Thirty: black widow pt.2.

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"Eppure resta
che qualcosa è accaduto,
forse un niente
che è tutto".
- Eugenio Montale

- Eugenio Montale

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Nei minuti successivi tutto accadde così velocemente.

Mi staccai di colpo nel momento in cui Louis si portò le mani al viso, deformato in una smorfia di sincero dolore al di sotto dei suoi palmi ruvidi. Un boato generale si levò nell'aria, e, all'improvviso, attorno alle nostre figure venne a crearsi un vero e proprio cerchio, di cui noi costituivamo il centro.
La testa prese a girarmi vorticosamente, tanto che mi sembrò di venire inghiottita in un tornado di mormorii sibilanti, parole taciute ed espressioni indignate. I miei occhi passarono rapidamente in rassegna le infinite facce schierate l'una accanto all'altra attorno ai nostri corpi, simili a soldati in trincea. C'era chi giudicava con sguardo sprezzante il misfatto, chi, composto nel proprio orgoglio, sussurrava parole a sproposito all'orecchio del vicino di fila, chi si era portato le mani alle labbra dipinte per soffocare un urlo, chi scuoteva il capo in segno di negazione, a condannare tale gesto violento. Piccoli fremiti e frasi a metà si diffusero alla velocità della luce nell'aria circostante, stordendomi ulteriormente con la chiara vena accusatoria di cui erano impregnate.
Nella confusione generale, nel perentorio mormorio globale che aveva preso a strisciare sulle nostre pelli, insidiandosi fin dentro alle ossa per marchiarci come colpevoli, nella trepidante attesa di un boia che sbucasse da un qualche angolo per obbligarci a pagare il conto salato, in un tempo che mi parve infinito, non riuscii a reagire ad alcuno stimolo. Era come se, di punto in bianco, il mio corpo avesse deciso di sconnettersi dal mio cervello e non seguire più i suoi ordini, ovattando perciò i miei sensi. Completamente in balia dei fatti commessi, e di quelli che sarebbero accaduti sicuramente da lì a breve, mi lasciai semplicemente cullare in modo passivo dall'onda di intorpidimento che sentii inebriare ogni mia fibra, incapace di muovere qualsiasi muscolo.

Poi, ad un tratto, un urlo disumano sembrò squarciare il soffitto preziosamente affrescato dell'immenso salone.

«PORTATELO FUORI, ORA!».

Capii che quell'ordine, impartito con cotanto vigore, era giunto dalla bocca di Louis solo quando tolse la mano che precedentemente gli copriva la parte inferiore del volto, rivelando una cascata di sangue che, fuoriuscendo dalle sue narici, andava ad imbrattargli l'arco di cupido ed il labbro superiore.

Solo allora rinsavii. Non seppi se fosse stato grazie alla vista di quel liquido denso e scarlatto, se fosse stato dovuto ad un colpo di fortuna o se semplicemente fosse stato merito dell'istinto, ma non appena udite quelle parole vidi in lontananza avvicinarsi in modo minaccioso gli addetti alla sicurezza con la coda dell'occhio, presi Harry sottobraccio e lo trascinai via da tutti riflettori che erano ormai stati puntati su di noi.

Mi feci largo tra la folla a suon di gomitate, e durante il breve tragitto alle mie orecchie non sfuggì di captare qualche parola sconnessa e ben poco amichevole, inerente sempre a quanto accaduto pochi minuti prima. Non vi diedi importanza e continuai a camminare frettolosamente, assicurandomi di non perdere mai di vista il riccio. Quest'ultimo, apparentemente stordito, mi seguì silenziosamente, limitandosi a tener ben salda la mia mano. Cercai di ignorare il calore della sua pelle a contatto con la mia e proseguii fino all'uscita. Da lì tutto successe decisamente troppo in fretta: con ancora Harry per mano corsi alla macchina che avevo precedentemente parcheggiato in modo fortuito nel cortile dell'abitazione, i cui cancelli erano aperti per l'occasione; salimmo velocemente e, con i bodyguard alle calcagna, feci appena in tempo a mettere in moto e partire, sgommando via in retro al di fuori dell'immane recinzione di casa Tomlinson e stando attenta a schivare le altre vetture parcheggiate dietro di me come in un fottuto slalom.

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