Capitolo 19

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Qualcuno bussò alla mia porta.
Era mezzogiorno e ancora non ero scesa dal letto. Marta ieri sera andata da Tommaso, e non era ancora tornata. Quindi dietro la mia porta doveva esserci per forza Marco.

– Che vuoi? – gli chiesi in malo modo.
– Voglio parlare con te. Voglio capire che è successo ieri e che ti ha detto quella ragazza. – nonostante la sua voce si sentisse ovattata, percepii il suo tono tranquillo. Stava cercando di toccare i tasti giusti con me, vedevo che ci stesse provando. Ma io quella mattina avevo innalzato il mio muro più che mai.

– Non c'è niente da capire. – gli urlai, senza muovermi dal letto. Lo sentii sbattere la mano sulla porta.
– Marta... - mormorò. Io rimasi in silenzio sotto le mie coperte.

Dopo qualche secondo aprì la porta di colpo, facendomi sussultare. Spettro, che era ai piedi del mio letto, si alzò in un istante ed iniziò a ringhiargli come sempre.
– Digli di smettere. – mi ordinò, indicando il mio cane.
– No. – dissi atona.
– Spettro, da bravo. Smettila. – gli disse lui, cercando di avere un tono autoritario.
Lui però se ne infischiò delle sue parole, e non smise di ringhiare.
– Spettro, mandalo via. – gli dissi, mettendomi a braccia conserte, ancora infilata nel mio letto. Spettro gli andò incontro e cercò di spingerlo fuori dalla mia stanza con il muso. Marco però non ne aveva intenzione, così il cane iniziò ad abbaiare, cosa che faceva raramente.

– Va bene, non mi importa se non mi vuoi sentire, parlerò lo stesso. – Marco alzò le mani in segno di resa.
– Non ho visto chi era quella ragazza, ma se come dici tu è stata con me, allora mi immagino cosa possa averti detto. Le ragazze sono invidiose, Emma. Soprattutto in questo tipo di ambiente. – alzò la voce cercando di sovrastare i versi di Spettro. Io lo guardavo con occhi freddi, come se in realtà non lo vedessi.
– Cosa vuoi fare? Il gioco del silenzio ora? – mi chiese, passandosi un mano tra i capelli per il nervoso.
– Esci di qui. – gli dissi duramente, ma lui non reagì. Anzi, sembrava ancora più ostinato a voler rimanere lì impalato.
– Perché devi rovinare tutto? Perché in qualche modo devi avercela sempre con me? – mi chiese, sull'orlo della disperazione.
– Perché sei impossibile, Riva. – gli risposi.
– Impossibile? Io credo che ieri sera invece sia stato tutto il contrario. Siamo stati bene, ammettilo. Ci siamo divertiti in mezzo a tutta quella gente che ci guardava come se fossimo Angelina Jolie e Brad Pitt. Su internet adesso non fanno altro che parlare di noi, ci sono le nostre foto mentre balliamo e sono tutti in estasi. – disse facendo mezzo sorriso. Intanto Spettro si era stufato di abbaiare ma rimase sempre sull'attenti.
– Sì, stiamo stati bene. Ma io non sono come te, non come ci riesci. – gli dissi, scuotendo la testa.
– Che vuoi dire? – si appoggiò con le spalle al mio armadio.
– Per te la serata è andata bene perché tutti ci guardavano e ora non fanno altro che parlare di noi e di ieri sera. Per me non è così. È vero, quella ragazza mi ha detto cose orribili perché era invidiosa, ma ha ragione. Tu sei una stella che brucerà e rimarrà luminosa per decenni, ma io non posso essere una delle tante stelle cadenti che hanno avuto successo solo perché avevano te affianco. Io non voglio finire nel dimenticatoio, e non voglio essere ricordata per il vestito di Dior che ho indossato ieri sera. Io sarò un medico, e finirò sulle riviste di medicina più importanti per aver scoperto una nuova terapia per una malattia incurabile. Io voglio essere una stella che rimarrà nel cielo per secoli, e se resto legata a te, non posso esserlo. – sputai il rospo.
Quelle erano le idee che avevo sviluppato durante tutta la notte, e ora che le dicevo ad alta voce mi sembravano avere ancora più senso. Marco sembrò quasi sbiancare per un attimo, poi serrò la mandibola e assottigliò gli occhi.

– Mi hai deluso, sai? Per un attimo ho pensato che tu fossi davvero diversa. E non perché dopo tre giorni che ci eravamo conosciuti non sei voluta venire a letto con me. Pensavo fossi più intelligente di così, pensavo fossi la ragazza sensibile che curerà i bambini, un giorno. E invece non lo sei. Ti sei fatta abbindolare dalle parole insensate di quell'arpia, e facendo così le hai dato proprio ciò che voleva. – si mise a braccia conserte e i suoi muscoli sembravano voler strappare la maglietta che aveva addosso.
– Parla quello che mi sta usando per guadagnare di più. – ridacchiai, stringendo il lembo della coperta tra le mani. Lui rise, come se quello che dicevo non fosse vero. Fece per andarsene, ma poi si bloccò.
– Lascerai tutto? Manderai quello che stavamo creando a puttane? – mi chiese, nero dalla rabbia.
– Cioè una finta relazione? – chiesi quasi ridendo. Infondo era quello che stavamo "creando".
– Bianchi si incazzerà tantissimo. – disse, come se per lui quello fosse l'unico problema. Bianchi.
– Non mi interessa, può arrabbiarsi quanto vuole. Se vuole tenermi come sua modella ne sarò felice, ma non voglio essere più la tua dama. Tanto credo riuscirai a trovartene un'altra in pochissimo tempo. – feci spallucce, e lui cercò di nascondere il suo sgomento. Era gelido, ma vedevo il fuoco della rabbia che bruciava nei suoi occhi verdi.
– Infatti. – annuì sicuro, ed uscì da camera mia sbattendo la porta. Io sospirai e mi girai su un fianco, accarezzando Spettro che sembrava ancora infastidito dalla presenza di Marco.
– Oh credimi tesoro, non lo sopporto nemmeno io. – gli dissi, anche se in realtà Spettro si trovava tra due fuochi, visto che ormai l'uno si era affezionato all'altro.


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