Capitolo due.

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4 marzo 2019

Pimlico – Londra

CAP 2

Entrai in quella che fino all'anno prima era stata la nostra casa.
Assurdo come la vita si possa capovolgere nel giro di due anni.
Mamma Maura aveva ritirato tutti gli oggetti di Lyudmila, i vestiti, il cellulare, il pc, le sue adorate piante sempre verdi e li aveva spediti ai suoi genitori.
Aveva lasciato solo qualche foto sparsa per casa, nulla di più.
La mia casa o meglio la nostra casa era su tre piani nel quartiere di Pimlico, vicino al centro di Londra.
L'avevo arredata io in stile moderno ancora prima di conoscere Lyudmila e lei l'aveva adorata fin da subito.
Il salotto era immenso, di un colore tenue vicino al grigio.
La tv e il divano immensi erano il fulcro della sala.
Entrai piano, senza far rumore.
Come se mi aspettassi di vederla seduta sul divano, di abbracciarla facendole una sopresa.
Era la seconda volta che mettevo piede lì dentro dopo l'accaduto.
La prima era stata un anno fa quando raccolsi tutti i miei effetti personali per andarmene.
Non avrei immaginato che quel momento sarebbe arrivato.
Non sapevo dove andare e cosa guardare perché tutto, ogni cosa, mi ricordava lei.
Il tavolo della cucina, dove avevamo fatto l'amore più di una volta.
Il divano dove d'inverno adoravo farle le coccole e dove lei leggeva.
La lavanderia dove facevamo tutte le commissioni casalinghe la domenica, come una coppia vera.
Se chiudevo gli occhi riuscivo a vederla e sentire il suo profumo.
Chanel n°5 inebriava tutto l'atrio quando se lo metteva.
Il tintinnio delle sue scarpe coi tacchi. Le piaceva un mondo indossarle e sentirsi donna.
Le sue calze invernali che usava nei giorni in cui stava a casa, che strusciate sul pavimento mettevano di buon umore.
Oppure la sua fissa per il thé inglese e gli infusi, ne avevamo a bizzeffe.
Ricordavo ogni cosa, ogni dettaglio rimasto rinchiuso in quelle mura.
Tutto era immutato solo all'apparenza.
Arrivai davanti a due specchi, nel corridoio adiacente alla cucina. 
Li aveva appesi lei al muro affermando con convinzione che ci saremmo dovuti guardare dentro, anno dopo anno, invecchiando insieme. 
Ma ora rimanevo solo io. Lei se ne era andata. Non l'avrei mai vista invecchiare. 
Sarei invecchiato solo. Con le sue parole davanti a quegli specchi. 
- Niall, vuoi che ti lasci da solo? – la voce del mio manager dietro di me mi riportò alla realtà.
Annuii.
La verità è che dentro la clinica ti insegnano come affrontare i problemi e cercare di oltrepassarli ma non ti insegnano come fare a re-inserirti nella società.
Mi mancavano talmente tanti tasselli del puzzle che mi sentii improvvisamente mancare l'aria.
Mi mancavano talmente tanti perché. Tante, troppe domande senza risposte. 

Corsi sul balcone a prendere una boccata d'aria.
Non sapevo chi aveva pulito quella casa durante la mia assenza.
Probabilmente mia mamma era venuta ad aprirla qualche volta o avevano mandato qualcuno a pulire.
Quel balcone dava sulla camera da letto per metà. Si intravedeva il letto dal vetro.
Quante volte avevamo fatto l'amore sopra di esso. Quante volte l'avevo vista dormire e altrettante l'avevo osservata, quanto era bella.
Quante volte l'avevo lasciata sola?
Iniziai a piangere disperatamente.
Scivolai di nuovo.
- Niall hey sono qui – il mio manager mi prese al volo prima che scivolassi sul pavimento. – Tranquillo, ehi va tutto bene, se vuoi ce ne andiamo subito – con calma mi aiutò a rialzarmi da terra.
Mi abbracciò mentre le lacrime mi scorrevano sul volto senza aver alcun controllo.
- Sono un cazzo di fallito nella vita! Dimmelo – gli urlai contro, ero frustrato dalla situazione.
- Non sei un fallito, hai solo visto in faccia la morte Niall, ma sei qui e sei vivo e devi continuare a viverla questa vita! – urlò più forte di me ed io rimasi in silenzio.
Ne valeva davvero la pena continuare a viverla?
Non avevo la risposta ma quello di cui ero certo era che sarei rimasto tormentato per sempre.
- Vuoi che ce ne andiamo? – mi domandò.
- No, prima di vendere questa casa voglio vedere il bagno – esortai, con poca convinzione.
- Niall credo che ti serva lo psicologo per fare un passo del genere – esclamò dietro alle mie spalle.
- Voglio vedere -
Così salii al secondo piano, nel bagno più grande della casa.
Le scale erano bianche con la ringhiera di ferro battuto, le aveva percorse anche lei l'ultima volta.
Per ogni gradino che faci per salire al secondo piano contai le cose che non erano andate come volevo e che mi avevano reso peggiore di quello che ero realmente.
Conti perfetti per capire cosa avrei dovuto fare ma che invece, non avevo fatto.
Ma non bastava.
Non bastava mai.

Se solo fossi stato più presente avrei evitato la fine di ogni cosa, la fine della mia vita stessa.
Il bagno era una camerata enorme, contenente sia vasca che doccia.
Era stato ripulito da poco, lo percepii dai rubinetti splendenti, dall'odore di candeggina ristagnante nell'aria.
Andai davanti alla finestra ed osservai fuori, da quel punto preciso si poteva vedere il London Bridge.
La vista su Londra da quel punto era mozzafiato.
Osservai ogni piastrella, colorata di un rosa tenue tendente al lilla.
La vasca bianca.
La doccia in marmo scuro con due getti enormi.
Guardai tutto e desiderai di voler morire.
Morire in agonia senza nessuno pronto a salvarmi.

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