La grotta

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I tavoli nella sala colazioni erano tutti occupati, e dalla cucina si sentivano le salsicce friggere sul fornello elettrico. Erica aiutò a tostare il pane e portare i burri monodose ai tavoli dei clienti. Quella mattina c'era anche del pane nero alla soda da affettare, e il menù comprendeva frittelle con sciroppo d'acero e salmone affumicato, come alternativa alla carne. Era la prima volta che vedeva qualcuno mangiare pesce appena sveglio, non che salsicce e bacon non facessero lo stesso strano effetto, a lei che era abituata a cappuccino e brioche. Era ormai mezzogiorno quando sbatterono le tovaglie fuori dalle finestre, regalando agli uccelli nuove briciole per sfamarsi. Erica notò che nel centro del giardino Finn aveva piazzato una fontana, apposta per loro, dove avevano sempre acqua fresca a disposizione. «Domenica è il 21. Il giorno in cui è scomparsa Flora».
Finn lucidò il portafrutta in argento, mentre la ragazza era intenta ad eliminare alcuni cereali caduti dal tavolo del buffet. Non sapeva cosa dire. «Quindi sono vent'anni giusti tra due giorni» Improvvisò. «Già, e come ogni anno, io andrò alla grotta». Era una vera e propria rivelazione. Finn ogni anno si recava in quel posto in cerca di Flora? «I primi anni, me ne stavo in silenzio, ad ascoltare la natura circostante, e pensavo a lei. Con il tempo è diventata un abitudine, un po' come andare al cimitero». Erica si rese conto che quell'uomo non aveva una tomba su cui piangere. Doveva essere terribile. Si sentiva un peso sul cuore, da quando aveva scoperto del mistero di Flora, ed era passato poco più di un mese. Come poteva essere conviverci per tutti quei lunghi anni? «Se ti fa piacere, questa volta vengo anch'io». La ragazza non era certa di renderlo felice, con quella proposta, ma tentò ugualmente. Negli occhi di Finn intravide un nuovo bagliore. «Mi farebbe molto piacere. Ti mostrerò la caverna, così forse, ti convincerai anche tu che si trova laggiù».
La ragazza passò il resto della giornata a passeggiare in centro, cercando di imprimere nella memoria quei luoghi che forse non avrebbe più rivisto. Una leggera nostalgia si stava facendo strada, mano a mano che la partenza si avvicinava. Quella sera non andò da Brian. Aveva piena consapevolezza di quanto le sarebbe mancato, e non voleva che i suoi occhi tradissero la sofferenza che ormai la stava mettendo di cattivo umore. Sabato mattina mise i vestiti in lavatrice e chiamò Connor. Fortunatamente il tassista era libero, e la raggiunse in centro. La giornata era particolarmente calda, e aveva sentito dagli australiani che dopo Westport si trovava una spiaggia molto carina, adatta alla balneazione. Le mancava sentire la sabbia sotto i piedi, oziare prendendo il sole e soprattutto farsi strada tra le onde del mare. Non immaginava che dopo circa trenta secondi, la pelle avrebbe iniziato a bruciarle dal freddo. Tolse le gambe dall'acqua, e si distese a osservare il cielo azzurro. Una donna con due bimbi piccoli particolarmente chiassosi si stava spalmando della crema solare, urlando ai suoi figli di non allontanarsi. Sembravano del posto, considerati i capelli di un rosso tipico irlandese e le lentiggini sul viso, bianco come il latte. Ne ebbe conferma quando, dopo circa mezz'ora di caos, li vide raggiungere una piccola casa in stile anni settanta non lontana. Il tepore caldo del sole l'aveva sempre fatta sentire al meglio delle sue possibilità, era come se il calore sciogliesse tutte le sue tensioni. Quel giorno, ripensando al volo che l'attendeva a breve, si rese conto di quanto era stata fortunata, ad avere quell'occasione di conoscere un angolo di mondo così unico. Era la prima volta che si ritrovava sdraiata su una spiaggia con un panorama simile. A poca distanza da lei un'enorme montagna coperta dalla nebbia sovrastava le colline morbide soleggiate. Era come se si trovasse in due mondi opposti, divisi da un filo sottile. Da una parte primeggiavano enormi nuvole scure che si accavallavano, rincorrendo un cielo azzurro in netto contrasto. Aveva sentito Finn dire che non esiste bel tempo o brutto tempo. Qui, ogni minuto è diverso, nuovo. Era vero. Prima di tornare al b&b, la ragazza visitò il museo del paese, e fece un'ultima passeggiata nel parco. Aprì la scatola di sua zia, e cercò dei riferimenti nel diario su quella caverna. Non sembrava aver preso nessuna nota al riguardo. Non capiva perché Finn si fosse impuntato su quella storia. Era soltanto il ritrovamento dell'anello ad averlo convinto? In ogni caso, il giorno seguente avrebbe finalmente visto con i suoi occhi. La mattina seguente, Erica vide che gli australiani avevano messo le valigie in mezzo al corridoio, pronti evidentemente per partire. Finn era fortunato quel giorno, avevano pagato a prezzo pieno, ma dovevano necessariamente saltare la colazione, il loro volo partiva molto presto. Quando Erica entrò in sala colazioni, scoprì che tutto era rimasto immacolato dalle pulizie del giorno precedente. Prese una tazza di porcellana e si preparò del semplice caffè solubile. Non aveva nessuna intenzione di sporcare, o dare del lavoro inutile. «Bene» disse Finn tornando in casa, dopo aver salutato i clienti «magari fossero tutti così». Sembrava particolarmente di buon umore, nonostante la ricorrenza. La ragazza ne rimase piacevolmente stupita. Andò a togliere le lenzuola e gli asciugamani dalla camera, chiedendole di aspettarlo in salotto. Quella notte non attendeva ospiti, avrebbero potuto passare l'ultimo giorno insieme. Quando finalmente furono pronti per partire, si mise un cappello e cercò le chiavi rovistando tra le cianfrusaglie all'entrata. «Di solito non chiudo, ma oggi non so quando ritorneremo». Fece un'espressione soddisfatta ed estrasse finalmente il mazzo. Si ritrovarono a passeggiare nel parco. Superarono il ponte pedonale, la casa di Grace, ed entrarono in una radura. «Spero che ti piaccia camminare» disse facendosi strada nell'erba ancora umida di rugiada. Erica quasi inciampò su una radice che sporgeva dal sentiero, annuendo. «Non so quello che conosci dei lepricani» iniziò a raccontare «ma da queste parti si ha un grande rispetto per loro. Quando ti fanno un favore, è meglio mettere del latte sul davanzale della finestra, per ringraziarli, perché come possono aiutarti, possono essere anche molto dispettosi». Finn accarezzò il tronco di un albero. «Ho sempre sognato di catturarne uno. Se riesci nell'impresa, per liberarsi, il lepricano è disposto a esaudire i tuoi desideri». Erica si ricordò dell'aneddoto di Brian. «Avrei potuto farla tornare, liberarla, forse». Le sue speranze sembravano non morire mai. «Eccola laggiù» indicò un'apertura nella roccia. Finn si fermò a pochi metri, e tirò fuori qualcosa da una tasca. «Questo era il suo fiore preferito». L'uomo aveva legato con un nastrino di raso un mazzetto viola. La ragazza la riconobbe immediatamente. Era erica. «È stata Flora a suggerire il nome a mia madre. Per questo mi chiamo così» gli disse. Finn le sorrise, fece cenno di seguirlo e, in breve tempo, si ritrovarono in una fitta penombra. La luce filtrava flebile dall'esterno, lasciando lo stretto necessario di visuale per non inciampare sui propri passi. «Ogni Solstizio vengo qui, e lascio qualcosa per lei. Loro glielo portano. Perché in fondo, sono buoni». Sembrava convinto di ciò che diceva. «Se ti siedi qui, e incroci le gambe, prima o poi, puoi sentirli. Entrano ed escono, questo è un passaggio tra i mondi» Finn si mise in ascolto, appoggiato a una parete. Erica si sentì stranamente elettrizzata. Qualcosa, dentro di lei, sembrava sussurrare "adesso sento qualcosa, ora succede...", eppure, persino il vento quel giorno era stato particolarmente silenzioso. Una leggera brezza si alzò, facendo muovere vistosamente le fronde degli alberi circostanti. Era ora di uscire, nuovamente alla luce. «Dio ti benedica» esclamò Finn togliendosi il cappello. «Quando il vento scompiglia la natura, sono loro che passano, per il Solstizio d'Estate» disse uscendo dalla grotta. Gli occhi della ragazza furono infastiditi per qualche istante. Il sole penetrava con un bagliore insopportabile. Vide a malapena Finn superarla, per tornare sul sentiero. Quando finalmente, i suoi occhi azzurri tornarono a mettere a fuoco il paesaggio, sentì un rumore alle sue spalle. "Se veramente ci sei, laggiù da qualche parte, dimostramelo, ti prego", si ritrovò a pensare scrutando l'interno della grotta. Uno scoiattolo sbucò da un cespuglio non lontano, e si mise a correre verso il fitto del bosco. Era un animale, soltanto un animale. I due tornarono sulla strada di casa. «Ti offro da bere» propose Finn. La ragazza accettò l'invito, emozionata all'idea di vedere Brian per l'ultima volta. Prima di qualsiasi altra cosa, decise però che sarebbe passata a salutare Grace. Quando suonò il campanello, nessuno aprì la porta. Vide per puro caso che la donna, con spessi guanti di gomma e un cappello di paglia, era intenta a potare le rose in giardino. Cercò di attirare la sua attenzione agitando il braccio davanti a sé, ma non sembrava in grado di vederla. Urlò a squarciagola il suo nome, e finalmente la donna posò i suoi attrezzi accennando un saluto. «Lui è Finn, il marito di Flora» la ragazza li presentò. Era veramente assurdo che in vent'anni non si fossero mai incontrati. I due si strinsero la mano con fare alquanto goffo. «Sono passata a salutarti, Grace. Domani torno in Italia». Erica cercò di mostrarsi allegra nelle sue parole. Probabilmente troppo, notò quando ormai era troppo tardi. «Mi ha fatto molto piacere conoscerti. Sul serio. Nei tuoi occhi, ho visto qualcosa di lei. Uno strano effetto, dopo tanto tempo». La donna si affrettò a cambiare argomento, per non appesantire la conversazione. «Spero che farai buon viaggio, e soprattutto, che tornerai a trovarci». Le sue parole erano sincere. La ragazza rimase completamente stupefatta quando Finn invitò Grace a raggiungerli al pub. Lei sembrò titubante, all'idea. Erica ne comprese le motivazioni. Quando veniva in vacanza, probabilmente desiderava solamente starsene in pace. Non era né la prima né l'ultima americana ad innamorarsi dell'Irlanda per la sua anima silenziosa e selvaggia. Fu felice di scoprire che si era completamente sbagliata, quando, davanti a un hamburger e patatine fritte, si ritrovò di fronte la donna, con un vestito di cotone leggero rosa a pois bianchi, tenendosi le mani nervosamente. Finn si alzò di scatto, facendo cadere la sua sedia con un gran baccano, e corse a recuperarne una per la sua ospite. Che premura, pensò Erica divertita. Il destino avverso le mostrò ancora Brian, insieme a un veterano del pub armato di fisarmonica, intento a suonare il suo violino. Le ballate tradizionali fecero compagnia ai commensali per ore intere, e quella sera, Finn e Grace ballarono spensierati, divertendosi come ragazzini. Un anziano signore, probabilmente ultra ottantenne, nelle pause tra un pezzo e l'altro, recitava delle vecchie filastrocche, in una lingua a lei incomprensibile. «È gaelico» svelò Brian, traducendole il più fedelmente le parole. Dicevano più o meno così:

"Se il piccolo popolo un giorno vuoi trovare
nei boschi, nei laghi e nei mari tu devi cercare
per cibo frittelle croccanti di schiuma di mare
berretti rossi e giacche verdi tu devi vedere
tra rane da guardia loro amano stare
porta loro un dono se non vuoi farli arrabbiare..."

Quando i due passeggiarono, verso il b&b, a notte inoltrata, si ritrovarono a fissarsi i piedi imbarazzati. Entrambi avrebbero ancora, intimamente, voluto iniziare una relazione, ma conoscevano i limiti del vivere così lontani. Quando si sarebbero potuti vedere? Forse lei sarebbe potuta tornare l'estate successiva, e lui l'avrebbe potuta raggiungere durante l'inverno, quando il pub non aveva molto lavoro. Un luccichio di speranza si fece strada, mentre si fermarono di fronte alla porta di casa. Erica si avvicinò per baciarlo sulla guancia, salutandolo, ma Brian si spostò all'ultimo secondo, baciandola sulle labbra. La ragazza esitò soltanto un attimo, per poi lasciarsi trasportare dall'emozione del momento. Si lasciarono le mani ed Erica chiuse la porta dietro di sé senza più voltarsi. Una lacrima scese sulla guancia. Era un amore impossibile, e non c'era nulla che potessero fare per cambiare la realtà.
Si fece una doccia calda e accese il bollitore. Nonostante l'ora tarda, non aveva sonno. Il taxi sarebbe arrivato alle sette di mattina, aveva circa cinque ore per riposarsi. Fece la valigia velocemente, riponendo tutti i suoi vestiti come meglio poteva, e gettò all'interno le fotografie e il diario di sua zia. Decise di mettere in una tasca del bagaglio anche i gioielli del piccolo baule. Non poteva portarlo con sé, era troppo ingombrante. Lo aprì e ne prelevò gli oggetti. Quando si ritrovò sul palmo della mano nuovamente lo smeraldo, rimase abbagliata dal suo verde profondo. Prese l'anello e d'impulso decise che era arrivato il momento di indossarlo. Le sfaccettature della pietra preziosa brillavano con i riflessi della luce del vecchio lampadario, e si ritrovò a pensare di non aver mai visto niente di simile, prima di allora. Era il regalo più bello che avesse mai potuto desiderare. E le avrebbe ricordato per sempre quelle due settimane meravigliose. Richiuse il portagioie e si infilò nel letto. L'attendeva una lunga giornata.


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