29.

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Da bambina, chiesi alla mamma cosa significasse affranto. La mamma mi spiegò che quell'aggettivo lo si usava per descrivere una sensazione di dolore forte. Logorante.
Ricordo che, i giorni a seguire, li passavo ad analizzare una qualunque situazione che mi permettesse di usare quella parola.
Mai avrei immaginato, però, che l'avrei utilizzata per descrivere lo stato d'animo del ragazzo dinanzi a me e, ovviamente, del mio.

Avevo parlato con Jared. Anzi, ci avevo provato. Non appena avevo nominato Grace, mi aveva tempestato di domande. "Hai scoperto qualcosa?"; "Sta bene?"; "Come fai ad avere notizie?"
E allora ero andata diritta al punto. Non avevo fatto giri di parole. Ma l'espressione di Jared mi aveva paralizzata.
"Dimmi dov'è. Dimmi dov'è quel bastardo, Alison!" Aveva urlato, e, quando avevo provato a farlo calmare, mi aveva lanciato uno sguardo carico di rabbia.

"Lo stai aiutando, Alison? Dimmi che non c'entri niente, con questa storia. Ti ha convinta a fare qualcosa? Cazzo, rispondimi." E, dopo qualche minuto, era crollato.
Affranto. Ecco come stava il mio migliore amico. Aveva pianto, e poi aveva preferito di non terminare le lezioni e tornare a casa.
E, per la seconda volta in quella giornata, avevo assistito ad un pianto che, stranamente, non era il mio. Forse perché dentro me, sapevo che Grace avrebbe trovato il modo di cavarsela. O forse perché mi fidavo, almeno un po', del fatto che io avrei fatto di tutto pur di trovarla.

Le lezioni erano finite ed io sarei dovuta tornare a casa, ma non lo feci. Avevo passato le restanti ore a cercare di trovare un modo, fin quando non mi venne in mente un'idea banale che avrebbe potuto funzionare.

Grace aveva bloccato sia me, sia Jared, ma ciò non significava che non avrebbe potuto ricevere chiamate da un qualunque altro numero a lei sconosciuto. E, l'unica persona a cui avrei potuto chiedere aiuto abitava proprio al mio fianco. Era l'unico a sapere, oltre me, Jared e ovviamente Brayden. Non volevo coinvolgere nessun altro.

Prima che me ne accorgessi, ero già sul portico di casa. La porta in legno con l'insegna Laurence su di essa, i vasi con i fiori e la ghirlanda, che ormai era parte integrante di quella casa. Bussai, chiudendo gli occhi e prendendo un grosso respiro.
Quando li riaprii, la figura di Maddie era davanti ai miei occhi.

"Oh, ciao Alison! Entra, forza!" Mi invitò, e la ringraziai con un sorriso.
Strusciai i piedi sul tappeto, inebriandomi del profumo alla vaniglia che invadeva le tue narici non appena entravi in quella casa.

"Cerchi Davis? È al piano di sopra." Mi informò, e annuii.

"Sì, devo chiedergli una cosa per quanto riguarda storia." Mentii, cercando di essere il più convincente possibile.

"Beh, non so quanto ti sarà utile, considerando che il vostro insegnante mi ha chiamato proprio due giorni fa per informarmi del suo scarso studio. Oh, cavolo, i biscotti nel forno!" E, rivolgendomi un altro sorriso, scomparve in cucina. Salii le scale e, quando mi trovai dinanzi alla porta, mi affacciai piano. Era aperta a metà, ma mi permetteva di scorgere la figura di Davis appoggiata al davanzale e con una sigaretta tra le mani. Mi chiesi se ne avesse parlato con sua madre, considerando che avrebbe potuto vederlo benissimo come l'avevo visto io.

Bussai piano, e si voltò di scatto verso di me. "Hey." Mi salutò, sorpreso. "Che ci fai qui?" Lasciò cadere il mozzicone giù dal davanzale, e io mi andai a sedere sul letto.

"Ho bisogno di un favore." Dichiarai, sincera. Aggrottò le sopracciglia, forse stupito dal fatto che, nonostante le cose successe tra di noi, io mi fossi rivolta a lui. Ma in quel momento non mi importava più di tanto, volevo solo trovare la mia migliore amica e se significava chiedere aiuto al ragazzo che mi aveva ferita, allora sarei stata pronta a farlo.

AGAINDove le storie prendono vita. Scoprilo ora