4. La notte dei desideri

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Il suono della campanella mi riportò sul pianeta terra e mi fece sobbalzare sulla sedia come un canguro.

Ero stata dieci minuti a fissare i due piccioncini senza battere ciglio e soprattutto avevo ancora la mia merendina, ormai frantumata in mille pezzi, tra le mani.

Ero una cretina e avevo fame, così decisi di sfamarmi prima di sottopormi a un lavaggio del cervello.

Iniziai ad ingurgitare come un criceto il mio kinder delice come una drogata, salvo poi ingozzarmi come una bambina quando qualcuno al mio fianco parlò.

«Sei affamata eh?» Lorenzo mi stava guardando con un sorriso divertito e la mano davanti al viso per non scoppiare a ridermi in faccia.

Annuii soltanto e continuai a gustarmi tutto quel cioccolato con più calma ed educazione.

Quando finii lui mi stava fissando ancora con un sorrisetto sghembo, ricambiai lo sguardo e inarcai le sopracciglia interrogativa: «che c'è?» la voce mi uscì quasi brusca senza volerlo.

Mi avevano sempre dato fastidio le persone che prendevamo a fissarmi senza un motivo, mi facevano sentire a disagio e in soggezione, soprattutto se maschi.

«Niente, è che sei sporca di cioccolato» rispose abbassando lo sguardo sulla mia bocca.

Porco cazzo, mi stava fissando le labbra?
«Ah» riuscii solo a dire, come imbambolata dai suoi occhi.

E istintivamente passai la lingua sulla bocca per pulirmi, una cosa normale se non fosse che lui seguì quel gesto con aria seria e corrucciata.

«Sono a posto ora?» chiesi, e tutto il mio corpo tremava.

Lui si riprese e sorrise divertito «no, aspetta»

Senza che potessi fermarlo lui allungò un pollice che si posò sull'angolo della mia bocca, tracciando il contorno del mio labbro inferiore.

Deglutii col cuore che batteva a diecimila e abbassai lo sguardo imbarazzata: di sicuro tutti i miei compagni avevano visto quella scena perchè in classe era sceso un silenzio tombale.

«Ora sei pulita» ridacchiò, per niente a disagio.

Sorrisi rigida e spostai lo sguardo sul mio banco, giocando nervosamente con la zip della mia felpa.

Dovevano inventare un nuovo programma sul Realtime Figure di merda cercasi, io sarei la stata la vincitrice indiscussa.

Sbuffai appena vidi la professoressa di arte varcare la soglia con la sua solita borsa a tracolla rossa e vestita come un'indiana, gonna lunga fino ai piedi di diversi colori e una maglia nera abbinata.

Si posizionò sulla cattedra e iniziò a spiegare l'arte del Paleolitico fino all'architettura di Stonhenge.

Presi appunti come una forsennata, scrivendo quasi quattro pagine di quaderno e alla fine dell'ora contemplai soddisfatta il mio lavoro.

«Ti accontenti di poco eh?» mi stava osservando, di nuovo.

Alzai le spalle «mi piace l'arte».

Le ultime due ore passarono tra numeri e operazioni, matematica tanto odiata e temuta, e a me aveva fatto venire ancora più fame.

Appena suonata la campanella Lore saltò su come una molla, mi salutò lasciandomi un bacio leggero sulla guancia e uscì dall'aula, inconsapevole di avermi appena fatto venire un infarto.

Dopo cinque minuti ero ancora seduta sul banco pietrificata ma lo schiamazzo degli altri studenti mi risvegliò in un lampo e mi affrettai a sistemare le mie cose.

Baci al cianuroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora