The Fisherman's Lodge

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Ci volle una giornata intera per raggiungere la sua destinazione. Dopo il viaggio in macchina con sua madre, l'aereo, il bus, il treno e un taxi precedentemente prenotato, la ragazza si ritrovò, sfinita, su un marciapiede umido di Cong. Un signore anziano con una giacca a vento color vinaccia le passò di fianco, ricordandole così di tirare fuori il suo maglione di cotone pesante. La temperatura era molto simile a quella italiana, ma l'aria era fresca e in perenne movimento. Anche le nuvole parevano più veloci, in una corsa continua verso nuove destinazioni. Davanti a sé vide un piccolo cottage bianco con il tetto di paglia e la porta verde scuro, con una scritta:"Quiet Man Museum", ovvero il museo dell'uomo tranquillo, dal famoso film di cui aveva letto nei giorni precedenti su internet. La casa di Finn non doveva essere molto distante. Sulla lettera c'era una graziosa immagine della sua proprietà, con rose gialle rampicanti che incorniciavano un portone ad arco e un curioso contrasto tra i muri di pietra grigia e le minuscole finestre di legno viola. Un giardino di piccole dimensioni era recintato da un muretto alto al massimo mezzo metro, e una porta di ferro nera con decorazioni a spirali si apriva su un piccolo viottolo di ciottolato. Nonostante la ricchezza dei dettagli disponibili, Erica passeggiò per le vie del paese per più di mezz'ora, senza trovarne traccia. Le case, notò nervosamente, non erano provviste di numero civico, e questo spiegava il perché Finn non lo avesse incluso nell'invito. C'era un'unica informazione, ovvero il nome della casa:The fisherman's lodge, la casa del pescatore. La ragazza prese il tramezzino acquistato in stazione nel pomeriggio e si accontentò di una cena frugale, seduta su un muretto accanto al fiume che passava nel bel mezzo del villaggio. Aveva quasi perso le speranze quando le parve di intravedere, nella distanza tra gli alberi, il tetto di una casa isolata. Non era esattamente facile da raggiungere, non pareva avere un sentiero immediatamente accessibile, ma sembrava essere all'interno di un parco. Forse, pensò, doveva camminare oltre l'abbazia che aveva notato passando poco tempo prima con il taxi. Camminò ancora dieci minuti, superando un ponte di pietra e una chiesa, e finalmente se la ritrovò di fronte, non lontano dal fiume. Intorno alla casa, distese di colline verdi perfettamente curate facevano da sfondo a un meraviglioso panorama naturale. Un batacchio dalla forma di putto dorato invitava gli ospiti ad entrare direttamente nella proprietà e bussare al bellissimo portone di quercia borchiato. Bastarono pochissimi secondi di attesa, e un signore piuttosto anziano,uscì nel giardino.
«Buonasera, signorina. Come sta?» sapeva che nei paesi anglosassoni era prassi porre agli sconosciuti quella domanda, e sfoderando il suo inglese migliore, provò a rispondere: «Bene grazie. È lei il signor Finn? Sono la figlia di Amalia, la sorella di Flora». La ragazza tirò fuori la lettera, leggermente sgualcita dal viaggio. Il vecchio fissò il vuoto per alcuni istanti, preso dai suoi pensieri, e poi riprese a parlare. I suoi occhi brillavano, chiaramente presi da un nuovo e importante interesse nei suoi confronti. «Non mi aspettavo veramente che sarebbe arrivata, questa è per me una piacevole sorpresa. Erica, vero? Certo sì. Ovvio che è così». L'uomo bofonchiò qualcosa tra sé, aprendo la porta verso uno stretto corridoio di moquette. La ragazza si pulì attentamente le scarpe ed entrò. Immediatamente fu pervasa da uno strano odore di fumo dolciastro. Era qualcosa che non aveva mai sentito prima di allora. Finn prese un portachiavi di ottone e le mostrò quella che sarebbe stata la sua camera, al piano superiore. «Quanto rimane, signorina Erica?» chiese. «Qualche giorno può andare bene? Per esempio una settimana?» mentì, preoccupata di essere troppo invadente. «Per me può rimanere tutto il tempo che vuole. Anche tutta l'estate» sorrise Finn amabilmente. «E poi» concluse «abbiamo molto da dirci, signorina Erica».
Sì ma non ora, pensò. Era distrutta dal viaggio. La sua camera si mostrava decisamente confortevole; un letto a baldacchino con un copriletto rosso vermiglio la invitava a riposarsi, finalmente. Vide un foglio stampato su uno scrittoio di legno con le regole della casa, e l'orario della colazione. Quello sarebbe stato il momento in cui si sarebbe alzata. Tra le otto e le nove. E avrebbe parlato di lei.
Il mattino successivo entrò in una luminosissima sala da pranzo, completamente rigenerata. Ad aspettarla trovò un piccolo tavolo con del succo d'arancia, latte, tè caldo e caffè. Finn doveva averla sentita scendere, perché si presentò immediatamente, con del pane tostato, per chiederle se voleva la colazione tipica irlandese. «Ok» rispose sedendosi accanto a una vetrata vista fiume. Si ritrovò un piatto bollente con fagioli al pomodoro fumanti, salsicce, dei funghi champignon, un enorme fetta di bacon affumicato, mezzo pomodoro alla piastra e un uovo strapazzato. Non aveva mai visto una colazione più opulenta. Il burro era cremoso, dorato, e con una punta di salato che lo rendeva incredibilmente buono. La giornata non poteva iniziare in un modo migliore. Non aveva ancora deciso come muoversi, le sarebbe piaciuto vedere la scogliera dove la zia aveva fatto la fotografia che l'aveva colpita, ma, si rese conto, non sapeva nemmeno che vita facesse qui, e se ci fossero cose ben più importanti da sapere subito. Doveva ammetterlo, almeno a se stessa, il dubbio più ovvio era che si fosse suicidata. Cosa poteva essere più plausibile?
Finn non pareva in vena di chiacchierare. Lo vide nel corridoio con un vecchio paio di stivali da pesca e un gilè marrone. A quanto pareva aveva altri piani per la giornata. «Parleremo questa sera, Erica» esclamò intuendo i suoi pensieri «oggi vado a prendere una bella trota, per mio nipote Brian. I primi clienti arrivano nel tardo pomeriggio, e forse non avrò più occasione di prendermi una giornata libera, con il b&b». Fece un cenno di saluto con la mano. La ragazza era curiosa. Finn aveva un nipote? L'uomo aggiunse di sentirsi come a casa sua, usare frigorifero, gas e quant'altro senza farsi problemi.
Approfittare della sua gentilezza non rientrava certamente nei piani di Erica. Avrebbe mangiato uno snack in paese, se necessario, e avrebbe perlustrato la zona con calma.
Aveva letto che non molto distante si trovava il più antico castello d'Irlanda, eretto nel 1228, trasformato in Hotel di lusso, e appartenuto tra l'altro alla famiglia Guinness. Poteva essere un buon modo per iniziare a vedere con i suoi occhi i luoghi dove aveva vissuto la zia. Passeggiò lentamente, osservando i prati luminosi baciati dal sole. L'erba sembrava più verde, in quel luogo. Dipendeva forse dalla grande quantità di acqua che il terreno assorbiva a cicli alterni. I tronchi degli alberi erano estremamente ricchi di muschio. Iniziava a capire il motivo per cui l'Irlanda era stata definita "isola di smeraldo". Ogni sfumatura di colore del paesaggio era intensa e strabiliante. Non sapeva in che altro modo esprimersi con se stessa. Chissà se Flora aveva pensato le stesse identiche cose, ritrovandosi nello stesso sentiero, in un mondo totalmente nuovo anche per lei. Non lo avrebbe mai saputo. In quell'esatto momento, ebbe una presa di coscienza fondamentale: non avrebbe mai potuto scoprire che cosa pensava, in cosa credeva, se era stata felice oppure no. Solo Finn poteva aiutarla, farle conoscere un po' meglio una donna di cui aveva solamente scorto un sorriso in una vecchia fotografia. Il castello si presentò ai suoi occhi come un enorme maniero grigio, una tipica fortezza medievale, contornato da un perfetto giardino in stile inglese. Un ponte di pietra conduceva direttamente al parcheggio, pieno di macchine di clienti che giungevano da ogni parte del mondo, e notò una barca alla sua sinistra, attraccata per portare i turisti in gita sul lago adiacente. Sembrava un luogo decisamente romantico. Il classico hotel dove organizzare un matrimonio da sogno, tra calici di champagne e parenti eccentrici che litigavano per l'ultimo gambero in salsa rosa. Due uomini, in tenuta da golf, le passarono di fianco, chiacchierando amabilmente. Il tempo sembrava essersi rallentato, per cedere il passo a un ritmo insolitamente calmo. Respirò a pieni polmoni quella sensazione positiva.
Raggiunse l'elegante portone che conduceva alla reception, e presa dalla curiosità, entrò a dare un'occhiata. In quella che poteva definirsi una hall lussuosa alcuni divani erano disposti accanto a un grande camino ristrutturato in stile moderno. Un dipinto d'epoca mostrava alcune donne dell'ottocento intente al chiacchiericcio. Notò una giovane ragazza che la fissava incuriosita, dal retro del suo bancone. Probabilmente l'aveva scambiata per una cliente in cerca di aiuto. Erica decise quindi di uscire nuovamente e ritornare sui suoi passi, per raggiungere il centro di Cong, dove trovò quasi subito un piccolo negozio di alimentari. Acquistò alcuni cibi confezionati e pensò di fare scorta di succhi di frutta, pane in cassetta e scatolette di tonno, da portare nella sua camera per la sera. Non aveva voglia di andare da sola in un ristorante, e tanto meno in un bar. Come ragazza sola, lontana da casa, si sentiva vulnerabile. Quando rientrò al b&b trovò una coppia di americani che scaricava delle valigie da una lunga macchina nera, probabilmente noleggiata per l'occasione. A quanto pareva, quelli erano i primi, veri clienti della casa. Vide Finn, con la sua solita gentilezza, accoglierli calorosamente. Aveva capito la loro nazionalità dalla cadenza decisamente diversa della lingua. Le parole parevano masticate velocemente, e avendo visto molti film in lingua originale, aveva imparato a riconoscere la differenza tra lo stile inglese e quello americano. Finn la invitò a cenare con lui e il nipote, che sarebbe arrivato a momenti. Erica fu colta alla sprovvista, ma non rifiutò l'invito. Era il momento, finalmente, di conoscersi meglio. La ragazza si fece una doccia calda, si mise un paio di jeans puliti, e tornò di sotto. Le pareva decisamente presto per la cena, erano le sei appena passate, ma aveva letto tutto sulle abitudini irlandesi, prima di partire, e sapeva che qui era la norma mangiare molto presto la sera. Finn la chiamò da quello che doveva essere il salotto, e la fece accomodare su un divano di pelle marrone. Notò con curiosità che un camino scoppiettava, di fianco, rilasciando un aroma pungente e dolciastro. Lo stesso che aveva sentito il giorno precedente.
«Torba» disse «noi qui non usiamo legna. È tradizione così, e il camino è acceso tutto l'anno, in molte case». Il vecchio buttò un mattone marrone di terra compatta sulla fiamma, ravvivandola.
«So che ti sei chiesta cos'era. Ho portato qui una giovane ragazza come te, tanto tempo fa, che si faceva le stesse domande. Rammenti?» sorrise e si sedette. Sembrava molto stanco. Aveva appena accorciato le distanze, nel modo di parlare fra loro. «Quando ho conosciuto tua zia, non credevo nelle storie a lieto fine. Sono sempre stato sfortunato con le donne, prima di allora. Flora era speciale, mi sono accorto subito che era diversa dalle altre». Si mise più comodo, appoggiandosi allo schienale. «Forse troppo diversa». In quell'istante parve parlare più che altro a se stesso. «Eravamo felici insieme. Lei adorava il mio paese e non ha faticato ad ambientarsi fin da subito. Amava le storie, le tradizioni, la cultura irlandese, la gente. Proprio come me». Solo in quel momento Erica notò un attestato appeso alle sue spalle. A quanto pareva Finn era un archeologo. La ragazza era stupita dalla nuova scoperta. «Che cosa è successo, quel giorno?» si ritrovò a domandare subito dopo. «Niente di strano. Flora è uscita di casa, il sole splendeva e l'aria era calda. Qui non è facile trovare giornate senza vento, quindi, quando capita, tutti ne approfittano per attività all'aria aperta, soprattutto d'estate. Andava volentieri a passeggiare, da sola. Ma quel giorno, purtroppo, non è più tornata. Nessuno l'ha vista, né sulla strada verso il castello, né in paese. Sparita nel nulla. Le ricerche sono continuate per giorni. Se fosse caduta nel fiume, o più avanti nel lago, qualcosa sarebbe riemerso, prima o poi. Invece niente. E comunque sapeva nuotare bene, tua zia. Qui il mare è cattivo, basta poco per essere trasportati lontano dalle correnti, e io l'ho vista più volte domare le onde. No, non è successo nulla del genere». L'uomo guardò alla finestra, l'ospite della serata tardava ad arrivare.
Erica non vide nulla di femminile attorno a se. Niente faceva intuire che in quella casa, molto tempo prima, avesse vissuto una donna. «Perché ci hai spedito l'invito?» provò a immaginare una risposta da sola, mentre Finn fece una lunga pausa, per trovare evidentemente le parole adatte. «Volevo conoscere la sua famiglia. L'anno scorso mio fratello ha avuto un infarto. Aveva 75 anni. Io non sono molto lontano da quell'età. A un certo punto, si inizia a pensare alla morte. Mi rimane soltanto Brian, e certe cose, cose di mia moglie intendo, non le voglio lasciare a lui. È giusto che le abbiate voi».
Stava per ricevere qualcosa appartenuto a Flora? La ragazza si sentì molto agitata. Che cosa voleva donarle Finn? Stava per dare voce ai suoi pensieri, quando, improvvisamente, la porta d'entrata si aprì improvvisamente. L'ospite era arrivato. E così, suo malgrado, avrebbe dovuto aspettare ancora.

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