiti di rilievo.
Strinse le labbra e con un cenno chiamò la schiava, affinchè le versasse da bere. Camilla doveva sposarsi e Publio non avrebbe dovuto creare alcun problema, questa volta.
Appena arrivata alla sua stanza, Camilla si guardò attorno. Non c'era nessuno. A quell'ora, gli schiavi erano indaffarati nelle cucine. Deviò verso il giardino, raggiungendo il muro di fondo che delimitava la proprietà. La fanciulla rivolse ancora lo sguardo attorno a sé, poi s'infilò dietro un'alta siepe.
I rami delle piante le punsero la pelle della schiena, attraverso la veste. Rabbrividì. Sergio Sestio Scaptio. Questo il nome di colui che sarebbe diventato presto suo marito. Per quanto avesse cercato di non darlo a vedere, la notizia l'aveva scombussolata. Sua madre pareva decisa a darla a quel tribuno militare e l'opposizione di suo fratello era servita a ben poco.
Nel piccolo angolo che la siepe e il muro creavano, Camilla si inginocchiò e allungò la mano ad accarezzare l'intonaco scrostato dove lei stessa aveva inciso la forma di un pesce; chiuse gli occhi e cominciò a pregare.
Glossario:
Tiepidarium: parte delle Terme, assieme al Calidarium ed al Frigidarium, destinata ai bagni di acqua tiepida.
Limes: confine dell'Impero.
Telamoni: elemento di decorazione e/o strutturale che rappresenta un uomo che sostiene un grosso peso sulle spalle.
Erario: il patrimonio, le casse dello Stato.
Pesce: simbolo cristiano.
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Lux in Tenebris
Historical FictionRoma, 257 d.C., Publio Licinio Valeriano e Publio Licinio Egnazio Gallieno Imperatori Il tribuno Sergio Sestio Scaptio torna a Roma dopo anni passati a combattere per l'Imperatore, con un nuovo compito: dare la caccia ai membri della setta dei crist...