L'eredità

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Dopo un caffè bollente e un uovo strapazzato, Erica si sentì pronta per parlare nuovamente con Finn della zia. Gli americani erano partiti molto presto, per raggiungere Dublino città. Avevano promesso una buona recensione su internet. Finn era emozionato ed orgoglioso di aver soddisfatto le aspettative dei suoi primi clienti. Presto ne sarebbero venuti molti altri, l'alta stagione partiva a luglio, le disse mentre puliva il camino in salotto. Riempì un secchio di ferro nero di nuova torba, e si pulì le mani sui pantaloni. «Dove eravamo rimasti?» andò direttamente al dunque, facendole un flebile sorriso. «Ah si, ora ricordo, Erica». Le fece cenno di accomodarsi. Accese il fuoco, che iniziò dapprima con una colonna di fumo bianco, per trasformarsi in seguito in una minuscola fiammella, e si sedette al suo fianco. «Quando Flora arrivò, aveva soltanto una grossa valigia marrone. Aveva lasciato il suo paese con qualche vestito, un paio di libri e un album di fotografie di famiglia. Il nostro è stato veramente un amore grande, nato in pochi istanti incrociandoci per caso nella vostra bottega. Molti non compresero il nostro gesto così prematuro. Sono tornato da una vacanza portandomi una donna, e mai prima di allora ne avevo avuta una. La comunità ci mise qualche tempo ad accettarla, era pur sempre una forestiera. Adesso sono vecchio» disse sghignazzando «ma allora avevo anch'io il mio fascino. Per le altre donne, ero stato rubato». La ragazza non faticò ad immaginarlo. I suoi tratti, per quanto rugosi, mostravano eleganza ed armonia, rendendolo indubbiamente piacevole. Ed era intelligente, di questo non si poteva avere il minimo dubbio. Era quello che, certamente, veniva considerato da sempre un "buon partito". «Negli anni abbiamo ristrutturato questa casa insieme. Spesso ero assente per lavoro. Fortunatamente non ho mai dovuto lasciarla per scavi all'estero. Il caso ha voluto che potessi diventare un insegnante e veder formare i ragazzi con quella che è la mia più grande passione: l'archeologia. Flora rimaneva in casa, da sola, e amava studiare le tradizioni del nostro paese. Così tanto che organizzava spesso delle spedizioni alla ricerca di posti particolari. Penso che la tenesse impegnata, mentre ero a qualche congresso, specialmente se dovevo rimanere lontano per più giorni. Quando tornavo, mi mostrava i suoi studi. Disegnava, mappe, visi, particolari di luoghi che visitava, e scriveva. Scriveva molto, specialmente nell'ultimo periodo. Quella maledetta mattina, credo che stesse andando proprio a fare una delle sue passeggiate particolari». L'uomo abbassò lo sguardo, tradendo uno strano disagio, forse dovuto ai ricordi che improvvisamente stavano riaffiorando. «Ho delle cose da darti. Delle cose che appartenevano a Flora. Io sono vecchio, e voglio che ritornino alla sua famiglia». La ragazza intuì che la morte del fratello doveva averlo scosso notevolmente. Eppure Finn era in gran forma, di certo non avrebbe dovuto preoccuparsi della questione ancora per lungo tempo. L'accompagnò in quella che era stata la loro camera matrimoniale, dove un grosso comò, sicuramente un pezzo d'epoca, troneggiava nella piccola stanza con armadi a muro e un letto di ferro nero con copriletto patchwork. Sul piano di marmo bianco, vide un portagioie a forma di forziere e una scatola di cartone. «Questa è la sua eredità. Puoi prenderla e farne quello che preferisci». Erica provò un certo imbarazzo, quando prese sotto braccio entrambi i contenitori per ritornare nella sua stanza. La curiosità, però, iniziava a salire incredibilmente. Ringraziò Finn più volte, per quel gesto, e si congedò. La voglia di aprire quel forziere scuro in stile marinaro era irresistibile. Si sedette alla sua scrivania, emozionata. L'interno era foderato di tessuto verde. Rimase delusa nello scoprire che era semi vuoto. Un paio di orecchini di perle rosa, un bracciale molto sottile che sembrava essere d'argento, con un piccolo pendente a forma di quadrifoglio, ed infine, un anello. Anzi, notò, l'anello per eccellenza. La sua fede nuziale. Era un Claddagh ring, come quelli che aveva visto a Galway, impreziosito da quello che sembrava proprio essere un incredibile, vivido smeraldo.
All'interno lesse una minuscola data, probabilmente del matrimonio, seguita dalle loro iniziali, unite da un cuore. Entrambi i loro nomi iniziavano per "F", si ritrovò a pensare. Erica lo indossò, osservando la sua mano per qualche istante. Era bellissimo, e le calzava a pennello. L'idea di approfittare di quel gioiello, un tempo appartenuto ad un'altra donna, però, non le piaceva. Non sapeva come l'avrebbe potuta prendere Finn. Probabilmente, vedendolo, avrebbe continuato a pensare a lei, ogni volta che si fossero incrociati per casa. A malincuore lo ripose nel portagioie, e passò alla scatola rettangolare, che sembrava molto pesante. Conteneva centinaia di fotografie, di lei e la sorella, soprattutto. Momenti spensierati in bicicletta, sul lungomare, e in spiaggia, con quella che doveva essere la nonna da giovane. Immagini consumate, di attimi rubati con una vecchia polaroid. Era commossa, per qualche strano motivo. Vedere quelle bambine, ancora piene di speranze, le struggeva il cuore. Lontane dalla vita nella panetteria, prima dell'amore, e soprattutto, molto prima di conoscere la crudeltà della vita, sembravano inattaccabili, invincibili e unite. La nostalgia di casa la pervase improvvisamente, lasciandola con una spiacevole sensazione di vuoto. Prese il cellulare e chiamò in negozio. A quell'ora sua madre era appena rientrata dopo il pranzo, e certamente aveva del tempo per parlare, prima dell'arrivo dei clienti pomeridiani.
Parlarono circa dieci minuti. Cercò di descrivere come meglio poteva la casa di Finn, Cong e l'atmosfera positiva in cui era immersa. Dalla voce capì che era molto indaffarata, e la lasciò andare. Si era completamente dimenticata i ritmi frenetici a cui era abituata. Erano passati solamente tre giorni, eppure si era già totalmente abituata allo scandire del tempo rilassato e privo di ansie lavorative. Prima di chiudere la conversazione la madre le chiese quando aveva intenzione di tornare. Erica si rese conto che non ne aveva la più pallida idea. Non aveva scoperto ancora nulla, e non era venuto a galla niente che potesse aiutarla a svelare quel vecchio mistero. Richiuse la scatola e uscì all'aria aperta. Decise di dare un'occhiata ai negozi di souvenir del centro, le sembrava il momento giusto. Erica guardò le vetrine, piene di pecore stampate su magliette, portachiavi, penne e bicchieri. Sembravano gli stessi oggetti già visti in precedenza. A quanto pareva, c'erano gli stessi fornitori per ogni negozio per turisti. Fece una breve visita a una piccola esposizione di quadri, una mostra dedicata ai paesaggi sull'acqua. Onde ricche di spuma, laghi piatti nella nebbia, fiumi trasparenti e rivoli d'acqua tra le rocce, facevano da protagonisti su tele ricche di colline verdi, cottage tradizionali e scogliere sull'oceano impetuoso. Passò il resto del pomeriggio a girovagare senza meta, assorta nei suoi pensieri, e dopo aver mangiato un panino in una caffetteria, tornò a casa.
Finn era seduto in salotto, intento a leggere un quotidiano, quando la vide rientrare. La chiamò senza alzare lo sguardo. «Hai aperto la scatola, Erica?» la ragazza annuì, accomodandosi a sua volta sul lungo divano. «Sì, ho trovato anche l'anello, Finn. È bellissimo». Si sentì leggermente in imbarazzo a parlarne. «Sono molto felice che ti sia piaciuto. E spero che lo indosserai, è un vero peccato che rimanga chiuso in quel portagioie per sempre». L'uomo si alzò per raggiungere una piccola libreria di legno massiccio, nascosta dietro la porta. Erica non l'aveva mai notata prima di allora. Ne estrasse un libro, e cercò velocemente con le mani un passaggio preciso, da quello che sembrava essere un testo sulle tradizioni irlandesi, e glielo mostrò.

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