Capitolo 15.

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Quando le labbra di Luke entrarono a contatto con quelle di Daisy, lei si allontanò bruscamente. Il suo sguardo cercava qualcosa, qualsiasi cosa, purchè non fossero gli occhi di ghiaccio del ragazzo che la stava fissando tanto allibito quanto deluso. La giornata non poteva peggiorare, lo sapeva per certo, perchè faceva già abbastanza schifo così.

Era stato tutto un errore: suo padre, il trasferimento, Amsterdam, Calum, Luke, la sindrome,  la sua vita. Tutto. Da quando era nata non le era mai successo qualcosa di buono, come se fosse destinata alla distruzione. Non ne poteva più. Era come un vetro spesso e resistente, ma quando tiri troppi pugni su di esso, finisce comunque per distruggersi in mille pezzi impossibili da ricomporre.

-Perchè?- fece Luke, con un tono a dir poco disperato. Leggeva il dolore attraverso quell'azzurro ormai lucido e liquido. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Perchè finiva sempre, in un modo o nell'altro, nel ferire le persone? Davvero non capiva cosa c'era di sbagliato in lei.

-Perchè cosa?- chiese confusa, lo sguardo perso nel vuoto.

-Perchè lui? Perchè nonostante ti faccia sempre soffrire, scegli lui, e non me?- la sua voce si era ridotta in un singhiozzo. Non riusciva a vederlo in quelle condizioni, le si spezzava il cuore, se lo aveva ancora.

-Non ho bisogno di protezione Luke, ho bisogno di quella persona che riesca a colmare il vuoto che ho dentro da, praticamente, sempre. E non ti immagini quanto ne sono dispiaciuta, ma quella persona non sei tu. Provo qualcosa per te, ma non è amore. È semplice amicizia. E evidentemente ho scelto di soffrire, ma in ogni caso la strada che mi porta a Calum sarà sempre la mia felicità.- adesso anche Daisy aveva qualche lacrima a rigarle il viso. Ogni ferita che causava alle persone era come se la ricevesse lei, e faceva così male.

Quel dolore che arriva di soppiatto, alle spalle, e ti sorpende disarmata; quello che ti distrugge senza pietà; quello che, nonostante tutto, devi sopportare, perchè sai che non provarlo non risolverebbe comunque nulla.

Luke, senza ribattere, si alzò dal marciapiede, salì in auto e se ne andò, lasciandola sola a combattere contro i sensi di colpa.

Era tutto così difficile. Come se fosse tutto concentrato su di lei, e non riusciva davvero a sopportare questo peso. Aveva addirittura nostalgia di quei giorni in cui aveva paura del mondo, e aveva ragione, perchè si era fidata della vita e quest'ultima l'aveva ferita, lasciandola da sola ad affrontare un qualcosa che neanche esiste.

Con il cielo serale ad incombere su di lei, si alzò dal marciapiede e cominciò a correre via, come qualcosa di potente che non puoi più fermare perchè ormai è stato generato.

                                                             * * *

Il cellulare vibrò ripetute volte contro il comodino di legno. Si rigirò nelle coperte parecchie volte, desiderando di annegare dentro di esse.

Diede uno sguardo fulmineo al cielo che per la prima volta non era ricoperto di nubi.

Si girò e prendendo il telefono fece scorrere il dito sullo schermo.

-Daisy?- Una voce pimpante dall'altro capo del telefono parlò, e in un primo momento non la riconobbe. -Sono Bree, volevo sapere come stai. Sai, oggi sei scappata e non avevi l'aria di una che sta bene.-

-Infatti non sto bene.- sbuffò.

- Vuoi parlarne?- le chiese l'amica.

-Ne parliamo domani mattina, grazie per aver chiamato.- Attaccò.

Daisy si alzò da quel cipiglio di lenzuola e riportò lo sguardo al cielo illuminato da un manto di stelle.

Non c'era bisogno di fingere una vita dove le cose vanno bene o male, stava tutta scritta lassù la realtà. In fondo, le persone erano come le stelle. Noi non vediamo altro che il loro riflesso, ci sembrano tutte così allineate, unite. Ma in realtà la distanza che le separa è a dir poco immensa.

Ci sono quelle più grandi che sono le meno luminose, e le più piccole che, diversamente, sprigionano una luce abbagliante. Ed è così anche per le persone. Quelle che si danno tante arie ma alla fine non hanno personalità, e quelle più minute, che hanno sempre tanto da farti scoprire.

Daisy non si classificava in nessuna delle due categorie. Era una stella senza speranza, una di quelle che se brillano, brillano per poco e poi si spengono del tutto.

L'aria gelida le sfiorò le braccia scoperte provocandole la pelle d'oca. Uno di quegli sfioramenti simili al tocco di Calum.

E allora sorse la fatidica domanda: perchè? Non trovava una risposta, viveva solo di quella domanda. Perchè darle tutta quella importanza per poi lasciarla senza il minimo ritegno? Era come se fosse sul ciglio di un precipizio, la sua mano pronta a salvarla ma una volta che Daisy ci si aggrappa viene spinta nel vuoto più assoluto.

La cosa triste era che lei non aveva smesso di amarlo.

Pensò a una cosa mentre tornava a letto e si ricopriva con le coperte fin sopra la testa:

la vita è un gioco, e se non ti insegnano le regole da piccolo, tieni conto di aver già perso.

                                                              ***

I raggi del sole aprirono un arco di luce nella stanza mentre Daisy si sporgeva sul comodino per spegnere la sveglia. Si mise a sedere stiracchiandosi e sbadigliando. Era stata una notte di ricordi e di lacrime.

E se il buongiorno si vede dal mattino, quella era una giornata distrutta già dal principio.

Lo capì quando, senza neanche bussare, Luke entrò in camera sua, con addosso solo un paio di pantaloncini da basket. Anche lui non aveva l'aria di chi ha passato una bella nottata.

-Si può?- domandò il biondo.

-Ormai sei entrato.- rispose Daisy ancora amareggiata per il gesto del giorno prima.

-Volevo solo scusarmi per ieri.. Ho capito che non posso costringere una persona ad amarmi..Mi dispiace okay? Non avrei dovuto. Ti prego di perdonarmi.-

Daisy si fiondò fra le sue braccia prima di alzare gli occhi al cielo.

-Non hai niente di cui dovrei perdonarti. L'artefice di tutto sono io.- mormorò.

-Oh, adesso non addossarti tutta la colpa. Allora..amici?- chiese Luke.

-Fratelli.- lo corresse la ragazza.

Si distaccò dall'abbraccio cominciando a tirare su col naso quando sentì uno strano odore.

-Mamma ha per caso bruciato i pancake?- chiese la mora.

-Tua madre è già uscita e prima che tu me lo domanda, mio padre è anche a lavoro.-

Daisy si accigliò quando vide del fumo provenire dal bagno di camera sua. Corse verso di esso e aprendo la porta si ritrovò davanti fiamme altissime e la finestra spalancata.

NOTA DELL'AUTRICE

Dunque, amatemi perchè in meno di 10 minuti ho scritto il capitolo che wattpad mi ha cancellato. È corto lo so, ma non ricordavo tutte le parole e sia lodato il promemoria del tablet.

Spero vi piaccia il capitolo e ah, scusate per la mini lezione di scienze AHAHAHAH

Sono strafelice perchè abbiamo raggiunto i 6.1k e aaw

Mi raccomando continuate a votare e a commentare :)

vi amo

salvamiluke

Faraway. || Calum Hood.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora