Capitolo 12

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Arslan si risvegliò in un letto morbidissimo, poggiava la testa su un cuscino farcito di piume. Decisamente il letto migliore su cui avesse mai dormito anche se non ricordava neppure di esservici disteso. La stanza in cui si trovava era immersa nella penombra, odorava di anice stellato e il tepore al suo interno era quasi soffocante. Scostò le pesanti coperte e fece per alzarsi ma il suo corpo non era della stessa idea. Una fitta al fianco lo indusse a stendersi di nuovo. Solo ora che era completamente sveglio si rese conto del dolore pulsante al cranio. La testa era fasciata ben stretta e sotto gli strati di garze poteva percepire il sottile filo metallico tenere insieme i lembi di pelle per evitare che lo squarcio si riaprisse. Aveva la vista annebbiata e i ricordi un po' confusi. Provò a parlare per chiamare qualcuno ma la sua gola era arida. Non potendo fra nulla aspettò, lottando con gli occhi che proprio non volevano saperne di rimanere aperti. L'attesa durò alcuni minuti poi sentì dei passi lungo un corridoio farsi sempre più vicini.
"Almeno le orecchie funzionano."
La porta si aprì lentamente con un leggero cigolio è una sagoma scura si infilò nella stanza. Voleva chiedergli chi fosse ma non poteva. Questa aprì di colpo gli scuri tendaggi e la luce del mattino inondò la camera accecando Arslan.
«Bene, sei sveglio, era ora.» Disse una voce calda ma preoccupata.
«Myria...» Riuscì a dire con un filo di voce.
«Calma, non sforzarti, su bevi un po' di questo. Almeno mi riconosci, ero così preoccupata per quella ferita.»
Qualsiasi cosa fosse quel liquido era davvero disgustoso, ma almeno ora, con la gola umida e la lingua sciolta, poté finalmente parlare.
«Sono a Rosvik? Che è successo? Gilford, gli altri, io...»
«Calmati ragazzo, qual è l'ultima cosa che ricordi?»
«Quegli esseri, sono entrati nella fortezza. Uno di loro mi ha colpito alla testa e... oh dei! Cos'ho al fianco? Fa un male cane.»
«Tranquillo, sono qui apposta per questo. Devo cambiare le fasciature e l'impacco di erbe. Ti aiuterà col dolore.»
«Hai notizie di Gilford? Come sono arrivato qui?»
Myria slegò con destrezza le garze attorno al torace di Arslan. Da una ciotola di legno che aveva appena aperto si levò un vapore caldo e puzzolente.
«No, nessuna notizia ma so per certo che sta bene, me l'ha detto Cabe. A proposito è a lui che devi questo regalino sul fianco.»
«Ahi!»
«Deve essere applicato caldo per fare effetto. Non fare il bambino.»
«È stato Cabe a portarmi qui?»
«Si, ti ha portato in groppa al tuo cavallo, erano entrambi esausti. Hanno cavalcato il più velocemente possibile, quando si sono presentati qui stavo per chiudere. Durante il tragitto purtroppo non è riuscito a trattenerti in sella e sei finito dritto su un tronco, avevi una costola rotta. Sei uscito vivo dalla fortezza ma hai rischiato di morire per venire qui. Ironico non trovi.»
«Pensavo che una costola rotta facesse più male.»
«Ho detto "avevi", adesso è come nuova ma il dolore rimarrà per un po' così come alla testa.»
«Sei stata tu a curarmi? Come hai fatto?»
«No, non sono mai stata brava in questo campo. Io ho solo ricucito il taglio sulla fronte, ho fatto del mio meglio anche se rimarrà una bella cicatrice. Ma le ragazze impazziscono per queste cose, non è vero?»
«Non ne ho idea. Chi è stato a guarirmi?»
«Ricordi quella ragazza che avete riportato qui l'altro giorno, voi ragazzi e Trevor», la sua voce tremò leggermente nel pronunciare il suo nome. «Si chiama Vera ed è una maga, ti ha rimesso a posto le ossa ma non aveva abbastanza energie per occuparsi della tua testa, perciò l'ho fatto io alla vecchia maniera.» Disse mostrando un finto ma tenero sorriso per celare la paura e il dolore.
«Lo dici con una tale naturalezza, come se una maga potesse trovarsi ogni giorno per strada con la stessa facilità con cui si calpesta la merda. Sono l'unico a essere all'oscuro di tutto? C'è altro che devo sapere?»
«Ahah, presto ci farai l'abitudine e non ti sembrerà tutto così estraneo, anche io ci sono passata. Ecco, con l'impacco ho finito, tra poco farò salire Marcus, ti aiuterà a prepararti e a scendere le scale. Ci sono altre cose di cui dobbiamo parlare e poi devi metterti subito in viaggio. Non possiamo perdere altro tempo.»
«Anche tu ci sei passata? Cosa vuol dire?»
«Beh, anche io sono una maga, o almeno lo ero un tempo. Un'altra vita. All'inizio sarà un po' difficile abituarsi, ma sta tranquillo, Arslan, vogliamo solo che tu sia sano e salvo.»
