3. Cosa siamo noi

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La mattina dopo mi svegliai di soprassalto per le grida di mia madre che mi urlava direttamente nel timpano, giusto per aumentare ancora di più il mio nervosismo cronico - e farmi bestemmiare in aramaico.

Sbuffando peggio di un toro mi diressi a passo di zombie in cucina, dove i miei occhi focalizzarono solo i biscotti pan di stelle e i cereali al cacao innaffiati nello yogurt.

Avevo gli occhi a cuoricino e lo stomaco iniziò a brontolare, esigendo quel cibo prelibato e assolutamente necessario.

Mi fiondai come un'assatanata su quel nettare da cui dipendeva strettamente la mia sopravvivenza quella mattina, dovevo essere in forma ottimale per non svenire davanti -o sopra - al mio compagno di banco.

Non avrei fatto una bella figura, proprio per niente, quindi meglio prevenire ogni possibile controversia.

Gustai quasi allegra tutte quelle calorie finendo quasi per strozzarmi quando mia madre decise di interrompere quel meraviglioso momento.

«Allora, contenta di andare a scuola? Ti vedo felice, sarà mica per quel ragazzino?» disse in tono civettuolo e facendomi l'occhiolino, ignorando beatamente che io stessi per soffocare davanti ai suoi occhi.

Tossii come un turco imbottito di fumo e risposi seccata alla sua domanda, rinunciando per qualche secondo al biscotto che avevo tra le mani.
«Ma che cavolo, no mamma. Tra cinque minuti sarò schizzata come ogni giorno, è questa colazione che mi mette di buon umore»

E anche il fatto che avrei rivisto quegli occhi, ma questo lo tenni per me, mancava solo che iniziasse di nuovo il suo terzo grado e non sarei più uscita di casa.

«Puoi dirmi quello che vuoi, ma una madre capisce tutto» ribattè convinta e si alzò dalla sedia, lasciandomi di marmo.
Ma capire cosa?
Si credeva per caso maga Magò?

Sbuffai e mi diressi in camera per prepararmi e imprecare in arabo come al mio solito.

Avevo bisogno urgente di una giornata di shopping, i vestiti da bambina dovevano andare direttamente nella spazzatura.

Dopo un'intensa lotta con l'armadio mi misi lo zaino su una spalla e scesi di corsa le scale per arrivare alla macchina che mi avrebbe portato dritta all'inferno.

«Sei tutta rossa» constatò mia madre guardandomi e mettendo in moto.

«Per forza, ho corso e ora ho caldo» sbuffai e tirai giù il finestrino per avere più ossigeno da respirare.
L'aria fresca mi colpì in pieno volto e mi sentii subito meglio.

«Mh, farò finta di crederti» riprovò, tornando all'attacco.

Alzai gli occhi al cielo ma per fortuna in seguito il tragitto fu piacevolmente silenzioso.

Mi accorsi con riluttanza che eravamo quasi davanti a scuola, ma ero quasi felice di non dover riprendere quella scomoda e insensata conversazione.

«Non mi dai un bacio?» chiese mia madre sporgendosi verso di me.

Storsi la bocca e gli rifilai un secco «no», sorridendo poi malefica e chiudendole la portiera in faccia.

Percorsi per la seconda volta quel corridoio chiassoso e strapieno di ragazzini e filai dritta e decisa verso la porta della mia classe, quasi correndo nervosa.

Varcai la porta col cuore a mille e le vampate da menopausa, respirai a fondo e lo vidi seduto sul banco in ultima fila.

Deglutii per il suo aspetto impeccabile e da essere innaturale e mi diressi verso il mio posto, di nuovo sotto lo sguardo indagatore - aggiungerei anche invidioso - degli altri miei compagni.

All'istante lui alzò la testa e il suo sorriso mi travolse in pieno, facendomi vacillare sul posto e riuscendo a mostrare solo un mezzo sorriso teso.
Maledetta ansia.

«Buongiorno Reb» disse lui sorprendendomi.

Si poteva morire sentendo il suono della sua voce?
Probabilmente no, ma io stavo andando letteralmente a fuoco dappertutto.

«Ciao» risposta da vera asociale cronica.
Migliore figura non potevo fare, ero il panico in persona e gli sguardi che avevamo addosso non mi tranquillizzavano per niente.

«Allora, come ti sembra questa scuola?» chiese di nuovo, non si era arreso alla mia risposta per niente socievole.

«Mh, penso che potrei sopravvivere» dissi sorridendo nervosa e guardando ovunque tranne che lui, il banco era diventato improvvisamente interessante.

Rise e annuì distratto, passandosi una mano fra i capelli spettinati.
«Sembri una ragazza studiosa e precisa quindi presumo che sopravviverai. Non sei certo come me che ho perso un anno prendendo tutto alla leggera» scrollò le spalle e alzò lo sguardo.

«Oh, mi dispiace» dissi spiazzata e trovandomi i suoi occhi addosso.

Quindi aveva un anno in più e aveva deciso di riniziare l'anno ancora nella stessa scuola, programmandosi di essere più diligente nello studio.

Dentro di me si stava organizzando una festa di addio alla mia sanità mentale e al mio cuore che aveva deciso di uscirmi dal petto.

Sorrisi quasi senza accorgermene ma lui fortunatamente non lo notò perché il suono della campanella svegliò tutti quanti dal dormiveglia in cui erano sprofondati.

Le lezioni iniziarono col botto - se così si può definire - perché il professorone di latino decise bene di inaugurare il secondo giorno partendo a razzo a spiegare la prima declinazione di latino.

D'ora in avanti avrei odiato ed evitato come la morte le rose, anche se erano il mio fiore preferito e incarnavano il romanticismo per eccellenza.

Per fortuna o pietà, gli altri insegnanti non spiegarono mezzo programma scolastico in un'ora ma parlarono a grandi linee di cosa avremmo affrontato e di ciò che si aspettavano da noi.

L'intervallo giunse come una luce nella mia testa, potei finalmente prendere un respiro e poggiare la biro almeno per dieci minuti e riposare la mia povera mano che mi stava andando in cancrena per lo scrivere ininterrotto.

Con la coda dell'occhio notai Lorenzo alzarsi e dirigersi quasi correndo verso il corridoio, dove potei assistere a una scena che mi ricordò il film Via col vento.

Sbuffai amareggiata, insomma, mica era un bacio d'addio perchè lui stava per partire per il fronte, non riuscivano a stare lontani neanche qualche ora?

Volsi lo sguardo verso di loro ed erano ancora avvinghiati come due drogati che non potevano fare a meno l'uno dell'altra.

Eppure lui non mi sembrava un tipo così eccessivamente romantico, mancava solo che la portasse in braccio al castello reale e sarebbe stato il principe azzurro perfetto.

Distolsi gli occhi perché mi ero incantata e mi presi la testa fra le mani, per fortuna in classe non era rimasto nessuno altrimenti avrei fatto un'altra figura del cavolo.

Respirai a fondo e una domanda - provocata dall'invidia e dalla gelosia - mi sorse un testa, togliendomi il respiro: avrei trovato anche io un ragazzo così bello e premuroso che mi avesse amato in quel modo?

[ Per vostra somma gioia ho aggiornato questa maledettissima storia ahah non fraintendetemi, è la seconda storia che ho scritto (ormai ha tre anni) e quindi ci sono affezionata, ma è comunque difficoltoso portare avanti tre storie.
Boh, che ve ne pare?
Ho cercato di aggiungere più dettagli anche se non è il mio forte.
Che dire, alla prossima
Baci Alice ]

Baci al cianuroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora