How can I die?

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La più grande prigione in cui le persone vivono è la paura di ciò che pensano gli altri.
- La Verità vi Renderà Liberi, David Icke

«Credo che un interrogatorio con Quebert possa far desistere chiunque dall'essere un criminale.» Sull non smise di tamburellare con la penna sul tavolo, mentre parlava. «Non so voi, ma se Quebert m'interrogasse e io non fossi colpevole, andrei a confessarmi dopo circa cinque minuti. E se fossi colpevole, cederei dopo tre.»
«Peccato che lui non lo sia, allora.» mormorai a testa reclina, guardando il muro.«È chiaramente innocente.»
«Certo che lo è. Quando lo siamo andati a prelevare, ci ha fatto i complimenti per il comunicato stampa.»
«Un criminale ti fa domande, sul comunicato stampa.» Grace mordicchiò la penna.
Tutti la guardarono, e Ben alzò le spalle.«È mia alunna.»
«È mia amica.»
«Parla con me.» concluse Poirot dall'angolo della stanza. Nessuno lo sentì.
Kanan guardò l'orario sul laptop e ci fece un sorriso stanco. Lo hijab blu le affilava gli zigomi.«Tra mezz'ora stacchiamo. Non durerà tanto, ne sono sicura.»
Lilith, alla sua destra, bevve un altro sorso di caffè.«Peccato che i profiler abbiano orari malleabili.»
«Nel senso che noi non stacchiamo. Noi facciamo pause.» finii Sull.«La vita è una serie d'intervalli fra un omicidio e l'altro.»
«La definizione della mia esistenza.» conclusi, seppur coperto dal cigolio di Quebert che entrava.
«Ha un alibi per entrambi gli omicidi. È innocente.» sibilò, abbandonandosi sulla sedia. Coulson inarcò le sopracciglia «Siamo punto e capo, signore?»
«Punto e a capo? Non abbiamo una stracazzo di prova per uno psicopatico che—»
Delicato colpo di tosse. Un tirocinante, sulla porta, ci guardava imbarazzato. Giocava col polsino della camicia.
«Signore, mi scusi se interrompo. Suo figlio le ha portato un pacco, mi ha detto di darglielo per il suo turno.» e accennò alla scatola sotto il suo braccio.
Silenzio.
Sull fece per parlare, Grace si mosse appena, ci fu un tonfo. Sull strinse le labbra e si massaggiò il ginocchio.
«La ringrazio.» Quebert tirò su un sorriso, prese la scatola e la poggiò al tavolo senza dire niente. Ci girammo tutti verso il ragazzo nell'arco della porta.
«Buona serata anche a te.» chiarii io, lui filò via e io mi rigirai verso Quebert.«Allora, capo, da quando lei ha un figlio?»
Lui afferrò un taglierino, con cui tagliò lo scotch, e aprì i lembi della scatola. Si sentì uno strano rumore, di filo spezzato.«Mai avuto, Parker, ma sono sicuro che le telecamere di sicurezza lo conoscano bene.»
«Abbastanza stupido, consegnare una scatola di Country Ladies alla centrale di polizia.» Coulson fece per alzarsi, Quebert scosse la testa. Non si staccava dalla scatola.
«Non muoverti di un millimetro.»
«Cosa? Perché?»
Improvvisamente, lo sentii. Un ticchettio sordo, di margine, nella stanza.
«Perché c'è una bomba sul tavolo.»

«Sono stato nella SWAT per un po'.» riprese Quebert, quando capì che nessuno avrebbe risposto. In realtà, Poirot si stava esibendo in una serie di imprecazioni in francese, che era già qualcosa, anche se non capivo nulla.
«Ho avuto a che fare con gli artificieri, ne ho viste di belle. La bomba è scattata quando ho aperto il coperchio, facendo rompere un filo. Ma è molto amatoriale.»
«E allora perché non dobbiamo muoverci?» chiese lentamente Kanan, che era impallidita sotto il velo.
«Perché, anche se amatoriale, è fatta bene. Percepisce il cambiamento di peso, e molti di voi sono poggiati al tavolo.»
«E allora la sposti.» tentò Grace.
«Vorrei, ma proprio perché è amatoriale temo sia tremendamente delicata.»
«Nel senso che se viene mossa potrebbe esplodere?» domandò Ben.
«Esattamente.»
«Non ci tengo.»
«Abbiamo bisogno di qualcuno di abbastanza lucido da alzarsi senza far rumore, andare fuori e diramare l'allarme con la massima calma.» continuò pacatamente.«Malcom, ascoltami bene. Dovresti—»
«Sono onorato, capo. Sinceramente onorato.» lo interruppi.«Ma ho un piede poggiato alla gamba del tavolo, e il mio cervello non ha proprio voglia di diventare carta da parati.»
«Te la farai perdonare.»
Guardai Grace, o meglio, mi rivolsi chiaramente a lei.«Dimmi che puoi alzarti.»
Schiocco di labbra.«Ho un gomito sul tavolo.»
«Porca puttana.»
Lilith, che teneva la scatola aperta insieme a Quebert, guardò Sullivan. Lui scosse la testa.
«Kanan, ascoltami.»
Dovevo tenere la voce ferma. Non era il mio sogno, infondo. Né io né Grace eravamo una poltiglia, lì.
«Dimmi, Malcom.»
«Hai i piedi poggiati al tavolo?»
«No.»
«I gomiti?»
«Nemmeno.»
Guardai Quebert. Lui annuì.
«Bene. Adesso alza lentamente le dita dalla tastiera. Pianissimo.»
Nel silenzio della stanza, Kanan alzò le mani verso l'alto. Non accadde nulla.
Ben, alla mia destra, parve riprendere a respirare.
«Perfetto, Kan, così. Adesso allontana la sedia dal tavolo. Non farla andare contro il muro, e scivola all'indietro.»
Il mio cervello frullava. C'era stato un corso di lezioni su come parlare alle persone durante un attentato, ma era una di quelle sessioni che avevo seguito per metà e studiato da me. Dovevo ripescarla.
«Ora alzati, Kan. Da che lato puoi fare il giro più largo del tavolo?»
«Sinistra?»
«Perfetto. Vai a sinistra.»
Kanan si alzò lentamente, facendo scricchiolare la sedia. Il ticchettio parve fermarsi per un secondo e il mio cuore si fermò.
Riprese con un suono quasi affaticato.
«Kan, sei dietro di me?»
«Sì.»
«Perfetto. Apri la porta lentamente, mettendoti davanti, e non farla poggiare al muro. Non chiuderla, cammina lentamente per cinque...»
«Tre.» m'interruppe Sull.
«Meglio cinque.»
«Il manuale ha sempre detto tre.»
«Cammino per una decina di metri e poi?» c'interruppe Kanan, sibilando.
«Inizi a correre per cercare qualcuno. Al primo agente che trovi, con molta calma, spieghi cosa succede. Mentre lui chiama gli artificieri, tu fai quello che sai fare meglio.»
«Controllo la sorveglianza.»
«Esattamente. Tutto chiaro, Kanan?»
Sentii la porta aprirsi e indugiare nel vuoto. Non si chiuse.
«Andrá tutto bene.» mormorò Quebert, che non smetteva di tenere la scatola tra le dita sottili e pallide.
«Confidiamo in lei, capo.» annuì Lilith, che invece la teneva per la base.
«È normale amministrazione.» mormorai, facendo per alzare le spalle. Mi bloccai in tempo.
Quando gli artificieri entrarono, Poirot smise d'imprecare.

«Giornata particolarmente di merda.» salutò il mio doppione, alzando la tazza.
«Stavo per morire.»
«Non saresti morto. Attualmente, tu non sei morto.» bevve un sorso.«Grace è dissanguata dietro la poltrona, comunque. La moquette si sarà rovinata col sangue.»
Questa volta non rabbrividii. Alzai il mento.«Okay, me. Come faccio?»
Occhiata. Tazza che ondeggia.«A fare che?»
«Insomma, ormai è chiaro. O muore lei io muoio io.» mi poggiai all'isola della cucina.«Quindi, pseduo-psichiatra, come faccio a morire?»
Silenzio, almeno per un po'. Sorrisino convinto.«Sei sulla strada giusta. È vero», schioccò le labbra «O muori tu o muore lei. Ma non lo decido io: lo decidi tu.»
«Impossibile. Sarei già morto.»
«E qui ti volevo, piccolo e sveglio Puro!» risata.«Tu non sai, cosa devi fare, per decidere. E non lo saprai mai. Assisterai alla lenta disfatta della tua o della sua vita, senza sapere cosa stai facendo. Senza sapere quale azione salverà chi.»
Si allungò, con un sorrisino stirato sul volto, e per un secondo mi chiesi se apparivo davvero così: gli occhi freddi e spenti, gli zigomi affilati, il ciuffo nero tutto a un lato della testa.
«Perché la verità, mio debole amico, è che avere il comando di tutto è tremendamente divertente.» ridacchiò.«E adesso scusami, ma ho del sangue da pulire.»

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