Capitolo 13

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XIII


All'esterno il cielo era ancora al pieno della luminosità, perciò decisero di aspettare che smorzasse ulteriormente la sua forza prima di rimettersi in viaggio. Alternarsi uno dopo l'altro con i turni aveva consentito a tutti di riposare. Cosicché, quando giunse il momento di partire, erano nuovamente pronti a mettersi in marcia.
Trovavano tutti un che di liberatorio nel non essere più relegati all'interno di quattro mura soffocanti. Avevano trascorso fin troppi cicli a nascondersi dagli infetti in anfratti lugubri, per non apprezzare un po' di sana aria fresca. D'altro canto, quello spazio aperto così sconfinato, gli creava adesso un misto di soggezione e senso di smarrimento.

Come sempre però, al momento di muoversi relegarono tutti i dubbi e le paure negli zaini, armandosi di coraggio per ricominciare il viaggio. Avevano già dato un'occhiata tutt'intorno per farsi un'idea di dove potessero trovarsi, e, stando alle stime della loro guida, erano usciti direttamente nella catena delle Meelrdres che si estendeva a nord della città. Spiegò che da lì avrebbero dovuto procedere verso ovest per almeno tre cicli per riportarsi sulla via principale. Punto da cui avrebbero continuato diretti verso il valico del Colle Morto, ove l'esercito aveva stabilito un campo fortificato. Nessuno fece obbiezioni, l'idea era piuttosto chiara. Prima avessero raggiunto i vigilanti e l'esercito, prima si sarebbero finalmente tolti da quel pasticcio.

L'esterno li accolse con lo spettacolo dei suoi due soli, Trenjel (il sole maggiore) e Korla (il minore), ancora in cielo. Il secondo si stava già affacciando oltre la linea dell'orizzonte, ed in breve li avrebbe abbandonati. Definito minore per via della sua durata nel cielo più limitata (che equivaleva alla metà dell'altro), Korla risultava anche più piccolo e meno brillante del fratello. Da bambino Hamon si era chiesto molte volte il motivo di questa differenza, ma le uniche risposte che aveva ottenuto erano state piuttosto inconsistenti. Nessuno sembrava perdere tempo ad interrogarsi su una cosa ovvia e naturale come il ciclo dei soli (a parte forse gli studiosi o i saggi ). Così, con il tempo, anche lui aveva smesso di preoccuparsene.

Tuttavia, se un terrestre munito di orologio fosse per caso capitato nei paraggi, avrebbe constatato con suo sommo disappunto che questo ciclo notte/ giorno aveva molte altre differenze che non solo il colorito del cielo o il numero dei suoi astri. Difatti, con una durata complessiva di circa 36 ore, un intero ciclo risultava ben più lungo dei comuni giorni terrestri.

L'impatto con le temperature esterne si rivelò da subito un vero macigno nello stomaco. L'afa ed i soli a picco avevano reso l'aria rovente, perciò anche il solo respirare diventava un problema. Ogni volta che inspiravano, potevano sentire un flusso incandescente introdursi per le narici, facendosi strada verso i polmoni ed incendiandoli dall'interno. Era sconvolgente pensare che ad un orario così tardo si potesse ancora percepire ancora un simile calore. Avanzavano perciò con le teste avvolte in cappucci improvvisati, ricavati dagli stracci di ricambio recuperati prima di partire. Né fossero stati sprovvisti, quelle temperature infernali li avrebbero di certo sfiancati in un lampo, rischiando tra l'altro di scottarli pesantemente. Erano inoltre costretti a camminare esclusivamente in mezzo ai sassi. L'insieme del panorama non comprendeva altro. Niente piante, niente alberi. Anche soltanto la possibilità di intravedere un risicato cespuglio rinsecchito, appariva come niente più che un miraggio.

Dal punto in cui si trovavano avevano la scelta tra uno strapiombo di oltre cinquanta metri a picco verso il basso, ed uno stretto sentierino che vi zigzagava sopra tra un appoggio precario ed uno impossibile. L'unica precauzione a cui potevano affidarsi, era quella di legarsi una corda alla vita per mantenersi costantemente in contatto. Espediente che, tra l'altro, gli consentiva di aiutarsi vicendevolmente nell'ardua salita.

Fu una faticaccia lunga ed estenuante. Le mani dolevano per il contatto continuo con la roccia, che scorticava la pelle lasciando profonde striature. Dovevano inoltre lottare contro le loro ingombranti calzature, (per nulla adatte a quell'ambiente così irregolare) che rischiavano di farli scivolare o inciampare di continuo. Tuttavia, ben saldi nel proposito di guadagnare la cima entro sera, non si diedero per vinti, arrancando un passo dopo l'altro. Raggiungere però quel traguardo non diede loro il sapore sperato. Oltre si estendeva infatti l'intera catena montuosa delle Meerldres (dai picchi più alti, alle più modeste colline), una vasta superficie pietrosa talmente estesa da risultare scoraggiante.

Nome in codice "Lune di Sangue"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora