Capitolo 3

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Uscii dall'università massaggiandomi le tempie per l'enorme mal di testa che mi era scoppiato durante la lezione. Era stata piuttosto intensa e difficile da seguire, mi faceva male la mano per quanto velocemente avevo cercato di scrivere gli appunti.
Ma finalmente era arrivato il venerdì, il mio giorno preferito della settimana.

Il vento leggero di ottobre mi scompigliò i capelli, e decisi di farmi trasportare da esso. Era ancora presto, e l'idea di tornare a casa e trovarmi quel tizio viscido sul divano non mi entusiasmava per niente.

Così decisi di prendere la metro non per tornare a casa, ma per farmi un giro nella mia bella Roma. Scesi a Colosseo, e appena uscì dalla metro fu come tutte le volte.
Un colpo al cuore. Credo che capitasse a tutti i turisti, tutti si meravigliavano dell'improvvisa e schiacciante bellezza del Colosseo. Eppure io non ero una turista, io sarei dovuta esserci abituata. Ma credevo che a tanto fascino e grandezza non ci si abituasse mai.

Feci il giro e presi la stradina in salita che ti portava su, su un muretto che era come un davanzale sull'Anfiteatro.

Quando ero ancora un adolescente andavo spesso lì con i miei compagni di classe per farci le foto da mettere sui social. In quel momento realizzai quanto tempo avevamo sprecato a fare foto per vantarci di fronte agli altri della nostra Roma, come se fosse una gara tra chi vivesse nella città più bella.
Ma non ci eravamo mai fermati ad osservare e basta. A farci trasportare dalla sua magia e a scrutare con gli occhi ogni angolo nascosto di questa meravigliosa città.

Mi appoggiai con le braccia sul muretto, e finalmente mi presi tempo per osservare. Percorsi con i miei occhi ogni blocco di marmo, ogni arco, ogni colonna e ogni capitello. Avevo frequentato il liceo scientifico, e avevo studiato tanta di quella roba che ancora mi chiedevo con quale forza ce l'avessi fatta, ma la storia di Roma e del Colosseo, la tecnica con cui fu costruito il Pantheon, e la storia che narrava la Colonna di Traiano, mi erano rimaste impresse e non le avevo mai dimenticate.

Una coppia di anziani si appoggiò al muretto poco distanti da me, ed io mi girai a guardarli. Erano sicuramente marito e moglie, il modo in cui si guardavano lo rendeva palese. Lui le porse una rosa, sicuramente comprata ad uno di quei venditori ambulanti che l'altro giorno Spettro aveva travolto. Lei gli diede un dolce bacio sulla guancia e gli prese la mano nelle sue.

Io sorrisi senza neanche accorgermene e tornai a guardare davanti a me, e con la coda dell'occhio vidi che loro fecero lo stesso.

– Mi sento un po' come lui. – disse il signore riferendosi al Colosseo.
– Oh, tesoro, ma tu non hai quasi duemila anni. – ridacchiò la moglie.
– Lo so, ma mi sento vecchio come lui. E non mi piace sentirmi vecchio, anche se so di esserlo. È che mi fa sentire inutile, a volte. – disse l'uomo con voce spenta.
– Guardalo – la moglie indicò davanti a sé
- ne ha passate tante, è crollato in alcuni punti, ma non ha perso la sua bellezza. È ancora imponente e maestoso come il primo giorno, e la gente viene da tutto il mondo per vederlo. Se ti senti come il Colosseo, non sentirti vecchio, ma eterno. È una delle sette meraviglie del mondo, e tu sei la più grande meraviglia della mia vita. – lei pronunciò quelle parole che alle mie orecchie parvero poesia. Il signore si commosse e le mise un braccio attorno alle spalle.

– Sei io sono Colosseo, tu sei l'architetto che ha ideato il progetto, e sei tutti quegli schiavi che hanno trasportato ogni singolo blocco di marmo dalla mattina alla sera. Non dico che tu sia una schiava, non mi fraintendere. – ridacchiò e lei con lui.
– Voglio dire che se sono rimasto in piedi è grazie a te, e ai cinquant'anni che hai trascorso con me, senza mai lasciarmi un secondo. – disse, e la moglie gli posò un bacio sulle labbra sottili.

Quello scenario e quella scena mi avevano riscaldato il cuore e l'anima, ma la suoneria del mio telefonò mi fece tornare alla realtà.
– Dimmi. – risposi sbuffando a Marco.
– Biondina, qui c'è il tuo cane che mi sta ringhiando contro da dieci minuti, e non so cosa fare. – disse, e sentii dalla sua voce che fosse veramente agitato.

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