Capitolo 10

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Il rumore dei respiri, il petto che si alzava e si abbassava erano tutto ciò che si poteva udire all'interno di quelle prigioni di vetro. Il dolore alla mascella e al naso di Marcus si erano attenuati, ma gli facevano ancora vedere le stelle quando per errore se li sfiorava.
E questo era il meno. Le cartelle che aveva preso sui denti gli avevano procurato numerosi taglietti in bocca e non faceva altro che sputare sangue o sobbalzare ogni volta che la lingua inavvertitamente toccava un punto dolente. Avrebbe volentieri maledetto il mondo intero se non fosse per il fatto che qualcuno sembrava averlo già preceduto.

Rinchiuso da solo nella sua cella il giovane si sentiva in trappola, solo ed abbandonato a se stesso. Avevano scoperto le cicatrici dei morsi sul suo braccio e, proprio come predetto da Wevyr, avevano rinchiuso sia lui che gli altri come animali pronti al macello. Oltretutto, come se tutto ciò non fosse stato abbastanza complicato, gli avevano propinato il più imbecille personaggio di tutto creato.
Ripensò alla tracotanza di quel dannato Feers, ed al modo di fare tutto compiaciuto nel momento in cui aveva emesso il suo verdetto. Lo aveva visto gongolare tra sé mentre li condannava a morte, come se si fosse trattato della cosa più normale al mondo. All'inizio si era sentito preso in giro, beffato proprio quando si riteneva finalmente al sicuro. Poi aveva capito di dover fare qualcosa (qualunque cosa) pur di salvarsi. Dire o fare una qualsiasi cosa gli passasse per la testa, pur di creare un dubbio o un'incrinatura sul giudizio imposto. Era stata la rabbia a dargli la carica e la convinzione necessarie a fare tutto ciò. In realtà non credeva minimamente a ciò che aveva detto a quello sciocco pelato. Ciononostante, vista l'insperata reazione che aveva provocato, qualunque cosa fosse successa di lì in poi dubitava che qualcuno avrebbe dato molto credito alle parole di quel pollo. O almeno così sperava.

Giunse così il ciclo successivo, accompagnato dalle medesime premesse di quello appena trascorso.
Nessuno di loro aveva più voglia di parlare. Il nervosismo si stava accumulando per via di alcuni strani movimenti che si intravedevano fuori sin dall'alba. Marcus vedeva gli altri guardarlo in cagnesco, ed era piuttosto sicuro che nemmeno il suo viso sprizzasse gioia.
Qualunque cosa si fosse verificata, era certo che avrebbero comunque dato la colpa a lui. Quello era poco ma sicuro. Da quando si era risvegliato (solo e senza ricordi), il suo viaggio era stato una serie infinita e variegata di problemi, in cui ( in aggiunta a tutto il resto) finiva sempre additato come capro espiatorio. Adesso cominciava a non poterne veramente più, quali che fossero stati i suoi peccati in una qualche vita precedente, doveva averli già scontati pienamente.

Di lì a poco il trambusto si placò e, quasi in risposta ai suoi pensieri, la porta si aprì, facendo entrare un gruppo di vigilanti seguiti dal Feers e l'anziano ufficiale dai capelli grigi. Poco in disparte dal resto delle persone se ne stava anche l'uomo col mantello, che, piuttosto distratto, sembrava più interessato all'assurdo colore delle vesti dell'ometto, che non a tutto il resto.
Fu proprio il Feers a prendere la parola, spiegando, in tono gaudente e mellifluo, che stavolta (grazie alle avanzate discipline di cui disponeva) avrebbe appurato senza ombra di dubbio se i quattro sopravvissuti fossero o meno un rischio da eliminare. Si dilungò in lunghe e tediose spiegazioni con termini di cui Marcus non capì assolutamente niente, tranne forse il fatto che li avrebbe esaminati tramite l'utilizzo del Feer, anche se non gli era chiaro come.
« Ed ora mi accingerò a cominciare. Prego portatemi il primo », disse enfatizzando le ultime parole e facendo un ampio movimento del braccio. Dopodiché infine chiuse gli occhi e, senza dire altro, rimase in attesa.

Fu Hamon ad offrirsi per primo. Legato e portato fuori da due vigilanti, fu fatto inginocchiare di fronte all'ometto (più basso di lui di mezza spanna), che, con fare cerimoniale, gli pose le mani sulle tempie. Non si sentiva volare una mosca, nessuno voleva in qualche maniera interferire con questa sorta di rituale. Alcuni addirittura trattenevano il respiro, come in una sorta di timore reverenziale verso quanto stava accadendo. L'unico segno che qualcosa stava avvenendo, era dato dal respiro affannoso di Hamon e dalle sue reazioni all'esaminazione.

Nome in codice "Lune di Sangue"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora