Capitolo 19.

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Daisy guardava la sua vecchia vita scivolarle via dalle mani come sabbia. Il paesaggio al di fuori del finestrino era una saetta indistinta. Stava andando probabilmente incontro al peggio, affianco a colui che sosteneva di essere il suo vero padre.

Le lacrime cominciarono bagnarle le guance mentre ripensava a sua madre, o a colei che aveva finto di esserlo, a Luke. A Calum.

Era come se lei stessa avesse costruito quel muro solo per vederlo crollare una volta arrivati alla conclusione. Aveva voluto sapere la verità, ma a volte essa fa male.

È strano, perchè ci sono quei momenti in cui la vuoi sapere per evitare di ascoltare un barlume di menzogne, ma una volta che essa comincia e infiltrarsi nelle tue orecchie vorresti solo tapparle e mettere fine a quell'inferno. Era una storia complicata, la sua, come potevano gli altri capirla? Non c'era risposta a quella domanda, o forse si, perchè si limitavano a non farlo e basta.

Succede sempre così: pensi di conoscere bene le persone che ti stanno accanto o almeno quelle che ti hanno cresciuta, e in un attimo la medaglia viene capovolta, mostrando i suoi lati negativi e sconvolgendo, in questo caso, la vita di Daisy. Ti rendi immediatamente conto che niente era come ti aspettavi, e che se credevi di essere arrivata al limite del dolore, bè, venivi a conoscenza che esso non ha semplicemente una fine.

Era una serie infinita di numeri, il dolore.

Era altrettanto infinito come le stelle, il dolore.

Il dolore aveva un inizio, ma non una fine. Si, perchè poi, a volte esso raddoppia.

Quando muori smetti di provare dolore, ma lo passi agli altri, a coloro che ti volevano bene, che comunque soffrivano già per fatti loro.

È davvero sconvolgente la vita.

Daisy osservò Steve, e, con tristezza e rassegnazione, notò per la prima volta che un pò gli somigliava. Avevano gli stessi occhi, è questo bastava per metterle i brividi.
Occhi d'assassino, pensò.

Come può un uomo violentare un'innocente ragazza? È da pazzi. E lo era ancora di più stargli accanto, con la consapevolezza che l'avrebbe potuta uccidere da un momento all'altro.

Poco dopo l'auto si fermò davanti a una fattoria immensa, e Daisy non aveva nemmeno fatto caso che erano usciti dalla città. C'era una staccionata ai confini di un grande prato verde dalla quale spuntavano alcuni fiori rinsecchiti. Al centro della fattoria c'era una casa, abbastanza alta e a occhio nudo spaziosa. Al piano terra, scoperto, si potevano intravedere dei cavalli.

-Cosa significa?- chiese Daisy.

-Cosa?-

-Tutto questo..non capisco.-

-Non c'è nulla da capire.- rispose Steve.

Daisy sbuffò prima di -Tu sei pazzo.- dire. Davvero non poteva crederci. Quel luogo aveva un'aria così pacifica, era come se non preservasse ombra di male. E,ovviamente, suo padre era tutto fuorchè un uomo che aveva ideali basati sulla pace.

-La pazzia è genialità.- affermò sorridendo svogliatamente. Era probabilmente uno dei primi sorrisi veri che Daisy gli vedeva fare.

Attraversando il prato, arrivarono dinanzi alla casa, dalla parte dei cavalli. La ragazza si avvicinò a uno di essi, nero, e lo accarezzò. Aveva sempre amato gli animali, e forse quello era l'unico fatto positivo del vivere lì, con Steve.

-Coraggio, seguimi.- disse Steve.
-Dove hai intenzione di portarmi?-
Non aveva la minima idea di quello che sarebbe successo da quel momento, perché quegli avvenimenti avevano cambiato radicalmente la sua esistenza.
Era nata da una giovane ragazza in procinto di crescere e vivere la sua vita, ma quell'uomo l'aveva distrutta.
Cominciò a chiedersi quali caratteristiche del suo aspetto avesse ereditato da lei. Forse il colore dei capelli? O della carnagione? Non lo sapeva.
Seguí Steve fin dentro casa. La condusse lungo un corridoio che sembrava non avere una fine. Quando finalmente fece ingresso in una stanza, si meraviglió dell'ordine di essa. Vivevano altre persone oltre lei dentro quell'inferno?
Di colpo si sentí mancare l'aria. Suo padre -odiava chiamarlo così- le aveva messo il braccio intorno al collo e Daisy sussultó quando percepí il contatto freddo di un oggetto metallico contro la pelle pallida della sua fronte.
-Che hai intenzione di fare? Uccidere tua figlia subito dopo averla ritrovata? Coraggio, non sto aspettando altro.-
La ragazza, ovviamente, era cambiata molto da quando era arrivata ad Amsterdam.
Qualcuno le aveva insegnato a non avere paura, a non provare più alcun timore per nulla. E quella persona, decisamente, aveva lasciato qualcosa di troppo grande in lei per essere cancellato. La sua immagine era più nitida che mai nella sua testa: i capelli scuri, gli occhi del medesimo colore, lo sguardo ipnotizzante, la postura poco corretta e il suo corpo che, si meraviglió di se stessa, aveva bramato infinite volte.
Quindi lo ammise: lo amava, ma essendo troppo per lei, non potendolo gestire, lo aveva perso.
-Non essere ingenua, ma inizia a temere l'ira del diavolo. Adesso, pretendo di riavere quel maledetto diario.- sibiló a denti stretti.
-Altrimenti?-
Non aveva paura di sfidarlo.
-Ah.. vuoi giocare a fare la dura? Bene.-
Senza esitazione la spinse contro il letto posto al centro della stanza e, di peso, le si mise sopra a cavalcioni. Con un mano le bloccó i polsi mentre con l'altra iniziava a oltrepassare il tessuto della sua maglietta.
Daisy sentí le sue mani gelide percorrerle i fianchi per poi arrivare velocemente al suo seno. Cercó di divincolarsi dalla sua presa, ma in cuor suo sapeva che sarebbe stato inutile.
Steve cominció a "massaggiarle", per poi chinarsi e morderle il collo.
Le fece male. Voleva ucciderlo, la sua ira era talmente immensa che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
Quando l'uomo cercó di catturare la sua bocca in un bacio, Daisy andó su tutte le furie, e gli sputó. Non ne poteva più.
"Allontanati da me, mostro!" Urló in preda alla rabbia.
"Lo hai voluto tu, piccola"
"Non chiamarmi così" scandí nel miglior modo possibile ogni parola, per poi dire "Davvero vuoi farlo? Davvero vuoi ripetere lo stesso errore? Lo hai fatto una volta con mia...mia madre, e adesso vuoi farlo anche con me?"
Come se quelle parole lo avessero colpito in pieno, Steve scese dal letto, lasciando sua figlia lí, immobile e in preda al terrore. Ma, di certo, non gliel'avrebbe data vinta.
Aprí il comodino accanto al letto e ne estrasse una corda con cui le legó i polsi alla testata, per poi tapparle la bocca con un pezzo di scotch. A malapena riusciva a respirare.
"Vuoi un consiglio?" Steve le afferró il mento, facendola mugugnare. Aveva gli occhi puntati su quelli della ragazza. "Non provare a muoverti o a scappare da qui, perché ti ho trovato una volta e ti ritroverei anche una seconda e una terza. Sono stato chiaro?"
Daisy aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere se solo ci avesse provato. Questo, peró, non le avrebbe impedito di provarci, così si limitò a mentire.
Annuí.




Nota dell'autrice

Forse è anche più che corto, ma dovevo aggiornare assolutamente.
Quindi eccomi qui.
Sono mancata taaanto e voi siete aumentati sempre di più quindi vi ringrazio di cuore.
Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima!

Alessia

Faraway. || Calum Hood.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora