L'ULTIMO SOPRAVVISSUTO: Quarta parte

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Il mercante esausto dal lungo e faticoso viaggio scese dal carro e sciolse le briglie della giumenta, lasciandola alle amorevoli cure del vecchio Tekrott che la portò sul retro della casa per darle dell'acqua e del fieno per rimettersi in forze.

Quando Gårlev tornò indietro si cominciarono a sentire le creature striscianti che ruggivano fuori dalle mura. A giudicare dalla moltitudine dei versi che si sovrapponevano creando una cantilena sinistra e malinconica, dovevano essersi radunati a dozzine.

«Sono arrivate.» Disse il roditore rabbuiatosi.

«Reggeranno le mura?» Domandò l'apprendista pallido quanto il bagliore delle tre lune.

«Fino a oggi hanno retto benissimo. Noi Tekrott siamo bravi nei lavori manuali. Dovreste preoccuparvi piuttosto per questa notte. Non sarà facile per voi chiudere occhio. Mi ci sono voluti anni per abituarmi al loro baccano e devo ammettere che anche la notevole perdita d'udito mi ha aiutato.» Ridacchiò divertito.

«Che esseri ripugnanti.» Disse Ghiryon per poi sputare a terra in segno di disprezzo.

«Già. Pensate che sono del tutto ciechi, ma sanno benissimo che siamo qui. Sentono il nostro odore e sfruttano le loro urla per vederci.»

«Com'è possibile?» Indietreggiò Davon perplesso.

«Sono come i comuni pipistrelli. Sfruttano l'eco-localizzazione. Si, si! L'eco-localizzazione!»

«Dev'essere stata dura per te.» Dedusse il mercante, ammirandolo per ciò che era riuscito a costruire negli anni.

«Lo è stato, ma vi assicuro che ci si abitua a tutto. Si, si! A tutto!» Si intristì.

«È stato il Grande Cataclisma ad attirare queste creature?» Chiese l'uomo.

«Si. Tuttavia sarei più onesto con voi e con me stesso se dicessi che è stata colpa della nostra immensa sete di progresso! Credevamo di vivere un sogno, ma presto si trasformò in un incubo!»

«Tutti pensano che il Grande Cataclisma sia stato uno scherzo del destino.» Spiegò il ragazzo.

«Ricorda le mie parole, giovane perlagosiano. Ogni azione che facciamo comporta delle conseguenze. Se le nostre scelte diventano sconsiderate, nulla di buono ne potrà mai derivare. Col senno di poi devo riconoscere che noi Tekrott ci siamo meritati questo triste epilogo. Abbiamo sfruttato il nostro territorio finché non è divenuto inospitale per ogni forma di vita. Molti animali si sono estinti, mentre gli altri sono fuggiti in preda alla paura. Ci siamo spinti oltre ogni limite. Siamo sprofondati nell'immoralità. Non ci siamo curati di niente e nessuno, benché meno di noi stessi. Quando ci siamo resi conto della gravità della nostre azioni, la sciagura di cui parli era ormai sulle nostre teste. L'avevamo creata con le nostre mani. Confiderete con me che non eravamo le creature intelligenti che tutti pensano e, in fin dei conti, questo servirà da monito per le altre civiltà di Hitarcia. Per lo meno è quello che voglio sperare.»

I tre rimasero in un angosciante silenzio.

«Adesso faremmo meglio a entrare in casa.» Suggerì il sopravvissuto. «Vi farò assaggiare il mio stufato di moljern. Vi assicuro che questi orribili lamenti saranno soltanto un ricordo. Si, si! Un ricordo!» Si leccò i baffi.

Durante la cena i mercanti non poterono fare a meno di notare che la casa era spoglia e piena di cianfrusaglie di ogni genere, a tal punto che sembrava più un laboratorio piuttosto che un'abitazione. Gårlev spiegò, tra un boccone e l'altro, che essendo avanti con l'età dormiva poche ore, per cui occupava gran parte della notte a riparare protoreliquie con le parti che riusciva a raccattare in giro con la luce del sole. Era la sola attività che gli permetteva di ripulire la città da quella moltitudine di rottami e allo stesso tempo di fare ammenda per il suo popolo.

Ghiryon per tutto il tempo si era limitato ad ascoltare le parole della creatura senza proferire parola, eppure Davon, che lo conosceva bene, si era reso conto che al suo maestro era scattato qualcosa dentro. I suoi occhi, in alcuni momenti, erano divenuti talmente espressivi che pensò di vederlo per la prima volta in lacrime.

