Brian

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Il nipote di Finn era decisamente diverso dal tipico ragazzo irlandese. I suoi capelli color corvino, insolitamente lunghi e lisci, erano racchiusi in una coda ordinata. La sua pelle pallida e con piccole efelidi, tradiva le sue origini ma, nonostante ciò, il suo aspetto, nel complesso, aveva qualcosa di esotico. Il suo abbigliamento era molto curato, in netto contrasto con ciò che aveva notato essere la norma in quei due giorni, e una giacca di pelle nera lo rendeva decisamente rock. «Brian è il proprietario del pub appena fuori dal centro» disse Finn a tavola, finiti i soliti classici convenevoli. «Se vuoi mangiare il miglior stufato alla birra del Mayo, è lì che devi andare...» i due si sorrisero con fare complice. Parevano avere un ottimo rapporto d'amicizia. Entrambi, per tutto il tempo, scherzarono e conversarono amabilmente, con una pinta di birra e una torta di patate ripiena di ragù, che Erica trovò deliziosa. «Non sono stato fortunato con la pesca, oggi» fece notare il vecchio, servendo un'altra razione a entrambi. Erica aveva visto diversi pesci guizzare, sul fondo di quel fiume trasparente. Aveva anche notato alcuni pescatori, seduti su sedie da picnic, all'interno di una casetta di pietra a cielo aperto, sulle rive del canale. Era evidente che quella era un'attività caratteristica del luogo. «Allora, Erica. Parlaci del tuo paese». Brian la fissò curioso. «Beh...» la ragazza si schiarì la voce e provò a raccontare la sua Liguria. «Vivo a due passi dal mare. D'estate è pieno di turisti, esattamente come qui. Non ci sono differenze, a parte l'aria. A volte è così pesante che si potrebbe tagliare a fette. Di aria fresca se ne sente poca, l'Italia è un posto molto soleggiato». Si rese conto di aver sfoderato la banalità peggiore che poteva venirle in mente, ma non sapeva proprio cosa dire. «E cosa fai di bello, nella vita?» continuò il ragazzo, incrociando le braccia e appoggiandole al tavolo ancora apparecchiato. «Ho un negozio di alimentari e panetteria». Brian scoppiò in una risata sonora, molto divertito dalla risposta. «Non mi riferivo al tuo lavoro, volevo sapere cosa ti piace fare. Suoni uno strumento? Dipingi? Fai uno sport?» era difficile rispondere a quelle domande. «Non saprei. Il negozio chiude tardi alla sera, e la mattina inizio di nuovo a lavorare. Mi piace passeggiare in montagna. E adoro il cibo di qualità. Queste sono le mie passioni». Finalmente aveva tirato fuori le giuste parole, per tenere testa a quel ragazzo un poco irriverente. «Interessante» rispose il suo interlocutore bevendo un sorso di birra. «Qui forse imparerai a goderti un po' la vita, suppongo. A noi irlandesi piace suonare, ballare e anche raccontare storie. Soprattutto del mondo fatato. Ci piace trovarci, la sera, davanti a un fuoco, e condividere le nostre avventure». Finn interruppe la conversazione facendo notare che ormai si era fatto tardi, e che doveva preparare la stanza per la colazione degli ospiti. Avevano già avvertito che si sarebbero presentati, puntualissimi, la mattina seguente alle otto. Erica aiutò nelle faccende principali, asciugando i piatti e le posate con il padrone di casa, e si accorse, amareggiata, che per quella sera non avrebbero più potuto parlare. Tornò nella sua camera con passi silenziosi, per non disturbare gli americani, prenotò un taxi per la mattina seguente, e si infilò nel letto, addormentandosi quasi subito. Uscì dalla casa intorno alle sette, ancor prima che Finn fosse a sfaccendare in cucina.
Aveva visto delle fotografie della città di Galway, ed era rimasta rapita dai riflessi colorati che il tramonto creava sui muri di piccole case a schiera affacciate sul mare. Voleva vedere l'oceano, finalmente. Il taxi la lasciò sulla promenade, e un forte odore di alghe la pervase. Infilò un piede timidamente nell'acqua, per scoprire che era molto fredda e inquieta. L'atmosfera, notò sedendosi sulla spiaggia a guardare l'orizzonte, era molto diversa da quella a cui era abituata. Spruzzi salati la raggiungevano a cicli, portati da un vento tiepido ma imponente. Una ragazza bionda dall'aria gracile suonava il violino, a gambe incrociate, poco distante da lei, mentre un signore sulla cinquantina, decisamente in forma, passò alle sue spalle, facendo jogging con le cuffie alle orecchie. Vide anche due cani, rincorrersi e giocare, mentre seguivano un'anziana signora verso la strada di casa. Erica si divertì ad immaginare le loro vite. Chissà se quella ragazza così virtuosa stava facendo una pausa per poi tornare a studiare, o raggiungere l'università per una lezione. Era un gioco che faceva spesso, anche quando si ritrovava, nel suo giorno libero, nell'afa sanremese, incastrata come un'acciuga in scatola a leggere un best seller sotto l'ombrellone. Quel luogo, però, nonostante l'atmosfera frizzante e le voci di turisti di varie nazionalità che provenivano da ogni dove, regalava una sensazione ben diversa, di serenità e pace. Passeggiò a lungo, e osservò i più coraggiosi nuotare in quelle acque gelide, di certo tonificati. Raggiunse il centro della città, decisa a fare un po' di shopping. Le vetrine mostravano oggetti insoliti, difficili da immaginare altrove. Un artigiano aveva creato un'intera bottega piena di giochi di legno per bambini, e non lontano vide un negozio di caramelle. Le sembrava di aver fatto un viaggio nel tempo, e di essere tornata negli anni 80. Un gruppetto di ragazzine in divisa scolastica blu, la oltrepassarono, mangiando spugne rosa gommose e chiacchierando tra loro. Le verande delle caffetterie erano piene di clienti, seduti in minuscoli tavolini, e l'aroma di caffè riempiva la via, misto al classico odore di sigaretta dei luoghi affollati. Decise di fermarsi in una pasticceria, per uno spuntino veloce. Prese una torta alle mandorle e crema pasticcera che trovò squisita. Notò che la crema era molto diversa da quella italiana, sembrava priva di zucchero e molto più leggera. Le gioiellerie, osservò, sembravano avere come tema principale un simbolo che rappresentava due mani intente a tenere un cuore incoronato. Anelli di ogni dimensione e materiale, alcuni adornati da pietre preziose, mostravano prezzi e versioni adatte a tutte le tasche. Veniva chiamato "l'anello di Claddagh", e sembrava essere un immagine tradizionale irlandese. Approfittò per fare shopping comprandosi un paio di ricambi: una felpa verde e calda, un pantalone di velluto pesante e una sciarpa di cotone leggero con i quadrifogli stampati. Verso sera, rigenerata dalla sua giornata di pura vacanza, la ragazza ritornò al b&b. Girò la sua copia di chiavi, salì le scale e raggiunse la camera da letto.
Finn aveva rinfrescato la sua stanza, che ora profumava delicatamente di arancia e cannella. Nuovi asciugamani erano piegati perfettamente e adagiati sul letto, rifatto con cura. Nel bagno trovò un nuovo sapone liquido, e sullo scrittoio faceva sfoggio di sé un vaso di cristallo con due rose gialle. Quell'uomo si stava prendendo cura della sua ospite più del dovuto, pensò, grata di quei gesti gentili. Scoprì per puro caso che le aveva lasciato un pezzo di carta, scritto a mano, con un angolo bloccato dal vaso di fiori. Ogni mercoledì sera, diceva, lo passava al pub di Brian. Era invitata a raggiungerlo. Dovette ammettere che quel ragazzo la affascinava, c'era qualcosa di magnetico nei suoi occhi impenetrabili e la sua aria canzonatoria, anche se in parte la rendeva nervosa. L'idea di cenare con lo stufato di Brian la allettava notevolmente, così si sistemò i capelli in una coda di cavallo, scosse i jeans sporchi di sabbia e si mise la felpa nuova. Corse nuovamente fuori, e l'aria, notò nel frattempo, era diventata molto più fredda. Il locale era relativamente vicino. Dall'esterno non trapelavano rumori, e le finestre, leggermente appannate, erano decorate con adesivi di lepricani e note marche di birra. Quando entrò, invece, si stupì a scoprire che regnava il caos assoluto. I tavoli erano tutti occupati, pieni di turisti nella penombra, intenti a mangiare pesce fritto e patatine. Cercò un buco dove appartarsi, ma pareva una caccia al tesoro persa in partenza. Brian le fece un cenno da dietro il bancone, facendole notare un tavolino sulla sua sinistra, accanto alla porta dei bagni. Finn sorrise da lontano, incitandola a muoversi. «Qui si serve il cibo fino alle otto e mezza, se vuoi ordinare, fallo subito...» le disse passandole un piccolo menù di cartone plastificato. Stufato alla birra, merluzzo fritto, salmone affumicato e hamburger erano i piatti principali, accompagnati da patatine, insalata e piselli. Optò per ciò che si era prefissata, e, come sperava, non rimase affatto delusa. La carne era incredibilmente tenera e saporita, molto diversa da quella a cui era abituata. «Dipende dal fatto che tutto quello che si mangia, qui da noi, arriva dalle fattorie intorno» le spiegò il vecchio. Sembrava leggermente brillo. Erica prese una pinta di birra scura, cercando di entrare nello spirito del luogo. Intorno alle dieci la maggior parte dei clienti era tornata verso l'albergo o migrata in altri locali. Un camino scoppiettava e il casino era finito quando, un anziano signore con un cappello piatto e la barba grigia, intonò un canto in una lingua a lei sconosciuta. Era gaelico, impossibile da comprendere, pensò sorseggiando la sua seconda birra. Finn si alzò e raggiunse il retro del pub. Quando tornò aveva in mano una piccola fisarmonica. Si sedette e iniziò a suonare accompagnando il cantante. I due erano evidentemente amici. Non poteva immaginare che cosa avrebbe scoperto dopo pochi istanti. Un altro strumento, soave ed elegante, si era inserito perfettamente a circa metà del pezzo che stavano eseguendo. Era Brian, e, piacevolmente stupita, vide che quello che stava suonando era un violino.
Alcuni tra i commensali rimasti iniziarono a battere le mani. Era quello lo spirito allegro, tutto irlandese, di cui aveva sentito parlare da qualche parte?
Il tempo volò ed Erica rimase rapita dalle emozioni provate da quella strana serata. Si sentiva come se fosse stata tra quella gente in mille altre occasioni, completamente a suo agio. Il pub chiuse i battenti a mezzanotte, e Brian iniziò a riassettare il locale proprio quando lei e Finn si avviarono, stanchi, verso casa. Passarono accanto al fiume, dove lui si fermò per un istante ad osservare l'acqua illuminata dai bagliori lunari.
Il cielo era ricco di puntini dorati, segno di una nuova giornata di sole in arrivo, e la ragazza si sentì libera da ogni pensiero e appagata da tutto ciò che stava vivendo. E Brian, pensò la ragazza, suonava il violino. Non poteva ancora crederci. Come mai l'aveva colpita così tanto? Si ritrovò a chiedersi, di fianco a Finn, mentre riprendevano a camminare in silenzio. Perché, si disse, era affascinante, divertente, e ora, aveva scoperto, anche incredibilmente bravo a suonare uno strumento così elegante. Si stava forse innamorando?

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