ONE SHOT NICO DI ANGELO (pt. 1)

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"Bianca. Bianca. Bianca."
Quel nome continuava a rimbombarmi nella testa, confondendo i miei pochi pensieri lucidi e martellandomi la mente.
Non riuscivo a smettere di pensarci. Non potevo farne a meno.
"Bianca. Bianca. Bianca."
Cominciai a correre. Incespicavo ogni pochi metri, ma non mi interessava. Ogni centimetro che mettevo fra me e i miei inseguitori era di per sè un enorme traguardo. Se cadevo mi rialzavo in un attimo, come se non fosse successo nulla. Era un movimento automatico, dettato dalla paura.
Temevo che mi avrebbero acciuffato da un momento all'altro, sentivo che la mia fine era vicina.
Fui assalito da tutte le mie colpe e i miei errori, che si avvinghiarono al mio corpo e cominciarono a massacrarmi in modi che non riuscivo neanche ad immaginare.
Se solo avessi fatto come mi avevano detto gli altri.
Se solo non avessi deciso di seguire la mia testa, evitando di compiere una scelta troppo avventata e di avvicinarmi a Minosse.
Se solo non mi fossi affidato all'istinto, che mi ha tradito proprio quando avevo più bisogno del suo aiuto.
Ma soprattutto, se solo non fossi stato così idiota da lasciarmi scappare l'unica persona per me importante, Bianca. L'ho rovinata. Ed è solo colpa mia.

Superavo edifici su edifici, le strade in cui svoltavo erano tutte analogamente monotone e grigie, impossibili da distinguere. Non sapevo più cosa fare, non sarei riuscito a scappare in eterno. Ogni tanto quando vedevo una scia scura fluttuare sospesa a mezz'aria, prendevo subito la direzione opposta. In quella situazione ero a corto di idee brillanti e di escamotage.
Dopo un lasso di tempo che non saprei definire, il dolore ai piedi e alle gambe cominciò a farsi sentire sempre di più. Ma io lo ignoravo. Cercavo di convincermi che non esistesse. In quel modo, se io pensavo che non mi facesse male niente, il dolore spariva ed era come se non fosse mai esistito.
Non era così?
"Direi proprio di no", fu la risposta che mi detti nella testa qualche secondo dopo, quando inciampai su un sasso sporgente nel terreno. Capii che quella volta non era come le altre dalla fitta acuta che avvertii alla caviglia. Restai accasciato per terra, con una mano che reggeva il muscolo dolorante. Forse era slogata, forse rotta. Non potevo saperlo, l'unica cosa che mi era nota era che sarebbero arrivati presto a prendermi. Chiusi gli occhi. Non volevo morire.

Seguite da quella scia, delle scure figure incappucciate si accostarono a me e cominciarono a scrutarmi da vicino, quasi fossi un animale incredibilmente raro esposto in uno zoo.
Avevano un aura che conoscevo molto bene. Sapevano di morte.
Il cuore mi batteva a mille. Prima che riuscissi a capire quello che stava succedendo, il dolore che avevo provato fino a quel momento raggiunse tutto un altro livello. Scorsi il bagliore argentato dell'elsa di una spada, la stessa lama che mi aveva appena lacerato il fianco. Rimasi senza fiato. Era una ferita molto grave, forse più di tutte quelle che mi fossero mai state inferte nella mia vita di semidio.
Non riuscivo a muovermi di un millimetro, il mio corpo non rispondeva ai comandi. Ero concentrato solamente su quel dolore insopportabile, mentre cercavo disperatamente un modo per farlo cessare. Quando la mia vista cominciò ad offuscarsi, mi resi conto che non ce l'avrei fatta. Sentivo le risate fredde e innaturali degli uomini come un'eco lontana, come se non appartenessero più a questo mondo ma ad un'altro. Ad un'altra dimensione.
"Bel lavoro, Nico. Non sei riuscito a salvare Bianca, ma nemmeno te stesso. Ti sei davvero rovinato la vita. E con essa, probabilmente anche la morte."

Mi risvegliai in un luogo che non conoscevo. Tossii e rotolai su un fianco. Chissà come avevo fatto a ridurmi così. Ero del tutto a pezzi, dolente in qualunque punto del mio corpo. Non riuscivo a rimettermi in piedi, per cui esaminai attentamente le caratteristiche del posto in cui mi trovavo, cercando di carpirne i dettagli. Perlomeno quelli che potevo notare da quella posizione, sdraiato e con i sensi offuscati dal dolore.
Sentii che sotto di me il pavimento aveva la consistenza dell'erba, come quella su cui i bambini corrono a piedi nudi d'estate. Ma con una differenza: era completamente nera. Non sembrava che fosse appassita, sporca o che fosse stata calpestata troppe volte. Era semplicemente color pece.
Tutt'intorno si estendeva una foresta fitta di alberi, anch'essi troppo scuri rispetto a quello che sarebbe dovuto essere il loro colore naturale. C'era un odore di bosco, ma come il resto pure quello non sembrava sano e genuino. Era un aroma che conoscevo, ma misto a qualche sostanza ignota, per cui assomigliava all'aria delle foreste ma era al contempo molto diversa dal normale.
Larghe fronde di foglie coprivano il cielo, impedendomi di vedere la luce. A patto che ci fosse stata, un po' di luce.
Considerato il resto del paesaggio, era probabile che il colore del cielo fosse rosso sangue, con una stella diversa dal Sole.
La cosa che mi fece più impressione però fu che sia l'erba che gli alberi sembravano essere morti da sempre. In realtà, per un po' credetti che qualunque cosa si trovasse lì non fosse mai nata e non fosse mai morta. Che fosse nata già morta.

Non capivo se fosse mattina, pomeriggio o sera, e cominciai a chiedermi se lì il tempo scorresse regolarmente. Ma forse, pensai, non era quello il problema più rilevante. Infatti, quando cercai di ripescare nella mia memoria gli ultimi ricordi che avevo, percepii il vuoto più totale. Ecco un dettaglio fondamentale: non ricordavo assolutamente niente di quanto mi era successo prima di finire lì. L'ultimo flash che avevo registrato era quello di me al Campo Mezzosangue che osservavo pensoso la cabina delle Cacciatrici, mentre mi ritornava in mente quando qualche anno fa Percy mi aveva annunciato la morte di mia sorella. Sapevo che qualcos'altro doveva essere accaduto dopo, ma non avevo idea di cosa. Per quanto mi riguardava, avrei potuto tranquillamente essere morto.
Ma se era davvero così...
- Ade... cioè, ehm... papà?
Nessuna risposta. Me lo immaginavo. Ma in fondo cosa c'era da aspettarsi? Credevo davvero che qualcuno sarebbe venuto a tirarmi fuori da quella situazione, dal nulla? Inutile girarci intorno: ero completamente solo e dovevo cavarmela con le mie poche forze.

Mi sentii frustrato, e mi venne il desiderio irrefrenabile di tirare un pugno a terra per sfogare la mia rabbia. Ma, saggiamente, immaginai che magari non sarebbe stata una così buona idea rovinarmi le ossa della mano in questo modo, quindi mi limitai a sospirare fra i denti.
Cominciai a fare il punto della mia situazione: mi trovavo in un luogo sconosciuto e inquietante, senza sapere come avevo fatto ad arrivarci e con tutto il corpo indolenzito, incapace di muovermi. Poteva andare peggio di così? Dopo il "no" fermo della mia coscienza, mi riscossi e decisi che avrei fatto meglio a cercare un'alternativa per uscire da lì e per rimettermi in sesto al più presto.
Spostarmi per adesso era praticamente impossibile, quindi avrei dovuto rimanere in quella posizione fino a che il dolore non fosse diminuito un poco. Successivamente poi avrei potuto controllare se avevo ferite visibili o fresche sul corpo e di conseguenza decidere come agire. Mi sembrava la soluzione migliore.
Ma, come al solito, c'era una falla nel mio piano: stando lì fermo, seppur involontariamente, i miei pensieri vagarono verso Bianca. Di nuovo. E rividi esperienze che non ricordavo più. Ma non momenti vissuti insieme o giornate passate a divertirmi. No, quelli a cui ripensai erano episodi che io davvero speravo di non ricordare più.

TO BE CONTINUED

~by Una Figlia di Atena

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