Il roditore, dopo cena, mostrò ai due mercanti la camera dove avrebbero passato la notte e infine si congedò per mettersi a riparare le sue protoreliquie.

Il mattino seguente Ghiryon svegliò il suo apprendista e assieme si fiondarono in cucina per chiedere al Tekrott di mostrargli le protoreliquie migliori. La maggior parte di esse erano sconosciute ai due perlagosiani, perciò dovettero farsi spiegare il loro funzionamento. Affascinati dalla loro utilità, in men che non si dica si ritrovarono a contrattare con incontenibile brama di possederle. Tuttavia non fu facile trovare un accordo, dato che Gårlev non aveva alcun interesse a ricevere del denaro. Chiedeva piuttosto viveri di prima necessità, poiché il suo territorio non aveva altro da offrire se non la carne dei moljern e l'acqua del suo pozzo. Fortuna volle che a Rocca Smeraldo i due mercanti non erano riusciti a vendere un paio di anfore di miele millefrutti, tre forme di cacio e alcune bottiglie di idromele, e alla fine entrambe le parti ne uscirono più che soddisfatte, tanto da accordarsi di fare affari una volta al mese, ogni qual volta le tre lune sarebbero state calanti.

Si era fatto mezzogiorno quando i due uomini finirono di caricare i loro acquisti sul carro. Il sole era alto e incandescente, per cui il Tekrott decise di riempire le loro borracce e un paio di anfore con l'acqua fresca del suo pozzo. Inizialmente Ghiryon rifiutò la gentilezza, tuttavia il vesphiryano insistette. Spiegò che il deserto non era da prendere alla leggera, soprattutto in quelle ore. In poche ore avrebbero rischiato di disidratarsi, avrebbero cominciato ad avere delle forti allucinazioni e infine si sarebbero persi tra le dune. Se anche fossero riusciti a sopravvivere all'aridità di quell'oceano di sabbia, una volta giunta la notte avrebbero dovuto fare i conti con le creature striscianti che sarebbero emergerse dal sottosuolo, e non avrebbero avuto più via di scampo.

A quel punto accettarono il regalo dell'ultimo sopravvissuto e dopo averlo ringraziato e salutato, partirono verso Perlagosh.

Allontanandosi dalla città, il mercante non poté che ammettere a se stesso che non aveva mai conosciuto una creatura dall'animo così gentile. Quella terribile esperienza avrebbe annientato anche il guerriero più valoroso, eppure, quello stesso peso, aveva fatto emergere il lato migliore del Tekrott, che con incredibile perseveranza vi si era aggrappato nonostante il dolore.

«Credevo che in una contrattazione non ci si dovesse lasciar prendere dalle emozioni.» Disse Davon.

«Infatti...» Borbottò il mercante continuando a guardare avanti.

«Allora per quale motivo non ne hai approfittato? Ti avrebbe dato qualsiasi protoreliquia per quei viveri. Avevi il coltello dalla parte del manico, eppure non ne hai approfittato.» Spiegò il giovane.

«Hai ragione, avrei potuto.» Sospirò. «...Ma con quale faccia sarei tornato a casa?»

«Con la stessa faccia con cui torni ogni volta.»

«Questa volta non ci sarei riuscito.» Confessò, con gli occhi lucidi dalla commozione. «Quelle rovine non rendono giustizia al cuore infranto di Gårlev.»

L'apprendista non disse nulla, limitandosi a voltarsi per guardare la capitale.

Quel paesaggio in rovina gli scaldò egoisticamente il cuore, perché sapeva che presto sarebbe tornato a casa e avrebbe potuto riabbracciare i suoi cari. Era stato quel triste incontro a fargli comprendere quel semplice e importante dato di fatto che fino a quel momento aveva dato per scontato. Nulla sarebbe stato più come prima, perché il quel momento aveva la prova tangibile che gli insegnamenti del suo maestro si erano rivelati errati, perciò non avrebbe più preso le storie degli altri con leggerezza e non avrebbe più messo da parte le emozioni che ne sarebbero scaturite. Era certo che senza di esse sarebbe inesorabilmente scivolato verso un futuro desolante come quello di Vesphirya, ed era convinto che anche Ghiryon l'avesse capito.

FINE

Hitarsia: i racconti perduti ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora