"E se non vince?"

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La luna illuminava il campo, il rumore del rimbalzo del pallone nella testa, occhi pieni di concentrazione, il sudore sulla fronte.

Le ginocchia piegate in posizione di attesa, pronto a saltare e il viso illuminato dalla luce di un lampione, Noah, attendeva il fischio d'inizio.

La partita era divisa in 2 tempi da 20 minuti.

Io ero lì, osservavo.

L'arbitro si era portato il fischietto alla bocca ed era pronto a fischiare l'inizio in

3, 2, 1... palla in aria.

La tensione che aleggiava intorno a quel campo era palpabile e traspariva limpidamente negli occhi di Noah dal momento in cui James, dopo il fischio d'inizio manteneva il possesso palla e cercava di mettere in difficoltà la squadra avversaria. Harper aveva lanciato uno sguardo complice ai suoi compagni che avevano ricambiato con un sorriso, in segno di fiducia nel loro leader ma io mi stavo rendendo conto che neanche lui sapeva cosa fare.

Lui è un leader, il modo in cui infondeva tranquillità ai suoi compagni, come li guidava in campo e la sicurezza con il quale tirava a canestro anticipava che, nonostante tutto, era intenzionato a portare la sua squadra alla vittoria.

I 3 giocatori nella squadra avversaria erano tutti molto forti e ben piazzati, alti e veloci. Il capitano, James Lee, detto J è un diciassettenne di un metro e novanta poco più alto di Noah, spalle larghe e addome in evidenza, ha i capelli lucidi di un delicato color crema e gli occhi di un color verde oliva intenso che, uniti ad un fascino abbagliante, producevano un effetto davvero non male.

"Il capitano Lee prende la palla, si avvicina, carica in movimento, salta....CANESTROOO"

Will aveva portato la situazione 7-2 per la sua squadra già al 4' minuto e da parte mia iniziavo a rendermi conto perchè nessuno volesse sfidarlo. Il mio sguardo era rivolto a Noah che si stropicciava i capelli mentre passava a dare una pacca d'incoraggiamento ai suoi compagni.

Credo, che Noah si rendesse conto in quel momento che, in quanto idolo delle ragazzine lì presenti, fosse arrivato il momento di inventarsi qualcosa per ribaltare la situazione.

La partita stava ricominciando e Harper aveva preso da parte Leo e Travis.

"Al tre... uno, due, tre"

Era appena iniziato il secondo tempo e già negli occhi di Noah si poteva leggere una carica diversa: era determinato a vincere, perchè nonostante fosse stato obbligato, lui doveva dimostrare di essere il migliore conducendo la sua squadra alla vittoria.

Così, era arrivato il primo canestro, poi il secondo, il terzo, come una macchina da guerra i tre si passavano la palla ad una velocità tale da confondere gli avversari.

Ovviamente James non aveva perso tempo nel rispondere ai loro attacchi e più di una volta era riuscito a sottrarre loro la palla realizzando altri 4 punti...la partita procedeva per 20-17 per la squadra di Noah, che era sempre più vicina e determinata ad ottenere la vittoria.

Mancavano meno di 4 minuti alla fine della partita e sembrava che tutto filasse liscio mentre Noah si dirigeva convinto verso il canestro per realizzare un altro punto quando Geremy, il migliore amico di Lee, gli aveva soffiato via la palla per realizzare un canestro da tre.

Canestro realizzato senza alcuna fatica. Geremy Scott è un ragazzo di media altezza, poco più basso di Noah che però ha la capacità di rubarti la palla in poche mosse e realizzare dei precisi tiri da tre.

La partita era condotta 20-20 e la tensione stava aumentando, 2 minuti allo scadere del tempo e nessuno aveva voglia di ricorrere ai tiri liberi.

Veloce scambio di palla tra Scott e James che avanzava verso il canestro sotto il quale Travis era pronto a bloccare il tiro. Lee aveva la convinzione di chi sente di aver già vinto, peccato che proprio in quel momento Leo era intervenuto, cadendo a terra, subendo fallo da James. Mancavano 30 secondi alla fine. 2 tiri liberi per Leonard Hill.

Era in posizione e aveva le gambe piegate pronto a saltare e Noah accanto a lui, quando, prima che l'arbitro fischiasse, il suo sguardo si era distolto per un attimo dal canestro e la sua concentrazione si era posata su di me mostrandomi un leggero sorriso. Sapevo che avrebbe vinto, me lo sentivo.

Primo fischio, era dentro.

Secondo fischio, attese un attimo di riflessione prima di tirare ma il tutto fu precisissimo, la palla entrò nella rete del canestro senza alcuna esitazione.

La partita era terminata 22-20 e non avevo mai visto il signor Noah Harper così felice.

Victoria, Jean e Giorgs erano già pronte per la premiazione con delle piccole coppe in mano e ad uno ad uno Jeorge chiamava i capitani delle squadre per sostenere un discorso.
In sottofondo avevano messo Jackie Chan di Tiësto, una delle nuove hits dell'estate:

She said she too young, don't want no man

So she gon' call her friends, now that's a plan

I just ordered sushi from Japan

Know your bitch wanna kick it, Jackie Chan

E piano piano vedevo i ragazzi arrivare, ritirare il premio, spendere due parole per la squadra, fare una foto e andare a festeggiare dai compagni.

Sarò onestà, non ero interessata al discorso di Noah, sapevo che quella bella avventura era giunta al termine e l'unica cosa di cui sentivo l'esigenza in quel momemto era andare a casa. Avevo raccolto tutti i referti che avevo consegnato a Malcolm ed ero andata a prendere lo zaino mentre salutavo Ana e gli altri, per poi dirigermi verso il porta biciclette. Purtroppo però, la vita non aveva ancora finito di prendermi in giro e sotto il canestro, in penombra che aveva appena finito il suo discorso, Noah che stava discutendo con il suo amico biondino, Nicolas, che aveva concorso nella categoria u18 arrivando al secondo posto.

Mi stava guardando, sentivo i suoi occhi addosso mentre slacciava la catena della bicicletta e il suo sguardo si alternava tra me e Nick cercando di non dare nell'occhio. Lo fissavo, continuavo a guardarlo indecisa se rimanere e aspettare di parlarci oppure andare a casa e lasciare che tutta questa storia si riducesse ad un bel sogno. Non era facile ma alla fine non avrebbe avuto senso provare ad attirare l'attenzione di una persona che non avrei più rivisto. Una volta tolta la bicicletta dal suo sopporto mi ero messa in sella e avevo iniziato a pedalare, ma senza mai guardarmi indietro.

Mi era solo venuta in mente una cosa:

"Ma noi non ci siamo mai nemmeno presentati..."

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