L'isola

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Prese in mano un foglio, tirando a sorte nella sua mente, e provò a decifrare cosa era stato scritto. «Sono tutte informazioni, raccolte in un paio d'anni, da George. Quando Flora sparì, entrambi stavano studiando la leggenda del Tir na n-Og». Erica dovette fare un'espressione decisamente interrogativa, perché Grace la guardò spazientita. «È un'isola nascosta. Si dice che l'occhio umano non la possa vedere, e sarebbe abitata dal piccolo popolo. Ovvero i folletti, le fate e tutti gli esseri di un'altra dimensione». Erica sbuffò, sembravano protagoniste ancora le solite credenze fantasiose. Grace non si fece scappare l'occasione per farle sapere cosa l'attendeva. «Ogni cosa che leggerai su quelle scartoffie, riguarda il piccolo popolo. Se vuoi fermarti, sei libera di andartene, adesso. Ma se rimani, sarà il caso che inizi a prendere seriamente queste cose». Se quello era il prezzo da pagare per tornarsene a casa con una mezza risposta, decise d'un tratto, l'avrebbe pagato volentieri. Cercò di eliminare i pregiudizi che si era portata addosso fino a quel momento, fece tacere la sua razionalità, e si rimise a leggere con una nuova attitudine. In base a quello che si poteva intuire, l'uomo aveva creato una rete di indizi, come il detective di un film giallo, di un mondo parallelo. Molti dei fogli, notò dividendoli per categorie, erano delle mappe approssimative di quelli che definiva "portali". Alcuni erano appunti su possibili luoghi da cui raggiungere l'isola nascosta, tra cui vide anche lo schizzo del mare intorno ad Achill Island, dove era stata con Brian. A occhio e croce, l'uomo sembrava essere orientato a credere ad un possibile viaggio, intrapreso da sua zia, per un luogo da cui non sarebbe mai più tornata. «Se la storia dell'isola fosse vera, tua zia potrebbe tornare, credendo di essere stata via solo pochi minuti. La leggenda dice infatti che il tempo si dilata, tra balli e divertimenti. In quest'isola nessuno invecchia, e la vita scorre serena, per sempre» Grace parlava come una bambina emozionata. «E come si raggiungerebbe questo luogo incredibile?» la ragazza faticava a immaginare Flora, viva e vegeta, in un paese dei balocchi irlandese. «Solamente con un invito, da parte di un abitante del piccolo popolo». Entrambe tornarono a leggere gli appunti di George, senza commentare ulteriormente l'incredibile. Dopo aver ordinato meticolosamente ogni possibile indizio, finalmente, Erica prese in mano il libro. Il titolo era chiarificatore del suo contenuto: "Ritorno dall'isola che non c'è". Si trattava del racconto dettagliato di un uomo, che sosteneva di aver passato un intero anno in quella che lui definiva l'isola della giovinezza. Il libro era stato stampato negli anni cinquanta, notò, cercando ulteriori dettagli utili.
Escludendo la parte biografica, dove la vera identità del protagonista veniva mantenuta segreta, una piccola parte era dedicata a mito e leggenda. Erica lesse alcuni stralci:

"C'è un luogo, fitto di boschi ombrosi, chiamato paese dei giovani, dove morte e vecchiaia non esistono. Il bardo Oisin ci visse trecento anni, e morì toccando terra, al suo ritorno. Da allora molti umani hanno avuto la fortuna di scorgere questa terra magica, alcuni l'hanno vista riemergere dalla profondità dei laghi, altri l'hanno osservata dalle scogliere occidentali, lontano nell'orizzonte."

Supponendo che quella fosse la spiegazione più probabile, per quanto poco plausibile e sensata, la ragazza dovette ammettere a sé stessa che tutto ciò che riguardava quella mattina, in cui una ancora giovane donna aveva chiuso la porta di casa dietro di sé per una semplice passeggiata, sarebbe rimasto per sempre un mistero irrisolto.
Grace pensava sul serio che Flora fosse finita su quell'isola?
