LA PROVA DI ARGHØS: Prima parte

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 Per la maggior parte degli uomini che abitavano i remoti e glaciali territori di Nørområde, a nord di Hitarcia, addentrarsi nelle profondità della Foresta Innevata senza un'affidabile compagnia era sinonimo di incoscienza o futile tracotanza

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Per la maggior parte degli uomini che abitavano i remoti e glaciali territori di Nørområde, a nord di Hitarcia, addentrarsi nelle profondità della Foresta Innevata senza un'affidabile compagnia era sinonimo di incoscienza o futile tracotanza.

Erano trascorsi svariati secoli da quando le tribù locali avevano deciso di spostare i loro avamposti fuori dalla selva sconfinata, per via dell'improvvisa comparsa di predatori ripugnanti chiamati mørkruv, giunti dagli ignoti territori dell'Oltremondo aldilà delle montagne ghiacciate, un'enorme e vasta muraglia naturale che aveva sempre protetto naturalmente il popolo nordico.

Da quel momento in poi, chiunque osava avventurarsi all'interno del labirintico oceano di alberi, che si trattasse di uomini, donne o bambini, non facevano più ritorno. Sparivano senza lasciare alcuna traccia del loro passaggio. Si tentava in tutti i modi possibili di evitare che simili sciagure si ripetessero, tuttavia c'erano volte in cui non se ne poteva proprio fare a meno, poiché la gente disponeva di un rapporto simbiotico con la Foresta Innevata, il solo posto in cui era possibile trovare selvaggina e legname, indispensabili per la sopravvivenza.

Visto il crescente numero di sparizioni, gli antichi capi tribù dovettero imporre alla popolazione di non addentrarsi nella Foresta Innevata con il sopraggiungere delle tenebre e, ancor di più, senza la compagnia di qualcuno. Chiunque fosse dotato di un briciolo di raziocinio e amor proprio comprendeva che così facendo avrebbe aumentato le proprie possibilità di sopravvivenza in un territorio divenuto del tutto inospitale agli esseri umani.

Tuttavia non era dello stesso parere Arghøs, un uomo burbero che discendeva da una stirpe di rinomati cacciatori che avevano scelto di rimanere all'interno dell'immensa vegetazione per poter vivere a stretto contatto con la natura che tanto veneravano e rispettavano. Le sue arcaiche credenze gli imponevano di tenersi alla larga da ogni tipo di civiltà, poiché anche la più semplice con il passare del tempo lo avrebbe esposto alle ineluttabili lusinghe dell'ozio e al distacco dal sacro e infinito cerchio della vita.

Secondo il cacciatore soltanto i deboli di spirito si guardavano le spalle a vicenda, perciò non voleva rischiare di riporre la sua fiducia nelle mani di persone che avevano preferito difendere la loro vita piuttosto che il luogo che li aveva sempre sfamati senza pretendere nulla in cambio. Non si sarebbe mai potuto allontanare dalla sua dottrina, poiché questa, oltre che rendere onore alla sua discendenza, non gli avrebbe mai fatto dimenticare la sua vera identità.

Quel pomeriggio Arghøs era a caccia come al solito, quando finalmente avvistò un'enorme preda a circa duecento piedi di distanza. Si inginocchiò sulla neve, facendo attenzione a non emettere il minimo suono, e tese l'arco lungo. Calcolò la direzione del vento, prese la mira e trattenne il fiato. Attese con meticolosità il momento propizio e scoccò la freccia contro l'esemplare adulto di elderhørn davanti ai suoi occhi, impegnato a mangiare alcune ambrobacche da un cespuglio. Il dardo attraversò come una saetta la fitta vegetazione, passò in mezzo a due pini dalla resina lattea e si conficcò in profondità nel fianco dell'animale ricoperto da una folta peluria color cenere.

La creatura frugivora emise un lamento baritonale che risuonò come un frastuono nella pesante quiete del bosco, dopodiché, spinto da una foga confusa e sofferente, cominciò a galoppare tra gli alberi finché non si accasciò stremato accanto a una radice di pecciabete che emergeva come un grosso tentacolo dal manto nevoso.

Il cacciatore raggiunse la preda dalle robuste corna, mantenendo una distanza di sicurezza per non correre alcun pericolo. Gli girò attorno per guardare i suoi occhioni scuri e ripose l'arco sulla schiena. La vita stava abbandonando velocemente l'elderhørn, la freccia lo aveva colpito dritto al cuore. Si chinò per far scorrere con dolcezza le dita tozze sul dorso della creatura e le fece compagnia durante il trapasso.

«Non avere paura, sono qui con te. Ti sei guadagnato il riposo concessoci dall'Eterno» sussurrò con dolcezza.

Prelevò da un sacchetto di pelle legato alla cintura tre pietre di differenti colori su cui erano incisi dei simboli ancestrali e le adagiò attorno all'animale in modo da formare un perimetro triangolare. Infine tracciò con l'indice delle linee rette sulla neve in modo da collegare i sassi l'uno con l'altro.

Uno scricchiolio di rami secchi alle sue spalle catturò la sua attenzione.

Si voltò facendo guizzare lo sguardo attraverso l'immensa distesa di conifere alla ricerca di pericoli in agguato e tirò un sospiro di sollievo quando vide un scoiattolo delle nevi in cerca di cibo.

Increspò le labbra e tornò a rivolgere le sue attenzioni all'elderhørn. Socchiuse gli occhi e unì i palmi delle mani cominciando a pronunciare con voce sommessa delle suppliche all'Eterno nell'antico dialetto nordico. Si lasciò trasportare dal silenzio circostante, dall'aria gelida che gli pizzicava il viso irsuto, finché non raggiunse un profondo stato meditativo. Doveva prendersi un momento per riflettere sull'importanza della vita che aveva troncato così violentemente e sulla sopravvivenza che questa gli avrebbe garantito. Era il suo modo di esprimere gratitudine alla natura circostante per essere stata indulgente nei suoi riguardi.

Riaprì gli occhi pieni di determinazione, estrasse un coltello dal fodero della cintura e con straordinaria maestria si apprestò a scuoiare l'animale. Si sarebbe impegnato come sempre a non sprecare neppure un grammo di carne, altrimenti si sarebbe macchiato di un atto disonorevole verso il suo credo.

Una volta macellata la carne, la salò e infine la sistemò con cura all'interno di un enorme bisaccia. Non restava che legare le pelli dell'eldrehørn per poterle trasportare in tutta comodità. Gli sarebbero servite per ricavare indumenti e coperte.

Orgoglioso del prezioso bottino, conservò le pietre nel sacchetto e si preparò a scavare una degna sepoltura per la creatura, in modo da rendergli onore e facilitare il suo ritorno nell'infinito cerchio della vita. Glielo doveva.

Quando ebbe terminato il rito funebre, mancava poco meno di un'ora al tramonto. La temperatura era calata drasticamente e avrebbe continuato a farlo ancora, fino a divenire talmente insopportabile da risultare fatale.

Si caricò l'enorme bisaccia e le pelli sulle spalle e si mise in cammino verso l'accampamento. Sua moglie Merthas e suo figlio Rhen, di soli tre anni, aspettavano con trepidazione il suo ritorno.

Hitarsia: i racconti perduti ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora