Dopodichè salutò la Morte come una vecchia amica e andò lieto con lei, da pari a pari, congedandosi da questa vita.
-I Doni della Morte, J.K. Rowling«Com'è sparare a una persona?» chiese Kate, sporgente sull'isola della cucina. Era una bella scena: lei e Grace sul lato esterno, io e Sull seduti sul lato interno, verso la cucina. Ben leggeva in salotto, spalle alle ragazze, e mia madre cucinava, spalle a noi. Fu lei a rispondere.
«Malcom Leonardo Parker, non azzardarti a dire una parola.»
«Hai un nome italiano?» trillò Kate, bocca leggermente a O, espressione sognante.
«Non una parola sull'argomento.»
«Comunque, se qualcuno qui vuole sentire come si spara a una persona, io l'ho fatto.» si schiarì la voce Sull, gomiti sul tavolo.
Nei minuti successivi Kate rimase ad ascoltare, fra i mugolii di mia madre a certe descrizioni particolarmente dettagliate, e Grace rimase a guardare l'isola. Sobbalzò quando Sull imitò uno sparo.
Feci scivolare la mano sul suo ginocchio, mentre Kate non guardava.«Nessuno vi farà del male.»
Aveva lo sguardo di chi non mi credeva.«Certo.»
Sull la guardò, sopracciglia inarcate, ma non disse nulla. Solo il telefono ci salvò da quel silenzio. Mi alzai e risposi senza guardare:«Pronto?»
«Ehi, Malcom, ti... insomma, ti disturbo?» chiese Emma, titubante.
Ispirai.«No, figurati. Sono in famiglia.» e non era una bugia.
Grace rizzò la schiena, sporgendosi leggermente in avanti, come a sentire cosa stessimo dicendo. Poirot abbassò il sigaro e in un secondo tutti mi fissavano.
«Oh. Volevo, insomma, chiederti se domani ti andava di pranzare insieme.»
«Attualmente ho orari molto mobili.»
«Ah.»
«Ma domani se vuoi ho la pausa pranzo. Alla centrale.»
Esitai. Poirot mi fissò:«Non risponda male.»
«Al... dipartimento di polizia, intendi?»
«Sì. Non pensavo fosse un problema.»
Inarcamento di sopracciglia generale. Grace sbuffò.
«No, no! Dovrò farci l'abitudine, prima o poi.» Emma fece una breve risata.
«Non capisco perché dovresti, ma va bene.»
«Signorino.» una sola parola, quattro sillabe, e rifletteva perfettamente quanto volesse prendermi a schiaffi.
«Okay.» altra risata, chiaramente finta.«Allora a domani.»
«Certo.» attaccai. Tutti continuavano a fissarmi.
«"Dovrò comunque farci l'abitudine."» Grace si alzò per aiutare mia madre con i piatti «Hai del prosciutto sugli occhi?»
«Dovresti essere dalla mia parte.» contestai. Persino Kate riuscì a far trasparire la confusione.
«Non dovrebbe proprio, idiota.» chiarì invece Sull.
«Com'è che tu ci arrivi e non io?»
«Vaffanculo.» apostrofò, mentre s'incupiva leggendo al telefono.«Il fidanzato di Amy è introvabile.»
«Perché lo cercate?» domandò Kate, ora perfettamente concentrata. Succede così, con i ragazzini: attenzione in blocchi di tre minuti.«E quella era la tua ragazza?»
«Non ha fatto niente di che, scimmietta.» sorrise Grace.
«E quella non era la mia ragazza.»
Brontolio basso, di mia madre.«Voglio ben sperare.»
«Grazie, mamma.»
«Non la conosco. Non me ne parli. Non può essere la tua ragazza se non me la presenti!»
Fischio basso di Ben.«Ahi ahi.»
«Tu lo sapevi?»
«Certo, Azzurra. Sono il suo tutore.»
«Ma io sono sua madre!» trillò in italiano.
«Ma Ben non è di parte.» chiarii.
«Mai detta una cosa del genere» ridacchiò lui, che il poco italiano che sapeva lo esercitava bene.Il corpo umano ha dei meccanismi di autodifesa automatici, che non dipendono da te, che non sono innescati da te, al solo fine di preservare la tua salute fisica e mentale.
Partiamo da questo presupposto.
Quando si ha un trauma, in genere non si ricorda nulla. Le scene che hai visto e le emozioni che hai provato sono troppo forti per te, tanto da minare alla tua sanità psichica. Il tuo cervello si rifiuta di registrare una cosa del genere come ricordo, reputandolo -senza il tuo parere- troppo corrosivo per la tua testa.
Per esempio: i vuoti di memoria durante un rapimento? È il tuo cervello che ti dice:"Ascolta, bello, questa cosa è meglio se non la vedi. Fidati. È molto meglio che tu non ricorda."
Ecco che succede durante un trauma: cancellazione automatica al fine di preservare il tuo equilibrio.
Bene.
Dopo le sette del mattino del giorno dopo quella domenica, il giorno dopo quel pranzo dove tutto sembrava andare bene, ricordo a spezzoni. A fotogrammi.
Quebert che mi chiama mentre faccio colazione, chiacchierando con Poirot. Questo me lo ricordo. Ragionarci a mente fredda lo rende più vero, ma quello che non ricordi col cazzo che torna indietro.
Quebert che mi dice che hanno trovato il fidanzato di Amy, Luke, all'università.
La mia.
Era con Ben.
Si era chiuso in un'aula con lui e una pistola carica, a chiave, voleva parlare con me.
Vuoto di memoria. Sono vestito, non ricordo come. Grace sta guidando verso l'università, ma non ricordo come se e quando l'ho chiamata. Cosa ho detto.
«Andrà tutto bene.» mi stringe la mano.
«L'unica volta in cui va male è perché stai morendo.» ricordo di aver detto, prima di aggrapparmi alle sue dita come se potesse, o potessi, scivolare via. Nel silenzio della macchina (chi aveva spento la radio? Io? Lei?) lei mi parve il centro di qualcosa, qualcosa d'importante, forse gli avevo anche dato un nome, ma non me lo ricordo.
Frena nel parcheggio dell'università, mi lascia scendere, altro vuoto di memoria.
Da quanto mi hanno detto ho chiesto a Coulson che aula fosse, calmissimo, come se niente fosse. Ho oltrepassato i poliziotti schierati alle porte dell'università e sono entrato. I corridoi erano vuoti, la struttura era stata evacuata, ma nonostante il modo nitido con cui potrei ricordare il mio percorso, non ho idea di che aula io abbia raggiunto.
È lì che ricordo di nuovo. Sono alla base delle scale, davanti a Luke, che tiene una pistola sulla nuca di Ben e lo stringe per il collo, e lui mi guarda e sembra sereno ma ha gli occhi lucidi.
Due finestre dell'aula sono state rotte dai fumogeni. Sento il megafono della polizia da fuori, ma non lo ascolto, ossia so che sta parlando ma non ho idea di cosa stia dicendo.
«State zitti! O lo ammazzo, chiaro?!» ruggisce lui, e il ronzio smette. Ha un ciuffo biondo scomposto, le occhiaie viola ed è molto magro. Questo non lo scorderò mai.
La felpa blu gli scivola sulle ossa, troppo grande, mentre lui sta a gambe divaricate per tenere Ben fermo contro la sua pistola.
«Lascialo andare.» Sono io che parlo, ma la mia voce la sento a chilometri di distanza, e poi è troppo calma per essere la mia ed è troppo forte e io non avrei il coraggio di parlare così mentre qualcuno minaccia Ben, insomma chi minaccerebbe mai Ben, eppure sono io.
«Tu te la ricordi Amy? Te la ricordi? Lo sai che lei era una persona, e non uno dei tuoi ennesimi cadaveri sul tavolo dell'obitorio?» non sposta la pistola verso di me, fissa la mia che ho in mano, ma non sapevo di averla.
«Certo che lo so. Mi disp...»
«Non dirlo! Non dirlo, perché uno stracazzo di mi dispiace non mi riporta indietro la mia ragazza!» la pelle di Ben si tira. Sta pigiando troppo forte.
«Va bene. Va bene, non lo dico, promesso. Non lo dico. Ma ti prego, lascialo andare.»
Non so se c'era Poirot. Non me lo ricordo. Se c'era, è stato uno dei momenti in cui mi ha visto più umano che mai.
«Lascialo andare?! Lascialo andare?! Nessuno era lì a pregare che facessero lo stesso con la mia ragazza, nessuno. Amy è morta da sola, senza che qualcuno potesse prendere il suo posto. Io l'avrei fatto.» tira su col naso. Stava piangendo? Non me lo ricordo. Si indica o almeno ci prova, alzando il gomito.«Io l'avrei fatto, ma non ho potuto. E non potrai nemmeno tu.»
«Allora facciamo così.» lasciai la pistola a terra, contro la moquette.«Prendi me. Al posto suo, dico. Lascialo andare, lentamente, fallo uscire. E poi sparami.»
«No, no!»Ben muove le spalle, lui gli punta la pistola al collo. Probabilmente io gli impongo il silenzio, perché mi guarda e gli scivola via una lacrima.
Il ragionamento fila. Ben non morirebbe, Grace nemmeno. Andrebbe tutto bene.
Però.
«Potrei. Potrei, davvero.» tira su col naso, o forse è Ben, o forse sono io.«Non hai idea di quanto io voglia farti del male.»
«Fallo. Sono qui, fallo. Lascia andare lui e ti giuro che non farò nulla per fermarti.»
«E proprio per questo...» strinse i denti «Ucciderti non mi basta. Finirebbe tutto lì. Io ho bisogno che tu viva come ho vissuto io. Il mio dolore. Il mio silenzio. Il mio vuoto.»
Ci misi un secondo di troppo, a realizzare. Forse ancora non l'ho fatto.
«Devo toglierti quello che tu hai tolto a me.» scosse la testa.«Io voglio il tuo dolore, voglio il tuo tormento. Il tuo sangue non mi basta più.»
In questo, il mio cervello è stato proprio bravo.
Non ricordo il momento dello sparo. Il suono, la scena, il secondo sparo attutito dalla bocca di Luke, il suo viso prima, il suo viso dopo, se ha detto qualcosa.
Ricordo la polvere da sparo. L'odore, forte, impregnato.
Il sangue ovunque. Sul pavimento, sui gradini, sul legno. Anche su di me, quando mi sono gettato in avanti e l'ho preso al volo, e ho sentito il cuore pulsare fortissimo per un secondo e poi basta.
Il peso. Il peso dei suoi muscoli sui miei, il mio ginocchio puntato a terra e le sue caviglie che sono rimaste incrociate. Il sangue tra i solchi delle mani, sul maglione, su una guancia, sul suo viso. Il peso di una bilancia piena a metà.
Io, che ci sono anche troppo, e lui, che non c'è più.
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Cronache Gialle: Casa di Bambola
Mystery / ThrillerEhi, ti piace la trama di questo libro? Corri a leggere il primo sul mio profilo! 1/3, dieci piccoli indiani ••••• «È Maria Antonietta con un vestito orribile.» «Non hai mai avuto senso estetico, è questo il tuo problema.» «Magari ne avesse solo uno...