XII

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Caronte lanciò un'occhiata a Stiles.
«Un vivente, eh? Mi dispiace, dolcezza. Farti attraversare richiede troppa burocrazia» gli spiegò il traghettatore.
«Ma io pago» esordì Stiles tirando fuori una delle sue dracme.
«Mmm...» fece Caronte, adorava le monete luccicanti.
I morti di solito gli davano monete che gli erano state messe sotto la lingua al momento della sepoltura: erano schifose, tutte corrose e ricoperte di saliva.
«Allora va bene. Cerca solo di non fare troppa pubblicità alla cosa, d'accordo?» disse severo.
Quando il barcone fu in mezzo al fiume, Stiles fece l'errore di guardare dal parapetto.
Dalle profondità delle acque emerse un vecchio che agitava le braccia.
«Aiutami!» gridò.
«Non so nuotare!»

Il cuore gentile di Stiles gli fece desiderare di tirarlo fuori, ma subito pensò che fosse un'altra prova.
"Sguardo sull'obiettivo" disse a sé stesso. "Eros ha bisogno di me."
Il vecchio fece qualche rumore gorgogliante e sparì sotto la superficie, e ben gli stava. Chiunque decida di nuotare nello Stige dovrebbe essere così saggio da mettersi i braccioli.
Sull'altra sponda del fiume si ergevano nell'oscurità le nere pareti dell'Erebo. Stiles scese dal traghetto, e subito notò sulla spiaggia una vecchia intenta a tessere un arazzo su un telaio.
"Che strano" pensò Stiles.
"Dev'essere un'altra prova."
«Oh, ti prego, ragazzo» disse la donna.
«Aiutami a tessere solo per un po'. Mi fanno male le dita. Ho gli occhi stanchi. Puoi dedicare un briciolo del tuo tempo a una povera vecchia, vero?» disse con voce tremante.
Stiles sentì una punta di dolore, perché la voce della donna le ricordò quella della madre, ma continuò a camminare.
«E va bene, allora!» gridò la donna.
«Fa' quel che ti pare!» e scomparve in uno sbuffo di fumo.

Finalmente Stiles raggiunse i cancelli di ferro degli Inferi, dove le anime dei morti fluivano come automobili sul raccordo anulare.
Seduto proprio in mezzo al passaggio c'era il beniamino di Ade, il rottweiler a tre teste di nome Cerbero.
Cerbero ringhiò e fece schioccare le mascelle in direzione del ragazzo, sapendo che in quanto vivo avrebbe costituito un gustoso spuntino.
"Un gustoso spuntino" pensò Stiles.

Quando era piccolo, a casa, rubava sempre qualche avanzo della tavola per i cani, che per questo lo adoravano.
«Ehi, ragazzone» disse
cercando di nascondere la paura.
«Lo vuoi un bocconcino?»
Le tre teste di Cerbero si piegarono tutte insieme da una parte. Adoravano i bocconcini. Stiles lanciò uno dei dolci di riso al miele che aveva con sé. Mentre le tre teste si contendevano la leccornia, lui scivolò oltre i cancelli.
Con tutte quelle ombre dei morti che chiacchieravano, le Furie (tipo arpie) e le sentinelle zombie, per attraversare le Praterie degli Asfodeli gli ci volle un po'. Ma alla fine raggiunse il palazzo di Ade.
Trovò la dea Persefone nel suo giardino, che prendeva il tè sotto un gazebo in un boschetto di scheletrici alberi d'argento.
La Dea della primavera era in modalità inverno: tunica grigio pallido e verde, il colore della brina sull'erba, occhi di un oro acquoso come il sole di dicembre.
Non sembrò sorpresa di veder arrivare caracollando un ragazzo mortale incinto di qualche mese.
«Prego, siediti» lo invitò.
«Gradisci un po' di tè con i biscotti» Tè e biscotti suonavano molto allettanti per Stiles, dal momento che fino ad allora si era sostentato con le croste di pane stantio di Afrodite, ma ne aveva sentite troppe su quello che era successo a chi aveva accettato cibo nell'Oltretomba.
«Grazie, ma no» rifiutò dunque cortesemente.
«Persefone, mia signora, vengo con un'insolita richiesta. Spero che possiate aiutarmi. Afrodite si chiede se potete prestarle un po' della vostra crema di bellezza» spiegò la situazione senza sembrare un pazzo.
Dietro Persefone, un mazzo di fiori color porpora appassì.
«Come, scusa?» disse la Dea.
Stiles spiegò il suo problema con Eros. Fece del proprio meglio per non piangere, ma non riuscì a nascondere il dispiacere che trapelava dalla voce.
Persefone soppesò quel ragazzo mortale. Era affascinata. Lei stessa aveva avuto i suoi bravi problemi coniugali.
Anche lei aveva avuto la sua brava dose di disgrazie con Afrodite. Immaginò che la Dea dell'amore avesse mandato lì Stiles sperando che lei si arrabbiasse abbastanza da ucciderlo.
Be'... non avrebbe fatto il lavoro sporco per Afrodite.
Se la Dea dell'amore voleva prendere qualcosa in prestito, lei aveva proprio la cosa giusta.
«Apri la scatola» ordinò. Poi si alitò sulla mano. La luce si raccolse nel suo palmo come argento vivo.
Persefone la versò nella scatolina di legno di rosa e richiuse il coperchio.
«Ecco qui» disse.
«Ma ricordati una cosa importante, ragazzino. Non aprire la scatola. Quello che c'è dentro è solo per Afrodite. Hai capito?» disse guardandolo dritto negli occhi.
«Ho capito» Stiles annuì.
«Grazie, mia signora» continuò.
Sentì montargli dentro l'euforia. Finalmente! Fece il cammino a ritroso attraverso il regno dei morti, usando il secondo dolce di riso per distrarre Cerbero e la seconda dracma per pagare Caronte affinché lo traghettasse sull'altra sponda del fiume. Si arrampicò di nuovo nel mondo mortale e cominciò il lungo viaggio verso il palazzo di Afrodite.
Quando fu a metà strada, un pensiero improvviso gli balenò nella mente.
"Ma che cosa sto facendo?" si disse.
"Se funziona, avrò indietro Eros. Ma lui mi vorrà ancora? Sono orrendo.
Sono sfinito, ultimamente mi sono nutrito solo di croste di pane, ho il vestito stracciato e sono almeno tre mesi che non faccio un bagno. Ho qui una scatola piena di bellezza divina e sto per darla tutta ad Afrodite, che non ne ha nemmeno bisogno. Dovrei prenderne un po' per me" Si disse.
E per la prima volta, Stiles fu egoista.
Sciocco? Forse. Ma concediamogli qualche attenuante. Erano mesi che veniva messo ininterrottamente alla prova. Soffriva di deprivazione da sonno e cibo, e forse non riusciva a pensare con lucidità. Oltretutto, più vicino si arriva alla fine di qualcosa più si tende a essere meno attenti e a commettere errori, proprio perché non si vede l'ora di finire.
E poi, e questa è un'opinione personale, credo che la debolezza fatale di Stiles fosse l'insicurezza. Aveva un gran coraggio e molte altre fantastiche virtù, ma non aveva fiducia in sé stesso.
Non credeva che uno come Eros potesse amarlo per quel che era.
Ecco fino a che punto erano riusciti a influenzarlo i suoi fratelli.
Ed ecco perché aprì la scatola di bellezza.
Purtroppo, nella scatolina Persefone non aveva messo nessuna bellezza. L'aveva riempita con puro sonno delIo Stige: l'essenza del mondo dei morti. Persefone aveva voluto mandare un piccolo ringraziamento ad Afrodite per averla coinvolta nei suoi problemi.
Non so cosa quella roba avrebbe causato a una Dea come Afrodite; probabilmente l'avrebbe mandata in coma, o le avrebbe gonfiato la faccia tanto da lasciarla farfugliante per qualche settimana. Ma, quando Stiles aprì la scatola, il sonno dello Stige gli riempì i polmoni e lo fece svenire.
La sua vita cominciò a scivolare via.
Su nel palazzo di Afrodite, la spalla di Derek cominciò a pulsare come se qualcuno ci stesse scavando dentro con un coltello rovente.
Il Dio seppe così che a suo marito
qualcosa non stava andando per il verso giusto. Nonostante il dolore, si alzò dal letto e scoprì che gli era tornata un po' dell'antica forza.
Dopo aver parlato con Stiles in quel piacevole scambio in falsetto sulla torre, la sua anima aveva cominciato a guarire.

Aprì le ali, si lanciò fuori dalla finestra e volò al fianco di Stiles.
Prese il suo corpo afflosciato e lo cullò tra le braccia.
«No, no, no. Oh, mio amato, che cos'hai fatto?» disse con voce tremante.
Poi lo sollevò e volò dritto sull'Olimpo.

Irruppe nella sala del trono di Zeus, dove tutti gli dei erano radunati a vedere la nuova opera teatrale che Apollo aveva scritto, intitolata "Le venti meravigliose cose su di me".
«Signore del cielo!» gridò Derek. «Chiedo giustizia!» lo implorò con voce ferma.
La maggior parte degli Dei sapeva che fare irruzione e chiedere qualcosa a Zeus non era saggio. Soprattutto se si parlava di giustizia: Zeus non ne possedeva esattamente una quantità industriale.
Ciononostante, perfino il Re dell'Olimpo fu un po' spaventato da Eros, quindi gli fece cenno di avanzare.
«Perché hai portato questo mortale tra noi? È decisamente attraente, anche se preferisco di gran lunga le donne, ma è anche decisamente incinto, e ha decisamente l'aria di uno che sta morendo» disse Zeus, facendo la sintesi di tutto quello che aveva passato Stiles negli ultimi mesi.
In quel momento arrivò Afrodite, per lo spettacolo.
Entrò nella sala del trono ancheggiando, aspettandosi che tutti le facessero i complimenti per la nuova tunica, e invece trovò tutti gli Dei concentrati su Derek e Stiles.
"Non posso crederci. Perfino puzzolente e privo di sensi, questo ragazzo riesce comunque a monopolizzare l'attenzione!" si disse.
«Che sta succedendo?» chiese.
«La tortura di questo ragazzo spetta a me» aggiunse poi.
«Datti una calmata, Afrodite» Zeus fece un cenno a Derek.
«Parla, Dio dell'amore. Qual è la novità?» Derek raccontò agli Dei tutta la storia. Perfino loro furono commossi dal coraggio di Stiles.
D'accordo, aveva fatto un po' di errori, tipo l'aver voluto vedere le vere sembianze di Derek, aveva aperto la scatola destinata ad Afrodite, ma aveva anche mostrato lealtà e determinazione.

Ma la cosa più importante di tutte era che aveva mostrato il dovuto rispetto agli Dei.
«Ridicolo!» strillò Afrodite.
«Non ha nemmeno portato a termine il suo ultimo incarico! Quella scatola non era piena di crema ipoallergenica di bellezza!» gracchiò stizzita.
Derek aggrottò la fronte.
«È mio marito. Devi accettarlo, madre. Lo amo, e non permetterò che muoia» ringhiò Derek.

Zeus si grattò la testa.
«Vorrei tanto aiutarti, Derek, ma
mi sembra che sia già molto avanti nel sonno dello Stige. Non credo di poterlo riportare al suo antico Sé» spiegò dispiaciuto.
Era fece un passo avanti.
«Allora fall diventare un
Dio. Se l'è meritato. È il minimo che tu possa fare, se dovrà essere il marito di Derek»
«Sì» Demetra annuì.
«Falla diventare un Dio. Non mi
aspetto alcun favore da Derek, anche se è stata una mia idea»
«E anche una mia idea» aggiunse Era.
Furbe loro.

Afrodite protestò, ma capiva benissimo che il consiglio degli Dei era contro di lei. Imbronciata, diede la sua approvazione. Il voto fu unanime.
Quando Stiles riaprì gli occhi, nel suo corpo fluì un nuovo potere. L'icore (il sangue divino) cominciò a scorrergli nelle vene. Si ritrovò abbigliato in leggerissimi abiti lucenti, con due ali piumate sulla schiena.
Abbracciò suo marito Derek, che ormai era completamente guarito e più felice che mai.
«Amore mio» disse quest'ultimo infatti.
«Ehi» fece Stiles, convinto di star sognando.
«Ehi, piacere mio, sono il Dio dell'amore Eros, ma puoi chiamarmi semplicemente Derek» disse lui sorridendo.
«Piacere mio, sono Stiles, principe mortale» rise.
«Il mio amore per l'eternità» aggiunse Derek baciandolo.
«Sono ancora io il capo?» chiese Stiles.
Derek rise.
«Sei ancora e decisamente il capo»
Poi si baciarono ancora e fecero la pace, e Stiles diventò il Dio dell'animo umano, quello che viene ad aiutarci quando
abbiamo bisogno di un po' di forza e di capacità di comprensione, perché comprende le sofferenze umane meglio di qualsiasi altro Dio.
Diede alla luce una bambina, Edoné, che divenne la Dea del piacere. Bisogna ammetterlo: dopo quello che aveva passato, si meritava un po' di gioia.
Quindi ecco qui.

Fine.


Ci tengo a precisare (nuovamente) che tutto il mito dovrebbe riguardare Eros e Psiche, una fanciulla, principessa di non so quale paese della Grecia che affronta tutte queste cose pur di riconquistare il marito.
Ho cercato di adattarla meglio che potevo ma sono sicuro che in qualche punto ho avuto dei lapsus e ho scritto di Stiles al femminile, quindi chiedo venia.

ANGOLO AUTORE
Grazie mille per aver letto, recensito e votato questa fanfiction ❤️

Amore e Psiche ~ Sterek Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora