Rivelazioni

1.1K 60 1
                                        



Quando si presentò a colazione, decise di aiutare Finn a servire ai tavoli. Quella mattina sembrava in difficoltà, e dipendeva dal fatto che era il suo primo giorno ufficiale come gestore con tutte le camere occupate. Il vecchio mostrava una agilità sorprendente, correva in ogni angolo portando pane tostato, burro e latte a quelli che sembravano dei clienti particolarmente affamati. Tutti ordinarono il full breakfast, e la ragazza decise di rendersi utile grigliando i pomodori e preparando le uova strapazzate. Finn rimase piacevolmente colpito dal suo gesto, e dalla scoperta del suo talento ai fornelli. «Sono appassionata di cucina» disse Erica raccogliendo le stoviglie sui tavoli, quando il momento di caos era finalmente finito. «Ho iniziato a lavorare molto giovane con la mia famiglia in panetteria. Un giorno, forse, ti cucinerò una focaccia» continuò, particolarmente di buon umore. Notò subito la sua espressione perplessa, così si sentì in obbligo di raccontargli qualcosa in più. «È come la pizza, solo che non è farcita esternamente. A volte lo è all'interno, con del formaggio molle, oppure viene condita con delle cipolle. È una versione molto saporita del pane. In Italia è un tipico spuntino, ma non di rado ho notato che i clienti la mangiano in spiaggia saltando il pranzo vero e proprio. Insomma, è molto buona» concluse iniziando a scuotere una tovaglia fuori dalla finestra, imitando Finn. Una strana vena folle si stava impossessando di lei. Se tutti in quel paese credevano alle maledizioni delle fate, forse avrebbe dovuto iniziare a cercare la verità da una prospettiva che non aveva mai considerato. Del resto, le altre possibilità erano molto più difficili da mandare giù. L'idea di un omicidio non le balenava assolutamente per la mente, e tanto meno ormai reputava possibile che si fosse suicidata. Ora conosceva Finn, e aveva letto il suo diario. Niente faceva intendere che ci fossero problemi tra di loro. A parte, pensò, il fatto che quella mattina non indossasse l'anello. Perché? Si ritrovò a fargli la domanda appena pochi istanti dopo. «Invece ce l'aveva, l'anello, quel giorno». Le sue parole erano alquanto incomprensibili. Non era possibile, a meno che Flora fosse tornata a casa. Lui intuì i suoi pensieri. «L'anello è tornato a casa da solo, mia cara ragazza, che tu ci creda o meno. Flora non lo toglieva mai. Era il simbolo del nostro amore, e lei lo sapeva. Ho passato tanto tempo, senza riuscire a riprendermi dalla sua scomparsa. Non è stato facile, non lo nego. Un anno dopo, però» le si avvicinò con aria stranamente complice «all'alba del 21 giugno, trovai l'anello, sulla porta di casa». Il vecchio annuì soddisfatto tra sé, con l'aria di qualcuno che si era liberato da un grande segreto. «Ma non è possibile...insomma...» la ragazza cercò di aggiustare subito il tiro per non deluderlo «volevo dire, come è potuto succedere?» il suo tono riguardo ai misteri del luogo era decisamente migliorato. «Sono stati loro» rispose accennando con un dito all'esterno della casa. «Per farmi sapere che è da qualche parte, al sicuro». Finn smise di riassettare la stanza e si sedette su una sedia di legno, togliendo le ultime briciole con una mano. La ragazza non aveva la forza psicologica di chiedere a chi si riferisse con il termine "loro". Aveva deciso pochi minuti prima di essere di più ampie vedute, ma sembrava che ogni giorno la faccenda avesse sempre più dell'incredibile. Era veramente troppo per lei. «Esiste una grotta» continuò senza accorgersi dei dubbi della ragazza «non lontano da qui, dove si dice che vivano dei lepricani. Dei folletti, intendo» aggiunse per farle comprendere meglio ciò che intendeva «da molte generazioni si dice che siano in grado di trasformare i sacchi di grano portati dai contadini in farina macinata. Negli ultimi tempi, Flora si stava proprio interessando al folklore di Cong. E sapevo che era nei suoi progetti, entrare là dentro. Ma in certi giorni dell'anno, se si è sfortunati, è possibile imbattersi nelle loro feste, e in quel caso, non è permesso a nessun mortale di lasciare i folletti tornare indietro. È la regola. Un giorno andai in quella grotta. Mi sentivo disperato, senza di lei. Mi perseguitava il pensiero di non sapere dove fosse finita. Mi dicevano di farmene una ragione, si era fatto tutto il possibile, tutto tranne che cercarla in quel luogo nascosto. Ci sono stato, ho visto qualcosa nel buio, mi ha spaventato. Così sono corso fuori all'aria aperta, e una devastante stanchezza mi ha assalito. Ero stanco, stanco e solo. Puoi capire Erica?» aveva gli occhi lucidi mentre le faceva quella domanda, che aveva un che di retorico. «Sì, penso di poter capire, anche se non mi sono mai innamorata, posso immaginare che deve essere un dolore atroce, perdere il vero amore». Provò a sorridergli per consolarlo, ma i ricordi lo stavano ormai travolgendo. «Loro mi hanno sentito. Mi hanno sentito piangere, intendo. Hanno percepito la mia solitudine, sdraiato sull'erba, quel giorno ero l'uomo più triste del mondo. E hanno voluto farmi un regalo. Farmi sapere che non avevo sbagliato, lei si era imbattuta in qualcosa che non doveva vedere, non sarebbe più potuta tornare, ma stava bene. Tutto andava bene. Quando ho aperto la porta e l'ho trovato, la settimana successiva, era l'anniversario della sua scomparsa. Stavo uscendo per pescare, con Flora presente nei miei pensieri. E l'ho visto, perfettamente centrale sullo scalino di pietra, con un nastrino verde che lo legava a un sasso, per scongiurare i movimenti del vento. Mi sono sentito libero, per la prima volta». Finn andò alla finestra e osservò il fiume, ormai in silenzio e assorto nei suoi pensieri. Era molto romantico pensare che sua moglie non l'avesse mai lasciato veramente, e che stesse al sicuro, in un mondo fatato. Erica si commosse, e cercò di non farlo notare, per quanto fosse possibile, tornando alle faccende di casa. Era evidente che Finn aveva colorato la realtà, schiacciato dalla sofferenza. Eppure, per un attimo, in quella strana atmosfera magica portata dal vento irlandese, era stata trasportata anche lei in quelle credenze, e si era sentita, non sapeva come definirlo meglio, se non semplicemente, "diversa". Finalmente faccia a faccia nuovamente con Brian, quella sera mostrò il suo miglior sorriso di sempre, cercando nei suoi occhi il perdono. Il ragazzo era molto preso dal lavoro, il fine settimana c'era la massima concentrazione di turisti, e rispose distrattamente al suo saluto, troppo concentrato a saltare tra un tavolo e l'altro con un grosso vassoio di legno colmo di birra e panini. Dovette aspettare dopo la chiusura di mezzanotte per poter rimanere un attimo seduta a scambiare due parole con lui. Sembrava stanco, notò Erica, dando fondo al suo boccale di birra e cercando rapidamente un modo per riconquistare la sua fiducia. «Mi spiace molto per ieri, Brian. Per non averti preso sul serio, intendo». Provò la cosa più semplice, essere diretta. «La mia è una famiglia molto pratica, fatta di donne indipendenti e poco propense alle faccende di fede o superstizioni. La regione in cui vivo, è ricca di leggende fantastiche che raccontano di luoghi sacri antichi o di strane stregonerie. I nonni narrano spesso ai nipoti aneddoti che fanno parte del folklore contadino. Solo che, insomma, noi italiani, non tendiamo a dare vita alle leggende. Per noi rimangono storie, per quanto bellissime». La ragazza controllò il suo viso. Per quanto cercasse di essere impenetrabile, sembrava sollevato di sentirla parlare. «Tutto il mondo conosce il vostro simbolo, intendo, ovviamente, il folletto di San Patrizio. Tutti festeggiamo con voi, tutti conosciamo, bene o male, le fiabe irlandesi, dove protagonista è il piccolo popolo. Quello che nessuno immagina è che per voi non sono semplici storie da raccontare ai bambini, o solo simboli da stampare sulle tazze dei negozi di souvenir. Qualsiasi persona al mondo che non vive qui, non può avere la minima idea che esistano uomini, grandi e grossi tra l'altro, che dicono con fare molto serio di stare attenti alla maledizione delle fate. Ma ci sto provando, a comprendervi meglio. Lo voglio fare, con tutto il cuore». La ragazza tese la mano inconsapevolmente e la avvicinò alla sua, sfiorandola. Avevano stabilito un contatto, questa volta intimo, nuovo. Decise di raccontargli quella che era la convinzione di Finn, ovvero della scomparsa all'interno della grotta e il ritorno dell'anello per far sapere che era da qualche parte, al sicuro. «Non ho mai sentito niente di simile, riguardo a quella grotta. No, non credo che possa essere possibile, Erica. Quando una persona sparisce nel nulla, si ritrova all'interno di un cerchio di alberi, e vede cose che non dovrebbe vedere. Mi riferisco ai balli fatati, ovviamente. Flora passeggiava spesso, a quanto ho capito, per raggiungere luoghi del bosco anche molto lontani. È finita dove non doveva finire, questo è sicuro. Ma non credo in quella grotta. No». Il ragazzo accompagnò le sue parole con gesti della mano convinti. Infine le raccontò di quanto era bella, anche se lui era molto piccolo e ricordava vagamente i dettagli. Quando si lasciarono, quella notte, i due si sentirono più imbarazzati del solito. Ma nulla successe tra loro, si salutarono come sempre ed Erica tornò a casa, comunque rasserenata. Decise di lasciare Finn alle sue faccende domestiche da solo, la domenica mattina. Alcuni dei clienti erano già in partenza per nuovi luoghi da visitare, e se la sarebbe cavata benissimo. Ormai il peggio era passato. Si sedette nel piccolo giardino della casa, sopra il basso muretto di pietra, e guardò il fiume ripensando alle informazioni del giorno precedente. Finn era convinto che Flora fosse sparita all'interno di una grotta, mentre Brian, invece, che fosse finita in qualche radura magica all'interno di un ballo fatato. Ormai era passata una settimana dal suo arrivo, e questo era quanto aveva scoperto. Come poteva dirlo a sua nonna, guardandola seriamente negli occhi? Non aveva ancora chiesto il parere di chi aveva conosciuto sua zia in maniera marginale, ovvero la comunità del luogo. Anche loro avrebbero detto qualcosa di eccentrico? «La signora ha calpestato "l'erba dello smarrimento"» bisbigliò senza farsi sentire troppo dagli altri clienti in attesa, l'anziana proprietaria del negozio di alimentari «una volta che i piedi ci vanno sopra, si inizia a vagare per sempre nei boschi, senza fare più ritorno». Erica notò le sue guance rubiconde, e l'aria circospetta che la caratterizzava, quel giorno era particolarmente accresciuta. Le passò un sacchetto di carta con un panino al prosciutto come se fosse stato un pacco dei servizi segreti, e la salutò con enfasi. «Qualcuno dice che in fondo al parco, non lontano dal castello, ci sia un pozzo di pietra. Un pozzo fatato. Da lì entrano ed escono le fate, in certi giorni. Quella donna le ha viste, nel riflesso dell'acqua. E loro l'hanno trascinata giù, nel loro mondo» teorizzò un anziano signore lisciandosi con la mano una lunga barba grigia leggermente ingiallita dal tempo. «No» aggiunse il suo compare di panchina, aggiustandosi il tipico cappello irlandese «nessun umano può entrare là dentro». Il suo sguardo puntava lontano, ed entrambi sembravano seriamente convinti delle loro teorie. Se avesse girato a piedi l'Irlanda, pensò, avrebbe passato la vita a scoprire nuovi aneddoti sul mondo fatato per sempre, senza mai arrivare ad una fine. Non poteva continuare ancora ad ascoltarli, iniziava a sentire una strana confusione mentale, non riusciva più a distinguere dove finiva la realtà ed iniziava la fantasia. Entrò nervosamente nella libreria del paese, cercando qualcosa di diverso con cui distrarsi dall'argomento. Si sarebbe accontentata di una semplice guida turistica, un libro di ricette o un romanzo rosa. Tutto pur di evadere dai soliti pensieri che l'attanagliavano ormai da giorni. Uno scaffale mostrava delle cartoline artistiche, probabilmente riproduzioni di quadri locali, mentre il resto sembrava diviso tra libri nuovi su reperti archeologici, siti celtici e itinerari vicini, e vecchi libri usati di diverso genere. Si diresse verso questi ultimi, e rovistò nelle pile in disordine in cerca di ispirazione. Il destino non sembrava molto benevolo nei suoi confronti, estrasse per puro caso un'opera sui racconti popolari tradizionali. Aprì una pagina per scoprire che ancora si parlava di superstizioni, e la richiuse immediatamente, nauseata, senza voler indugiare ulteriormente. E infine, finalmente lo trovò, usurato e decisamente economico: "Il tormentato amore di Tara", la storia romantica del secolo. Meglio di niente, o forse era meglio dire meglio di tutto il resto. Tornò in camera sua, e chiuse la porta al mondo, azzerando ogni pensiero.

Amore in IrlandaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora