«Si è dunque infelici quando si ama?»
«Sì, Christine, quando si ama e quando non si è sicuri di essere riamati.»
-Il fantasma dell'Opera, Gaston Leroux«Con la quarta vittima trovata ieri, la tua teoria cade come un castello di carte.» Grace abbandonò le foto sul bancone.«Non può essere la stilista, nemmeno il pianista, né tantomeno quel vecchietto rattrappito. Chi rimane?»
«L'imprenditrice o la signora della sala da thè. Nessuna delle due ha collegamenti con la vittima. Ventinove e cinquantadue anni, vivono...»
«Sai i loro fascicoli a memoria?»
Continuai a lavare i piatti, senza girarmi.«Non ho avuto tanto da fare, Grae. Domani torno alla centrale, comunque.»
«Sei sicuro? Sono passati solo cinque giorni.»
«Devo riabituarmi a stare in mezzo alla gente, soprattutto a stare in luoghi che sono fonte di ricordi. Mi manca il mio lavoro, e potrebbe distrarmi, anche.» il bollitore fischiò e io mi asciugai le mani.«Andrà tutto bene.»
«Ne sei sicuro?»
«Sì, Grace, per l'ennesima volta.»
«Okay. E...» tamburellò con le dita sul tavolo.«Emma? L'hai sentita? Ci hai parlato? Ti ha detto qualcosa?»
«È passata a casa.»
«Oh.»
«L' ho mandata via.»
«Oh.» più sollevato, meno pensieroso.
Sospirai.«Lei non ti piace proprio, vero?»
Quando mi voltai, aveva le sopracciglia inarcate.«Come se piacesse a te.»
«Grace non...»
«Parliamone. Perfavore. Lei non ti piace, allora perché ti ostini a provarci, a non dirle che non funziona?»
«Perché forse mi piace.»
«Ti prego.»
«Non... davvero, perché tutti credete che Emma non mi piaccia?»
Grace mi guardò. Parve soppesare cosa dire.«Non lo credo. Lo spero, e credo ci sia una differenza.» fece un cenno mesto.«Il bollitore.»
Mi voltai «Metti il latte, nel thè? Non me lo ricordo mai.»
Lo sapevo, in realtà. Ma a volte basta poco a cambiare argomento.Sulle scale del dipartimento cinque persone mi fecero le condoglianze. Mentre andavo alla sala riunioni altre tre. Passai davanti al memoriale della polizia, dove uno scalpellino era chino sul marmo. Aveva una stampa di riferimento:
Benjamin A. Garcia, colpo di pistola
Passai avanti quasi correndo.
Spalancai la porta e i miei colleghi mi fissarono. Lilith si alzò, mormorando qualcosa a metà fra il mio nome e un singhiozzo, e mi abbracciò stretto.
«Ciao.»
«Ciao, Lil.»
«Sei tornato.»
«Già.»
«Ci sei mancato.» finalmente si staccò, passandosi le mani sugli occhi.
«Grazie.»
Coulson mi fissava, dall'altro lato del tavolo.«Malcom, volevo farti le mie...»
«Condoglianze. Anche da te e Quebert, presumo.» guardai Kanan, che si zittí. Quebert si aggiustò gli occhiali.
Una mano si poggiò alla mia, fredda. Grace mi guardò.«Con molta calma, Malcom. Torneremo alla normalità.»
Sull mi poggiò un caffè nero davanti «A piccoli passi, amico. Come i ballerini di tip tap.»
Smisi di guardare Grace per scrutarlo:«Ma che cazzo dici?»
«Che vuoi? È un'ottima metafora!»
«È orrenda. Fa vomitare.»
«Tu fai vomitare.»
«È già un passo avanti.» ridacchiò una voce maschile.
Mi voltai di scatto. Il caffè tremò, tutti mi guardarono.
«Chi l'ha detto?»
«I... Io.» Lilith alzò una mano, lentamente.«Ti senti bene?»
Grace adesso teneva le labbra strette, come se avesse un problema. O forse ero io, il problema.
«Siediti, va bene?» mi afferrò la spalla e il braccio, tirandomi in basso. Mi lasciai trascinare.
Tutti aspettarono che fossi io a parlare, a dire che andava tutto bene, ma non fu così. Mi aggiustai distrattamente un polsino e guardai il mio caffè ormai freddo sul tavolo da lavoro.
Grace continuava a fissarmi, i polpastrelli sulle mie nocche, delicati.
«Malcom, ti trema la man—»
«Avrei dovuto sparargli. Avrei dovuto prevederlo e sparargli prima che...»
«Malcom.» una mano gelida sulla nuca. Grace aveva gli occhi lucidi, adesso, e le ciglia umide.
«Parker, lei ha agito nell'unica maniera possibile.» Quebert mi guardava dall'altro lato del tavolo, lontano quasi chilometri, con gli occhiali in bilico sul naso.«Se solo tutte le cose fossero in nostro potere, ragazzo. Concentriamoci a fermare ciò che può essere fermato.»
Fermare ciò che può essere fermato.
«Devo fare una telefonata.» mi alzai di scatto, le dita instabili sul tavolo, e scappai verso l'aria, verso l'esterno. Sentivo puzza di sangue e polvere da sparo ovunque. Mi fissavo i vestiti come se potessi avere macchie ancora addosso, il suo sangue ancora addosso, i residui di quel giorno ancora addosso.
Ispirai, lasciai che l'aria di Boston, gelida e carica, mi pulisse dall'interno e magari mi facesse dimenticare quel giorno, quella settimana, quella vita a metà senza di lui.
«Signorino—»
Alzai un dito, afferrai il telefono, mi poggiai al muro esterno del dipartimento. Ascoltai due volte la segreteria di Ben, la sua voce viva e divertita e sporca di sigaro, prima di chiamare Emma.
«Malcom! Malcom, Dio Santo, aspettavo una tua chiamata da secoli! Come stai? Tutto bene? Possiamo vederci oggi? Voglio solo capire che stai bene.»
Cazzo, il fatto che te ne freghi di una persona orribile come me renderà tutto più difficile, Emma. Mi massaggiai il naso.
«Dobbiamo parlare.»
Eccolo qui, il macigno dell'esistenza. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, chiaramente io mi sto comportando come se fossi il fortunato.
«Oh. Di... di che cosa?» e io la sento, la speranza nella tua voce, e mi dispiace ancora di più, perché lo sai anche tu che non andrà in quel modo, tra me e te.
«Emma, ascolta, tu sei... una bella persona, e ti impegni in quello che fai, ti preoccupi della gente...»
«Malcom, tu mi piaci.»
Che palle la gente che non fa finire le persone di parlare. Vi prego, non interrompete mai chi vi fa la premessa del Ti Devo Parlare. Mandate tutto a puttane.
Poggiai la nuca al muro, ispirai pesantemente.
«Ti prego, dillo anche tu. Perfavore.»
Ed ero veramente tentato di dirle la stessa cosa, solo per farla contenta, solo per rimediare, per non farmi odiare, perché con il disturbo post traumatico da stress che stavo covando non poteva anche iniziare ad odiarmi Emma. Speravo finisse diversamente.
Poi mi passai la mano sulla nuca, il ricordo di polpastrelli freddi sulle ossa, e strinsi appena.
«Tu no, Emma. Non mi piaci.»
Silenzio. Mi aveva passato la palla, adesso le dovevo delle spiegazioni.
«Io ci ho provato. Davvero. Volevo farla funzionare, avevo bisogno che funzionasse. Sembravi veramente... veramente qualcosa di bello.»
«Lo sembravo?» ripetè, tirando su col naso. Oddio, sta piangendo.
Sono ufficialmente uno stronzo e per la prima volta non lo vedo come un complimento.«E poi che è successo?»
«Poi ti guardavo. E non riuscivo a vederti sul serio. È complicato da spiegare, ma ogni volta che ti guardavo non vedevo niente se non vuoto. L'amore non è... grandi gesti, capisci? È le piccole cose. E io ho provato a crearle, con te, ma non ha funzionato. O almeno, funzionava finché non ti guardavo in faccia, finché non vedevo il mio sentimento per te per quello che era. Nulla.»
Silenzio. Mi aveva attaccato in faccia da chissà quanto. Fissai il numero, esitai, scorsi verso il basso.
«Ha fatto la cosa giusta.» Poirot mi dedicò un sorriso triste.«So che è stato difficile.»
«Dovevo solo... fermare ciò che poteva essere fermato.» ripetei, prima di cancellare il contatto.
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Cronache Gialle: Casa di Bambola
Mystery / ThrillerEhi, ti piace la trama di questo libro? Corri a leggere il primo sul mio profilo! 1/3, dieci piccoli indiani ••••• «È Maria Antonietta con un vestito orribile.» «Non hai mai avuto senso estetico, è questo il tuo problema.» «Magari ne avesse solo uno...