CAPITOLO 4

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Chinando la testa per evitare di colpire uno dei tanti scaffali lasciati aperti, Amos varcò la soglia della piccola cucina dal tetto spiovente. Alla fine, con sua grande sorpresa, Freya si era addormentata sul divano; immersa sotto a strati e strati di coperte che avrebbero potuto riscaldare almeno altre tre persone. Nella mezz'ora successiva aveva pensato a lungo al racconto della donna, soppesandolo attentamente. Non pensava che mentisse, ma vi era sicuramente qualcosa di strano in ciò che gli aveva raccontato.

Titubante, aprì l'anta del frigorifero. Aveva così tanta fame che si sarebbe fatto bastare qualsiasi cosa avesse trovato e, visto che quella giornata sembrava andare in suo favore, non potè trattenere un sorriso quando vide -già pronte per essere scongelate- due bistecche piuttosto grandi. Poteva davvero farlo? Si fermò qualche minuto prima di afferrare la confezione, mordicchiandosi l'interno guancia. Le aveva già dato una mole incredibile di problemi, e in più nemmeno le stava chiedendo il permesso di sfamarsi con il suo cibo.

Alla fine spinse si limitò a scuotere la testa, e ricacciando quei pensieri in un angolo remoto della sua testa, afferrò la prima pentola pulita che trovò a portata di mano. Non era mai stato un grande cuoco; solitamente erano gli altri a cucinare per lui o a fargli trovare gli avanzi della sera precedente, ma si sarebbe accontentato. Dopotutto, quanto poteva essere difficile cucinare della carne? Alzò la fiammella del fuoco e, prima di lasciar cadere le due bistecche sul fondo d'acciaio, bagnò la padella con dell'olio.

Gliene avrebbe lasciata una per quando si fosse svegliata, sperando non le andasse di traverso. Immerso nei suoi pensieri, con il solo rumore dell'olio che friggeva, notò con la coda dell'occhio un telefonino piuttosto vecchio e malandato. Freya doveva averlo poggiato sul bancone la sera precedente, dimenticandosi di metterlo a caricare. Se lo rigirò fra le mani, incuriosito dall'idea che, ora che la ragazza stava dormendo, avrebbe potuto usarlo.

Perché non approfittare? Lo sbloccò, sorpreso nel non trovare nessuna password ad attenderlo. Entrò nella rubrica dopo qualche ricerca e, componendo il numero che ormai sapeva a memoria, accostò il telefonino all'orecchio. Per un momento, pensò che dall'altro lato nessuno avrebbe accettato la chiamata.

«Pronto?» La voce gutturale di Ophelia lo fece trasalire per qualche breve istante, cogliendolo di sorpresa. Non si sarebbe mai aspettato di parlare con l'anziana.

«Passami Isaac.» Perentorio come sempre, Amos non evitò nemmeno per quella volta di spartire ordini. Sentì chiaramente il gorgoglio di sorpresa che le nacque nella gola, tanto da farle andare di traverso la saliva rimasta. Vi furono diversi rumori; il trascinare delle ciabatte sul pavimento il legno, un richiamo alterato e borbottii sommessi, prima che finalmente la linea fosse ceduta all'amico.

«Dove cazzo ti eri cacciato, eh? Proviamo a contattarti da giorni, dannazione!» Alzando le sopracciglia e schiudendo le labbra in un sorriso mesto, il Drago scosse le spalle come se potesse essere visto. Se Amos fosse stato un altro si sarebbe senza dubbio spaventato nel sentire il lungo ringhio gutturale che pareva uscire direttamente dalle fauci di un bisonte. Eppure, quei due, avevano passato abbastanza tempo insieme da conoscersi a fondo, e nel suo tono non potè che leggervici del sollievo misto ad una certa preoccupazione.

Si erano incontrati molti anni prima, quando Isaac ancora non faceva parte ufficialmente del Clan ed Amos non era altro che un marmocchio sempre sporco di fango e terra. Erano cresciuti assieme, condividendo lo stesso cerchio ristretto di amicizie, le medesime sofferenze, le gioie e le scoperte.

«Un gruppo di Cercatori. Sono abbastanza sicuro che qualcuno li abbia avvertiti del mio arrivo, o non mi spiego la loro presenza sotto l'ufficio del sindaco.» Pizzicandosi la punta del naso, Amos sbuffò sonoramente. Fosse stato per lui sarebbe uscito in quell'esatto momento per cercarli, ma doveva studiarsi un piano e -prima d'ogni altra cosa- rimettersi completamente in sesto.

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