Seventeen: you don't know how things really are, Max.

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"Il coraggio aspetta; la paura si mette in cerca."
- José Bergamin

"- José Bergamin

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Strano.

Strano era la parola più giusta per definire tutta questa storia. Quella che era diventata la mia storia.

Strano svegliarmi a casa del mio allenatore e trovare mia cugina Sarah apparentemente in preda ad una crisi isterica. Strano il modo in cui lei si era comportata nei suoi confronti. Strane le parole di Harry.

«E sentiamo, perché sarei un bastardo? Perché hai paura che possa fare a tua cugina la stessa cosa che-».

E, poi, il rumore di uno schiaffo. Secco, deciso.

E m'interrogavo, m'interrogavo continuamente sul significato di quelle parole che, da quando avevo lasciato la casa di Harry stamattina, continuavano a rimbalzarmi in testa. Seduta sulla macchina di Sarah, mentre lei guidava ed io osservavo le strade polverose della periferia newyorkese attraverso il finestrino sporco, un'unico pensiero mi occupava la mente.

«Tu ed Harry vi conoscevate già?» ruppi il ghiaccio così, all'improvviso, non riuscendo più a tenere a freno ciò che bramava - ormai da un po' -  di andare oltre la punta della mia lingua, oltre, soprattutto, le pareti del mio cranio.

Sarah inchiodò.

Mi voltai di scatto verso di lei, e la guardai torva.

«Siamo arrivati» annunciò a sua discolpa, non staccando mai lo sguardo dal volante.

Mi accorsi che le sue nocche erano totalmente bianche, segno che lo stava stringendo con forza eccessiva. Era visibilmente nervosa, agitata. Lo si notava chiaramente dalla rapida frequenza con cui il suo petto si alzava e si abbassava e dal respiro affannato, come se avesse appena fatto una corsa.

Continuai a guardarla per alcuni minuti, in attesa di una risposta che, ben presto, capii che non sarebbe mai arrivata.

«Non mi va di allenarmi» sputai chiaro e corto, riportando l'attenzione sulla strada difronte.

«Cosa?!» anche a debita distanza la sentii sobbalzare «Max, non dire sciocchezze, il camp-»

«Me ne fotto di questo stupido campionato, cazzo!» imprecai, sbattendo violentemente una mano sul cruscotto nero.

Un religioso silenzio e due respiri pesanti - rispettivamente il mio e quello di mia cugina - furono le uniche cose che si udirono per i seguenti minuti. O almeno finché, esausta dalla situazione, non decisi di aprire la portiera del passeggero, rivolgendo un'ultima, gelida occhiata a Sarah, che se ne stava ancora ammutolita al posto del guidatore.

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