Ten and twelve

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Ten and twelve

Il raggi del sole si infrangevano contro i cristalli di brina aggrappati ai fili d'erba e il campo da calcio sembrava coperto di diamanti. L'aria era tersa e gelida, con il fiato si creavano affascinanti e momentanee nuvolette di vapore. Sugli spalti inumiditi dalla notte i genitori, imbacuccati nei loro giubbotti, con i nasi nascosti nelle sciarpe, reggevano tra le mani le tazze di cartone bianche in cui il bar del campo serviva per un euro la cioccolata. I loro figli correvano avanti e indietro lungo il campo davanti alla panchina del loro allenatore che sfregava le mani tra di loro per riscaldarle e parlava piano con uno dei dirigenti. Quei piccoletti non sembravano patire il freddo, gli occhi eccitati per la sfida imminente, le gambette attive e scattanti muovendosi li tenevano al caldo.

Jungkook oltrepassò correndo il cancello, il borsone più grande di lui sulle spalle, tutto affannato perché in ritardo. Sua mamma lo seguiva di corsa, i suoi tacchi che ticchettavano contro il cemento del viale di ingresso.

"Muoviti mamma! Siamo in ritardo!" la spronò, spingendo la porta per entrare nel bar da cui si accedeva a spalti e spogliatoi, senza girarsi a guardarla e senza aspettare per tenerle aperta la porta. La donna rise e aumentò il passo per stare dietro al piccolo marmocchio.

"Stai tranquillo, Jungkook, siamo ancora in tempo." cercò di rassicurarlo, sorridendo alla sua fretta di bambino.

Il piccolo Jungkook non rispose, correndo davanti al bancone del bar per infilare senza esitazione la porta che conduceva agli spogliatoi. Mark, al bar, lo guardò passare di corsa e lo salutò: "Ehi piccolo bomber!" ma la risposta di Jungkook venne risucchiata dalla porta che si chiudeva alle sue spalle.

"Wow, di fretta vedo." commentò il barista, mentre la madre del bambino si avvicinava al bancone.

"E' agitato perché abbiamo trovato traffico e siamo un po' in ritardo." giustificò suo figlio.

L'uomo sorrise, finendo di asciugare il bicchiere che aveva appena lavato. "Non hanno ancora iniziato a giocare, è ancora in tempo, avete trovato traffico a quest'ora?" le chiese.

La donna si sedette su uno degli sgabelli davanti al bancone in marmo e appoggiò la borsa a tracolla davanti a sé. "Per un incidente, due si sono tamponati e hanno bloccato interamente la strada dove dovevamo passare."

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Jungkook entrò nello spogliatoio e lo trovò già pieno dei vestiti e dei borsoni dei suoi compagni. Tutto agitato si fiondò sulla prima panca libera e si liberò del giubbotto spesso e della felpa. Faceva un freddo cane, ma i brividi gli diedero un motivo in più per fare in fretta. Indossò i pantaloni e la maglietta termici e la divisa sopra, poi si infilò le scarpe con i tacchetti alla bell'e meglio. Richiuse la cerniera del proprio borsone e si fiondò fuori di corsa, ma aperta la porta qualcosa incrociò la direzione della sua corsa: un altro bambino, ma Jungkook era talmente lanciato che non fece in tempo a fermarsi, sbattendogli contro. Il poveretto ruzzolò a terra, mentre Jungkook traballò in avanti ma riuscì a mantenere l'equilibrio.

Sotto di lui un bambino più grande e castano lo guardava, una mano a sfregarsi dietro la testa, scompigliandosi tutti i capelli, e gli occhioni scuri socchiusi per il dolore.

"Scusa!" reagì dopo un istante il più piccolo, abbassandosi su di lui. "Non ti ho visto! Ti sei fatto tanto male?"

L'altro bambino si massaggiò ancora la testa. "Devi guardare dove vai..."

"Sì lo so, scusami! E' che sono in ritardo per la partita, ti sei fatto male?" Jungkook era preoccupato, ma più per la partita che stava per iniziare che per il povero malcapitato che aveva appena investito.

I was sixteen (and i was only your best friend) - vkook / taekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora