Capitolo dodici.

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26 aprile 2019
Londra

  CAP 12


Harry dopo qualche giorno aveva fatto ritorno a casa ed io mi scusai con lui più volte per il mio attacco di panico ma, contro ogni previsione, fu comprensivo e disse che non era una cosa che potevo controllare e che mi sarebbe stato sempre affianco.
Louis invece partì per l'Asia come da programma ed io mi ritrovai catapultato in salotto con il piccolo Freddie.
Aveva la baby-sitter per quattro ore al giorno ma le rimanenti toccavano a me.
- Niall la colazione è pronta? – mi domandò il marmocchio.
- Ti sto riscaldando il latte e ti ho fatto i pancakes, ti piacciono? -
Fortunatamente annuì e mi sorrise.
Aveva lo stesso sguardo furbo e dispettoso del padre.
- Niall la colazione è pronta? – domandò di nuovo ed io implorai Gesù affinché quei quindici giorni passassero velocemente.
Avevo in custodia Freddie dal 26 di aprile fino al 17 di maggio.
Sarebbe passato velocemente, continuavo a ripetermi.
- Si ora lo è, vieni qui che ti metto sullo sgabello -
Quando fu abbastanza vicino lo presi in braccio ed ebbi un colpo al cuore.
Iniziai a tremare.
Pensai a come sarebbe stato avere fra le braccia mio figlio o mia figlia.
- Zio Niall stai temando.. tutto okay? – mi domandò il biondino ed io lo guardai in faccia, mi infondeva tenerezza e curiosità al tempo stesso.
Lo appoggiai delicatamente sullo sgabello e iniziò a mangiare da solo senza problemi.
Io nel frattempo cercai di calmarmi.
Che diamine mi prendeva?
- Buoni pancakes, fatti tu? – la voce del piccolo mi fece ritornare alla normalità.
- Vedi qualcun altro in casa? – esclamai, a volte era proprio un rompi palle di prima categoria, tale e quale a Louis ma infondo sapevo che era dolce.

Quella mattina la passai con lui a giocare con i Lego, di cui andava matto e ne aveva sparsi per tutto il salotto.
Costruimmo una casa e un camion e con i suoi giochi si tranquillizzò per diverse ore fino all'ora di pranzo quando sfoggiai le mie doti culinarie preparando una pappetta a base di riso e formaggio per bambini, come mi aveva detto Louis.
Mi sentii un genitore in carriera nel preparare quella minestrina per mocciosi che alla fine dovetti mangiare pure io perché ne era avanzata.
- Sei bravo a fare cibo sai? -
Io sorrisi mentre assaggiavo quella minestra che non mangiavo da quando avevo circa quattro o cinque anni, però Freddie aveva ragione, l'avevo fatta a regola d'arte.
- E' un complimento? -
Lui mi fissò, era di fronte a me. Si era voluto posizionare proprio faccia a faccia per guardarmi bene.
Annuì e si versò dell'acqua nel bicchiere ed io fui quasi allibito dall'indipendenza che aveva quel bambino.
- Beh grazie ma sicuramente la tua mamma o il tuo papà sapranno fare di meglio -
- Mamma non sa cucinare, abbiamo una cuoca e papà sa fare solo quattro piatti e la torta di mele -
- Beh meglio di niente no? –
- Si certo ma tu sei bravo -
Finimmo di mangiare e sparecchiai col marmocchio in braccio perché voleva stare in braccio a tutti i costi quindi lo accontentai.
- Senti Fred, alle tre viene la baby sitter okay? Ti porta un po' al parco e poi ti prepara la cena.. io ho delle faccende da sbrigare nel pomeriggio -
- Va bene però prima chiama papà -
Chiamai Louis noncurante del fatto che c'era un fusorario pazzesco e in Giappone era notte fonda. 
Rimase al telefono con suo papà per circa quindici minuti e vidi negli occhi di quel bambino una gioia e una tristezza che andavano di pari passo.
Era triste di avere i genitori così lontani e distanti da lui. Aveva, come ogni bimbo, bisogno di mille attenzioni e guardandolo mi rincuorai, mi domandai se sarei mai stato padre un giorno.
Dopotutto quello che mi era successo sarei riuscito a ricominciare?
Mi promisi che non avrei mai lasciato mio figlio o figlia in giro da solo nel mondo, mai e poi mai.

Alle cinque del pomeriggio mi presentai al gruppo di sostegno ad Hempstead, fuori Londra, scoprendo che eravamo dieci disperati in cerca di sostegno e uno psicologo di nome Rupert.
Quando entrai nella sala stavano quasi per cominciare, erano seduti tutti in cerchio e pareva di essere in un club per alcolisti anonimi, che ad occhio e croce non ci si andava molto lontano.
Mi sedetti tra un ragazzo dai capelli rosso fuoco e la carnagione bianchissima, pensai fosse Irlandese dati i capelli e una ragazza magrissima dai capelli corvini e un maglione a scacchi. Parevano usciti da un film horror così decisi che mi sarei seduto in mezzo a loro perché il brivido fa parte della mia persona, dopotutto.
Chissà quali storie bizzarre aveva da raccontare quella gente.
Sarebbero state più o meno atroci rispetto alla mia?
Rupert iniziò a parlare, si presentò dicendo di che cosa avremmo parlato quel pomeriggio e ci disse che avremmo dovuto fare la nostra presentazione in breve per conoscerci meglio.
Così iniziò Jacinta, una ragazza di 30 anni, nel suo breve racconto ci disse che era un ex alcolizzata, aveva smesso da quasi un anno ma da circa tre mesi soffriva le pene dell'inferno desiderosa di ritornare a bere.
Sentendo la sua storia, il sarcasmo che avevo pensato sul gruppo degli alcolisti anonimi quando ero entrato mi fece ricredere pensando che, probabilmente, metà della gente lì erano degli ex alcolizzati o drogati.
Poi Alex, Jonathan, Rachel, Joel e Nathan erano tutti in terapia per attacchi d'ansia convulsivi.
I loro episodi, di vita quotidiana, agli occhi delle persone normali potevano essere banali, ma io intesi a pieno i loro stati d'animo.
Perché in un modo differente e insolito io mi ritrovavo nella loro stessa situazione.
Infine arrivò il turno del mio vicino di posto, scoprii che si chiamava Caleb e veniva dalla Scozia, aveva 23 anni ma ne dimostrava molti di più e aveva scoperto che sua sorella gemella era gravemente malata, fatto che si ripercuoteva su di lui in modo tagliente e brutale.
Infine arrivò il mio turno.
Tutti mi stavano osservando, dieci persone che avevano gli occhi puntati sulla mia figura.
Non sarebbe dovuto essere un problema dato che mi ero esibito davanti a 65 mila persone.
Ma qualcosa era cambiato da allora.
- Piacere a tutti, il mio nome è Niall. – incominciai cercando di fare un ragionamento di senso compiuto. – Probabilmente mi conoscerete già perché facevo parte dei One Direction, sono qui oggi perché da due anni a questa parte sono entrato in depressione cronica senza via d'uscita. Non pensate male, non sono un'eroinomane o roba del genere, è successo un episodio massacrante che mi ha stravolto la vita, non sono ancora in grado di parlarne perciò vi chiedo scusa se la mia presentazione è riduttiva. -
Alzai lo sguardo notando che nessuno diceva una parola, mi sorrisero tutti.
E per un attimo mi sentii quasi compreso.
- Nessun problema Niall, quando sarai pronto ce ne parlerai – esclamò Rupert sorridente e pieno di entusiasmo.

Quando finii col gruppo di sostegno il ragazzo dai capelli rossi mi venne a parlare di sua spontanea volontà.
Capii, da come era vestito, che usciva poco e probabilmente era un nerd o faceva un lavoro da nerd: i suoi occhiali erano puliti in modo maniacale, ciò mi fece sospettare il tipico intelligentone da pc.
- Ciao Niall, la tua presentazione prima mi è piaciuta nonostante non sappia nulla di quello che ti è accaduto. Se posso esprimermi, sei cambiato parecchio da quando ti vedevo con mia sorella sui cd, magazine e in tv quindi credo che quello che ti sia successo ti abbia segnato, ma sei nel posto giusto, vedrai -
Quelle parole, dette in un modo così spontaneo e sincero mi fecero credere ancora nell'essere umano.
- Grazie Caleb. Si ammetto che sono stati anni difficili ma sono qui per questo, spero di uscirne perché vedo solo il buio – esclamai, e lui mi trattenne per altri cinque minuti a chiacchierare del più e del meno.
Mi disse che quello era il suo secondo gruppo di sostegno e che parlare con gli altri dei propri problemi aiutava in parte a superarli.
Non sapevo se quella era la verità, ma ci avrei provato, come stava facendo lui.

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