Grace

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Una donna minuta, con un golfino bordeaux e i capelli biondi tirati in una crocchia perfetta, la raggiunse lentamente dal viale alberato. Prese un piccolo telecomando dalle tasche e fece scorrere il cancello per liberarle il passaggio. Non sembrava molto vecchia, probabilmente aveva una sessantina d'anni, e li portava molto bene, grazie ad un trucco accurato, tra cui un vistoso fondotinta scuro e un rossetto color mattone. Le sue mani, con un cenno di rughe, erano piene di anelli d'oro con enormi pietre preziose. Il suo aspetto era decisamente eccentrico, pensò la ragazza vedendola sempre più vicina. Non aveva l'aria di voler socializzare, anzi, sembrava piuttosto scocciata. Cercò di presentarsi come meglio poteva, ma si accorse immediatamente che la signora ascoltava le sue parole in maniera distratta, annuendo con la testa ma aspettando solamente di congedarsi.
«Insomma, in sostanza...» cercò di raggiungere il nucleo della questione brevemente, visto il suo mancato interesse «volevo sapere se per caso conosceva mia zia, Flora». L'ultima parola parve risvegliarla improvvisamente come una doccia gelata. Flora? Non era sicura di aver sentito bene. «Conoscevo una donna con questo nome, sì. Tanti anni fa. E così tu saresti la nipote? E come hai fatto a trovarmi?» Erica si sentì confusa. Perché mai avrebbe dovuto cercarla? Aveva forse qualcosa da dirle sulla relazione tra sua zia e l'americano? Si rese conto che anche il suo accento non era irlandese. Probabilmente si trattava della moglie. «Ho saputo che suo marito è morto. Mi dispiace molto.Mi hanno detto che era molto in amicizia con lei, per questo sono qui. Vorrei sapere qualcosa in più sul loro rapporto». Si rese immediatamente conto della gaffe tremenda che stava facendo. Se lei era veramente la moglie, era probabile che non ne sapesse nulla.
«Per prima cosa» rispose facendole cenno di seguirla verso casa «era mio fratello, non mio marito. Ma ti ringrazio per il pensiero. E seconda cosa, non meno importante, si diceva che fossero amanti, non amici». La donna doveva essere una di quelle persone particolarmente rare da trovare, facente parte della categoria della gente poco propensa ai giri di parole.
La fece sedere a un tavolino di ferro bianco in una veranda di vetro sul lato della cucina. Il tramonto dal cielo filtrava nella stanza attraverso il vetro, mischiandosi a un giardino incantato dai confini indefiniti. Alcuni rampicanti facevano da cornice al panorama, rendendolo ancora più suggestivo. La donna tornò con un caffè e un piattino con delle tortine alla fragola. Era la giornata dei dolci, pensò Erica cercando di mostrarsi comunque riconoscente per il gesto. Probabilmente se avesse mangiato qualcosa di salato, a cena, avrebbe apprezzato quella pasta frolla ricoperta di crema pasticcera come meritava, ma le papille gustative erano ormai sovraccariche di zucchero. «Mi stava chiedendo come ho fatto a trovarla, signora...» la ragazza si accorse in quell'istante di non conoscere il suo nome. «Grace» rispose la donna affabile. «Trovo alquanto curioso trovarmi di fronte alla nipote di Flora dopo vent'anni. E mi chiedo se il motivo è quello che credo. Che cosa sai di lei?» La domanda sembrava decisamente fuori luogo per il contesto. «Non molto. Non l'ho mai conosciuta, in realtà. Vorrei solo scoprire che cosa le è successo. Mi rendo conto che forse è impossibile, insomma, non è facile con gli elementi disponibili. Per questo sono venuta, speravo di trovare qualche risposta, dopo che ho saputo che... ecco, lei e suo fratello erano molto amici». Erica si rese conto di avere delle aspettative troppo alte. Presa dalla rabbia per quello che aveva scoperto, era diventata cieca all'evidenza. Sarebbe tornata a casa come era venuta, con quella dannata domanda che l'avrebbe tormentata per sempre: che cosa era successo veramente a Flora? «La gente è pettegola, cara ragazza. È bastato vederli insieme un paio di volte, per inventarsi mille storie. È per questo che non vengo mai in paese, preferisco evitarla, la comunità». Grace le versò dell'altro caffè e si sedette a osservare il cielo infuocato. «Devo ammettere» rispose Erica «che questo è il principale motivo per cui sono qui. Credevo che fosse vero, che mia zia avesse veramente un amante». Si sentiva spiazzata, e molto in colpa per aver strappato quella fotografia. «Flora aveva un grande amore, sì, ma non per mio fratello, per il mistero. Si era appassionata di alcune storie, e insieme stavano cercando un luogo molto particolare. Credevo che un giorno il marito sarebbe venuto a bussare alla mia porta. Per il libro. Era suo, e l'aveva pagato a peso d'oro. Ma nessuno in questi anni si è mai presentato. Quando ho sentito che pronunciavi il suo nome, ero certa che fossi venuta per quello». La ragazza le disse che non sapeva nemmeno di cosa stesse parlando. Ormai aveva acceso la sua curiosità, e le chiese delucidazioni a riguardo. «È ritirato, in soffitta. Torna domani, quando c'è il sole. Non c'è la luce lassù» rispose la donna riportando le tazze in cucina. Quando fu nuovamente per strada, Erica cercò di riassumere nella mente ciò che aveva sentito da Grace. Sua zia non aveva un amante, e il libro acquistato nella libreria in centro apparteneva solo a Flora, e forse aveva qualcosa a che fare con la sua scomparsa. Non vedeva l'ora di parlare con Brian. O forse era solo un buon pretesto per vederlo e rimanere un attimo in disparte con lui. Per entrare nel locale superò una nuvola di fumo spessa come mattone. Un gruppo sostanzioso di fumatori si era ammassato sul ciglio della strada con le pinte di birra in mano, facendo un baccano a cui non era più abituata da tempo. «Brutta serata» disse Brian, con i capelli raccolti e una t- shirt che mostrava le sue lunghe braccia. Solo in quell'istante Erica si accorse che aveva un grosso tatuaggio sul bicipite. Un acchiappasogni indiano, da quanto si poteva scorgere nonostante i suoi movimenti rapidi. La ragazza dovette attendere quasi l'una, per poter rimanere da sola con lui, ma non fu un particolare problema. Complice la birra che quella sera scorreva a fiumi, un quartetto di musicisti diede il meglio di sé intrattenendo tutti quanti con ballate tradizionali. Una turista sulla cinquantina con un cappello da cowboy iniziò a ballare spensierata tra i tavoli, cercando di trascinare i commensali nel divertimento sfrenato. Quando finalmente calò il silenzio nel vecchio pub, Erica svelò le novità a Brian. «Mi sento molto felice, per te, intendo. Mi spiaceva veramente essere portatore di pessime notizie. E il tradimento non è mai una bella cosa. Sai qual'è la cosa più assurda?» le chiese facendo un sacco di polvere cercando di riassettare al meglio con una scopa consunta «che per vent'anni non ho mai parlato con Finn, per non ferire i suoi sentimenti. E ora scopro che erano tutte menzogne». Sembrava profondamente deluso di se stesso, della sua pigrizia. In fondo era una verità che sarebbe potuta emergere facilmente. «Ti accompagno a casa» concluse prendendo le chiavi e una felpa. Passeggiarono lentamente, costeggiando l'acqua scura del torrente che seguiva le vie del centro. «Ora che cosa farai?» Brian sembrava preoccupato. Forse non voleva che lei partisse, pensò. «Domani mattina andrò da quella donna, per vedere il libro di mia zia. Ma onestamente, non credo di avere molto da fare ancora qui, Brian». Entrambi erano consapevoli che la loro storia, appena nata, era destinata a finire, prima di prendere una piega più seria. In questo modo non avrebbe sofferto nessuno. Quando quella sera si lasciarono, di fronte al b&b, decisero di mantenere le distanze. Era la cosa giusta da fare. Dopo una notte agitata, Erica tornò da lei. Si sentiva ad una svolta, finalmente. Nel frattempo, con una rapida colazione in camera, aveva prenotato il volo di ritorno. Sarebbe tornata a Sanremo lunedì, a due settimane esatte dalla sua partenza. Grace prese un bastone con una punta ad uncino ed aprì una botola sul soffitto della sua camera da letto. Era difficile non notare i dettagli eleganti di quella casa. Il suo letto sembrava molto antico e ristrutturato a nuovo, come quelli che si vedevano nei castelli adibiti a museo. Da una grande porta basculante si intravedeva il bagno dedicato, con un lungo piano di marmo bianco con lavandino e rubinetti ottonati in stile vecchia Inghilterra. Una vasca da bagno appoggiata a terra di ceramica bianca mostrava asciugamani ricamati a mano, appoggiati in un finto disordine che aveva fino ad allora soltanto visto nelle riviste d'arredamento. Ogni particolare di quel luogo meritava l'attenzione di qualsiasi donna minimamente interessata allo stile. Erica, però, quella mattina, era lì per faccende ben più importanti. Una scala di ferro a fisarmonica scese lentamente raggiungendo i piedi di entrambe. Erica attese di seguire la padrona di casa, cercando di contenere al meglio la sua eccitazione. I solai l'avevano sempre affascinata. Grace le mostrò un cumulo di oggetti coperto con un vecchio telo di stoffa pesante. «Il libro è sicuramente qui sotto. Dobbiamo cercarlo». Entrambe si inginocchiarono, mentre la donna fece scivolare lontano la copertura. Enormi scatoloni si mostravano ai loro occhi con diciture di catalogazione che avrebbero reso l'operazione molto veloce. La maggior parte del materiale archiviato era sotto la scritta "stoviglie". Videro dopo pochi istanti un borsone senza scritte, chiuso con una semplice cerniera. Quando lo aprirono, vi trovarono una serie di fogli scritti a penna. Sembravano scarabocchi senza senso. «Questi me li ero completamente dimenticati» disse Grace, dopo aver verificato che ciò che cercavano si trovasse proprio in mezzo a quelle scartoffie. Si mise quella grossa borsa a tracolla e le fece segno di scendere. La donna rovesciò tutto il contenuto sul grande tavolo ovale della sua sala da pranzo. Sembrava emozionata. «Tutto quello che vedi qui, sono appunti di George, mio fratello. E riguardano la sparizione di tua zia». Quello che si mostrava agli occhi della ragazza erano un accumulo di fogli spiegazzati, probabilmente centinaia, su cui ora aveva il desiderio assoluto di mettere mano. Grace le chiese se desiderava una tazza di tè, prima di soddisfare la sua curiosità. Era titubante, non voleva altro che sedersi e leggere. Ma necessitava di calma. Doveva organizzare i pensieri. E accettò la sua proposta.

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