«A un certo punto, George si esasperò. Ogni volta che scopriva qualcosa, un altro tassello si aggiungeva al puzzle. Sembrava una ricerca senza capo né coda. Purtroppo dopo qualche tempo si ammalò di un brutto male. A pensarci bene» disse prendendosi il mento con la mano, rapita da un'improvvisa illuminazione «penso che, soprattutto verso la fine, volesse trovare quell'isola per salvarsi». Ovviamente, pensò Erica sfogliando distrattamente il resto delle pagine. Più che comprensibile. Se anche avesse voluto cercare qualcosa, ormai stava per partire, ed era più che certa che, nonostante la sua buona volontà di credere alle leggende locali, la spiegazione si trovava in qualcosa di ben più banale. Escludendo ormai l'omicidio passionale, rimaneva il tragico incidente. Forse era caduta nel fiume. La corrente era particolarmente forte, e questo avrebbe dato una risposta anche alla mancanza di tracce. Flora era sparita nel nulla perché l'acqua l'aveva trascinata lontano, chissà dove. Odiava se stessa, la sua mente fredda e logica. Avrebbe dato qualsiasi cosa, per avere un appiglio, come Finn. Un'immagine dolce e rassicurante, di un luogo protetto, dove pensarla felice. Grace le domandò se voleva quel libro, in quanto le apparteneva. Era un'edizione rara, ed era costata molto. La ragazza decise di rifiutare, aveva già avuto troppo, da quel viaggio. Aveva scoperto un luogo meraviglioso, conosciuto gente speciale, come Brian. Sentì un tuffo al cuore, ripensando al loro bacio. E quell'anello, il suo valore era inestimabile. No, non le serviva quel libro, per come la vedeva, era appartenuto a George, e ora era di Grace. Andò in una caffetteria, mangiò un tramezzino, e fece quello che doveva. Aprì la porta di casa e raggiunse Finn. Doveva ringraziarlo, per l'ospitalità, per tutto. Lo trovò intento a ravvivare il camino.
«Si prospetta un fine settimana molto impegnativo. Sono di nuovo al completo». L'uomo sembrava più stanco del solito, e le sue mani rugose sporche di fuliggine, le rammentarono la sua età non più giovane. Non doveva essere facile iniziare un nuovo lavoro, così, di punto in bianco. Riguardo a questo, non gli aveva mai chiesto nulla, ma si rese conto che non c'era nulla di male a soddisfare quell'ultima curiosità. «Ho aperto le camere agli ospiti per non starmene sempre da solo. Vedo gente nuova, ascolto delle storie, mi rendo utile. Mi fa stare bene, passare il tempo facendo qualcosa di buono». Erica non aveva mai riflettuto sul fatto che, probabilmente, non esisteva un'età in cui si smetteva di avere bisogno di compagnia. Forse quello che mancava veramente a Finn era una compagna di vita, con cui invecchiare. Decise di raccontargli l'incontro con Grace, del libro, e della teoria dell'isola nascosta. In fondo, nonostante lui propendesse a credere alla storia della caverna dei lepricani, non avrebbe creato nessuna disillusione in lui. La sua reazione, al contrario, la sorprese. Non sembrava per niente disposto a nuove teorie, per quanto fossero altrettanto fantastiche. «So che quel giorno mi hanno ascoltato, so che se esiste una porta, per quel mondo, si trova là dentro». La ragazza, vedendo la tensione salire, fece cadere il discorso, dicendogli di aver prenotato il volo di ritorno. «Puoi tornare quando vuoi, qui sarai sempre benvenuta». Finn le sarebbe mancato, di questo era ormai certa. «Forse potremmo fare qualcosa, una di queste sere. Andare insieme al pub, se ti va» propose la ragazza. «Mi sembra un'ottima idea. Un'ottima idea» rimarcò Finn tornando alle sue faccende domestiche. Erano le cinque, e presto sarebbero arrivati nuovi clienti. Dall'Australia, precisò, chiudendo la porta dietro di sé. La ragazza si fece una doccia rigenerante, e uscì a cena. Se ripensava alla sua vita, prima di arrivare in quel piccolo villaggio, non poteva credere a quanto era cambiata. Fino a due settimane prima, non sarebbe mai uscita a cenare da sola, come se nulla fosse. Si sarebbe sentita a disagio, sotto lo sguardo curioso degli uomini in cerca di prede. Aveva notato che anche l'età media dei frequentatori dei pub, lì, era decisamente diversa. Non era insolito vedere donne sole, anche piuttosto