IO E IL PALLONE

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CAPITOLO 2

Tre Foto che ho a casa testimoniano che io ho avuto il mio primo contatto con un pallone a 4 anni. Sono tre foto sistemate insieme in una cornice messa sulla mensola della cucina. Un luogo insolito dove sistemare una cornice con quel tipo di foto ma non si poteva fare diversamente.

Sono tre foto molto particolari. Raccontano di uno dei tanti fine settimana passati a Torino dai miei nonni materni. Eravamo in centro a Torino, in una piazza adiacente al museo Egizio. Stavo facendo una passeggiata coi nonni e all'improvviso vedemmo un negozio di articoli sportivi. Vidi un pallone e feci una corsa per abbracciarlo e provare a calciarlo. Mi incollai così tanto a quell'oggetto che i miei nonni hanno dovuto comprarlo per farmi stare tranquilla. Piangevo come una forsennata nelle uniche due volte in cui mi hanno letteralmente provato a staccarmi dal pallone. Era un pallone di cuoio bianconero, un po' pesante a dire il vero per una bimba di quell'età, ma mi faceva stare bene.

Eccolo il mio primo contatto con un pallone. Niente di particolare, niente di trascendentale, niente di mai visto. Una storia comune come le altre.

All'epoca i miei genitori avevano appena divorziato. Era solito per me fin da piccola essere sbalzata un po' qua e un po' di là tra Napoli e Torino.

Mio padre si chiama Ciro Terminiello. Un impiegato di 40 anni napoletano. Lavora in un negozio di ferramenta. Lavora undici ore al giorno per uno stipendio non troppo altro. Mi piace stare con papà. Quella volta che riesce ad avere un po' di tempo per me andiamo in giro per Napoli. Mi piace l'aria di Napoli. C'è un ambiente molto folkloristico. Bandiere e arazzi del Napoli praticamente ovunque. Andiamo spesso a mangiare una cosa insieme. E' un tipo molto divertente mio padre. Anche se a volte ho l'impressione  che non prenda sul serio quello che faccio di mestiere. Penso che ci sia ancora un po' perplessità nella mia scelta da calciatrice. In lui e nei nonni. Specialmente la nonna, la quale mi intima di pensare più spesso allo studio. Ma io allo studio ci penso. E' solo che voglio fare la calciatrice da grande. E' un pensiero stampato in mente, un chiodo fisso che quasi mi perseguita. Fin da quando ho preso in mano quel pallone a 4 anni.

Mia madre, invece, è di Torino, ovviamente. La dottoressa Silvana Barbato. E' una dottoressa di 42 anni che non ha mai lasciato l'ambiente torinese. E' una tipa completamente diversa da papà. Fisicamente no, perché sono più o meno alti uguali, capelli corti biondi lui, capelli lunghi biondi lei, anche se dopo il divorzio mamma si è tinta i capelli diventando più rossiccia. Di carattere, come ho detto, sono completamente diversi: timido lui, molto più decisa lei. E' lei che ha scelto il mio nome. Mia nonna materna è francese, quindi lo ha scelto per lei. I miei nonni materni sono come i miei genitori caratterialmente parlando. Mia nonna è un soldato, mentre mio nonno è più aperto. A differenza dei miei nonni paterni, i miei nonni materni hanno accettato la mia professione, anche se, temo, sia solo perché questa professione mi dà della visibilità in televisione che penso li faccia andare fieri. Forse mio nonno, a volte, ha atteggiamenti di apertura verso il mio sogno, ma sono momenti più unici che rari.

Mia mamma tante volte ha provato a convincermi ad appassionarmi al suo mestiere. A volte ho paura di mollare e fare altro. Voglio con tutte le mie forze diventare una calciatrice.

In campo io mi sento bene, mi sento veramente a mio agio. Fin da piccola avevo difficoltà a scuola. Non nello studio, sia chiaro. Andavo e vado tuttora bene a scuola.

La mia difficoltà è sempre stata l'inserimento in un gruppo sociale. Non sono tra le chic della mia classe. Non lo sono mai stata. Io faccio parte sempre delle strane. Perché al giorno d'oggi una ragazzina che ama giocare a pallone è considerata strana. Ad un certo punto, da piccola, finii per pensare davvero fosse normale essere strane per questo motivo. D'altronde i miei nonni sono contrari, mia mamma voleva e vuole tutt'ora che io diventi dottoressa come lei e mio padre scade spesso in battutine come se fosse tutto uno scherzo.

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