anziane, sedute al bancone con un whiskey in mano, e tanto meno sembravano dividere le amicizie in base all'età. I gruppi di suonatori, e gli spettatori che prendevano allegramente parte alle serate, avevano venti, quaranta, ottant'anni e oltre. Tutti insieme, uniti dalla musica e dalla voglia di divertirsi. Era una delle cose che l'aveva stupita maggiormente. Quando disse a Brian della sua imminente partenza, vide nei suoi occhi una velata tristezza. Avevano davanti solamente tre giorni, e poi ognuno sarebbe tornato alla vita di sempre. Forse lui l'avrebbe dimenticata, ma di certo Erica non ne sarebbe stata capace. Non aveva mai provato dei sentimenti così forti per un ragazzo, ed era più che certa di non potersi aspettare nulla di minimamente simile nel suo futuro. Quando gli raccontò delle teorie di Grace, rimase perplesso. «Per quanto ne so, nessuno ha mai visto quest'isola. È una sorta di paradiso, l'equivalente celtico dei Campi Elisi romani e greci, insomma. Secondo me, è un mito senza fondamento». La ragazza sorrise divertita. «Mentre le feste delle fate invece...» Brian fece una smorfia, scocciato. «Le leggende sul piccolo popolo non sono di un passato lontano. Ognuno di noi ha una storia che può raccontare su di loro, a riprova della loro esistenza». Brian la stava decisamente incuriosendo. «Allora immagino che avrai una storia anche tu. Sentiamo». Erica si appoggiò allo schienale della panchina, e attese con le braccia conserte, in atteggiamento di sfida. Brian si schiarì la voce, leggermente imbarazzato per la richiesta. «Quando ero molto piccolo, vivevo in un piccolo cottage di pietra. Mia madre si occupava tutto il giorno delle mucche, assieme a mio padre. Io ero decisamente fortunato, in quanto figlio unico. Qui in Irlanda le famiglie, solitamente, sono piuttosto numerose. I soldi però, erano pochi. Avere un solo figlio permetteva loro di mantenere un certo tenore di vita, a differenza dei vicini di casa, in difficoltà per molte bocche da sfamare. Un giorno, mi ricordo che era agosto o giù di lì, mio padre tornò a casa la sera molto in pena, dicendo che le mucche avevano smesso di fare il latte. Era convinto che qualche vicino ci avesse lanciato una maledizione, perché il pane non ci era mai mancato. Senza latte, però, non si fa il formaggio, e capisci che la sua preoccupazione era seria» Brian bevve un sorso di birra e controllò l'espressione del suo viso. Erica era più che attenta ad ogni sua parola. «Il pomeriggio seguente, mentre mi trovavo vicino alla stalla a giocare, vidi qualcosa che si muoveva, in un cespuglio. Non sapevo cosa fosse, speravo si trattasse di un coniglio. Presi un secchio e lo versai su quell'ammasso che si nascondeva sotto le foglie. Fui fortunato, perché rimase incastrato all'interno. Volevo sbirciare, lo ricordo bene, ma avevo paura. A un certo punto, puoi crederci o no, quel coso bussò sul ferro. Fece "toc toc". E io gli chiesi chi fosse. E rispose. Rispose che era un folletto, e che avrebbe fatto qualunque cosa per essere liberato. Così gli dissi di far tornare il latte alle mucche, alzai il secchio e guardai. Non vidi nulla, là sotto. Ma la mattina seguente, dopo due giorni senza latte, le mucche iniziarono nuovamente a produrre. I folletti mantengono sempre le promesse». Brian era fortemente convinto delle sue parole. Erica annuì, cercando di mostrare il suo sorriso più sincero. Voleva credergli, lui non sapeva quanto avrebbe voluto farlo. Brian, poco dopo l'accompagnò verso casa rimanendo in totale silenzio. Entrambi ascoltarono soltanto il rumore del vento, fino alla porta d'entrata del b&b. «Grazie Brian, grazie per la tua amicizia». Erica si sentiva malinconica, e non voleva perdere anche quel poco che rimaneva del loro rapporto. Sperava che, in qualche modo, qualcosa avrebbe superato il mare, e sarebbe rimasto vivo tra loro. Qualcosa che li avrebbe mantenuti vicini. Lo vide allontanarsi dalla finestra della sua camera. Chiuse le tende e andò a dormire. La mattina seguente aveva tutta l'intenzione di aiutare Finn con le colazioni. Le sembrava il minimo, per ripagarlo di quella vacanza gratuita.

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