«Myria.»
«Si?»
«Mi dispiace per Trevor, ho cercato di...»
«Lo so, lo so. Non c'è nulla di cui tu debba scusarti.»
Uscì dalla stanza regalandogli un sorriso affettuoso, di quelli che una madre fa al proprio figlio, e lasciandolo immerso nei suoi mille dubbi. "Perché lei sa e conosce la situazione", ripensò alle parole di Gilford e a tutte le altre cose di cui era stato tenuto all'oscuro.
Le sue riflessioni furono interrotte da Marcus, il gigante dai capelli rossi irruppe nella stanza e aiutò Arslan ad alzarsi e vestirsi. Marcus aveva ben altri compiti al servizio di Madame Myria: era il suo tuttofare, si occupava delle riparazioni necessarie alla locanda, faceva visita ai clienti insolventi, il suo compito principale e gradito, però, era quello di gettare fuori l'immondizia qualora questa avesse osato alzare un dito su una delle ragazze. Non aiutò Arslan con la delicatezza di un'ancella e il dolore al fianco glielo fece notare.
Una volta sceso al piano di sotto fu pervaso dall'odore caldo e tipico delle locande, anche se l'atmosfera non era proprio delle più familiari. Fra i tavoli regnava il silenzio. Non c'erano clienti, per oggi le Tre Sirene era chiusa al pubblico. Un gruppetto di ragazze pranzava ai tavoli laterali e Cabe si tenne a debita distanza, al centro della sala, con accanto la spada di Arslan. Appena lo videro tutti posarono lo sguardo su di lui. Un misto di preoccupazione e curiosità. Cabe fu il primo ad alzarsi per venirgli incontro, cercando di scusarsi in tutti i modi possibili e conosciuti all'uomo.
«Si lo so, va tutto bene, non preoccuparti.»
Marcus lo fece accomodare, con tutta la grazia che gli era possibile, al tavolo con Cabe e andò in cucina per prendergli da mangiare.
«Grazie per avermi tenuto la spada», disse Arslan posandola di traverso sulle ginocchia. «Non ricordo nulla di ieri notte, cos'è successo dopo che sono stato colpito? Gilford e gli altri?»
«Gilford mi aveva detto di venire con te, di seguirti nelle segrete, e quando è scoppiato il putiferio urlavo il tuo nome a squarciagola, ma tu niente! Ti sei gettato a capofitto verso quel tizio incappucciato.»
«Taglia corto, Cabe.» Chiese Arslan avvertendo un po' di fastidio alla testa.
«Quando sei stato colpito per poco Gilford non ci rimaneva. Io intanto avevo già preso Macchia e ti ho tirato su, in sella. Il vecchio poi ha conficcato un'altra freccia nel petto di quel mostro. Urlava come un disperato, vorrei tanto sapere in cosa erano intinti quei dardi...»
«Cabe.»
«Si scusa, ho spinto Macchia al galoppo e sono arrivato qui prima che potevo. Non sapevo dove altro andare. Prima di uscire dai cancelli ho dato un'ultima occhiata e quel mostro stava scomparendo in una nuvola di fumo come gli altri. Gilford stava bene, poteva andare peggio tutto sommato. Non trovi?»
«Non so, Cabe. Durante il tragitto... per caso hai visto i...»
«Non saprei, era buio, non ci ho fatto caso. È un miracolo che non abbia fatto cadere Macchia... ah scusami ancora per la caduta. A proposito è stata lei a curarti, la ragazza che abbiamo trovato nella grotta. Pensa un po', è una maga. Credevo non ci fossero più, che fossero tutte cadute in disgrazia o perseguitate.» Cabe indicò una ragazza seduta al bancone che mangiava un piatto di minestra fumante, sfogliando distrattamente un libro. Non degnò loro nemmeno di uno sguardo.
Arslan impiegò qualche istante per riconoscerla. L'ultima volta che l'aveva vista era magra come un chiodo, sporca di terra e sangue incrostato dalla testa ai piedi, coi capelli arruffati e decisamente puzzolente. Adesso invece, sembrava un'altra ragazza, aveva ripreso peso e colorito, anche se la sua carnagione rimaneva molto chiara. I suoi capelli, spazzolati e curati, sembravano più lunghi e ondulati, neri con delle sfumature bronzee sulle punte.
Indossava abiti maschili ma non lesinava in eleganza. Gli stivali vellutati le arrivavano fino alle ginocchia, vi ricadevano dentro dei pantaloni di cuoio scuro i quali si persero in alto, nascosti da una giubba grigia, molto rifinita, stretta attorno alla vita da una cintura nera.
Arslan ricordò le parole che gli aveva detto qualche giorno prima, un attimo prima di addormentarsi di nuovo: "ce l'ho fatta, ci sono riuscita."
Non sapeva a cosa si riferisse. Decise di chiederglielo e anche di ringraziarla per averlo curato. Alzandosi, con l'aiuto di Cabe, si diresse verso il bancone. Non appena alzò lo sguardo su di lui, si accorse dei suoi occhi. Aveva visto altri occhi verdi in passato tra uomini e donne ma mai come i suoi. Grandi e tondeggianti, circondati da ombretto blu scuro. Erano di un verde intenso e rigoglioso, come quello delle chiome degli alberi al momento dello zenit. Magnetici, impossibile non guardarli. La cosa che colpì Arslan fu il suo sguardo: impassibile, impenetrabile, quasi distaccato da quel frangente.
«Posso aiutarti?» Chiese Vera in tono gelido.
«Volevo solo ringraziarti per avermi curato. Io sono Arslan, tu devi essere Vera, giusto?» Arslan porse la mano per presentarsi.
«Prego. Anche se è stato un inutile spreco di energie curarti per una banale caduta da cavallo.»
«Chiedo scusa per averti fatto affaticare, mia signora» Arslan allontanò la mano data la freddezza di Vera, che tornò a posare lo sguardo sul libro. «Sa, non ho mai pensato che salvarla, insieme alle altre ragazze, in quella grotta fosse un inutile spreco di energie.»
«Voi non avete salvato proprio nessuno. Non c'era alcun pericolo.»
«Durante il ritorno sono morte cinque persone per mano del mostro che probabilmente ha ucciso i banditi che vi avevano rapito, guarda caso a due passi dalla grotta in cui vi abbiamo trovate. Ma no, non c'era alcun pericolo naturalmente. »
«Io non sono stata rapita da nessuno...» disse lei con aria interrogativa, come se qualcosa non quadrasse. «Quando vi ha attaccati quel mostro? Che aspetto aveva? Dov'è adesso? Rispondi!»
«È morto. Proprio come i miei confratelli che ti hanno riportata qui, se ti interessa tanto.»
La testa pulsava ancora e il dolore non accennava a scemare, per cui si trattenne dal proseguire la discussione. Almeno fin quando i suoi occhi non si posarono sul libro che la maga stava leggendo. Non aveva ancora avuto modo di leggerlo ma lo riconobbe subito dalla copertina di pelle marrone sgualcita e dai legacci sciolti che lo tenevano chiuso.
«Credo che quel diario sia mio, maga. Ridammelo!»
«Che aspetto aveva e come lo avete ucciso?» Strepitò lei, ignorando l'ordine.
Spazientito, Arslan, con uno scatto fulmineo arraffò il diario dal bancone. Una fitta al fianco, puntuale, gli ricordò di non fare movimenti bruschi. Vera si alzò spostando rumorosamente la sedia e fronteggiò tutta impettita il giovane cavaliere, intesa a non cedere di un centimetro. Ora avevano tutti gli sguardi puntati su di loro e quando Marcus uscì dalla cucina assieme a Myria, l'atmosfera si fece ancora più calda.
«Cosa state combinando voi due? Avete entrambi bisogno di riposo, smettetela di comportarvi da bambini!» Lì rimproverò la padrona di casa, posando davanti ad Arslan un piatto fumante.
«Perché non mi hai detto che ne avevano affrontato uno? Mi hai tenuta qui con un altro di quei demoni in circolazione...»
«Non rivolgerti a me con quel tono, signorina. Mostra un po' di rispetto! Non è colpa mia se ne hai fatto scappare uno.»
«Non ne ho fatto scappare nessuno, li ho eliminati tutti e poi dovrebbero muoversi in gruppo.»
«Allora sarà stato un lupo solitario, che importanza ha. Hai tenta fretta di dimostrare quanto vali, che non ti accorgi di essere salita su un piedistallo troppo alto. Il punto è che sono morte delle persone, se non a me, mostra rispetto per loro.»
Con la testa bassa, seminascosta fra i capelli, Vera ingoiò il rimprovero e finì il suo pasto in una delle panche laterali, lontana da Arslan.
«Quando l'abbiamo portata qui, avevi detto di non conoscerla. Il modo in cui le parli, però, mi fa pensare il contrario.»
«Si, già la conoscevo anche se non la vedevo da un po'. Quando l'hai riportata qui, conciata com'era, non l'avevo riconosciuta. Vera de Vhil, viene dalla capitale, Isil. Nonostante la sua giovane età è dotata di un grande potere magico, alcune volte però, tende a strafare ed è anche un po' testarda e orgogliosa. Ti ricorda qualcuno per caso?»
Arslan strinse il diario a se, scrutando di traverso Madame Myria. «Cosaci fa qui una maga della capitale e perché è arrivata proprio adesso?»
«È stata inviata qui dal suo ordine per te, ma viste le circostanze è fondamentale che voi due andiate subito ad Isil.»
«Inviata per me. Cosa vuol dire?»
«Non so. Forse era già stabilito, magari riguardava il contenuto delle lettere di Gilford.»
«Non erano destinate a te quelle lettere?»
«Certo che no. Io sono solo un tramite.»
«A chi erano dirette allora? E quante ce ne sono state?»
«Molte, puoi immaginare a chi fossero indirizzate.»
«Chi?»
«Chi? Sveglia ragazzo! Ti ho detto che sono stata una maga in passato, secondo te smisto la posta al servizio del regno?»
Arslan si voltò per guardare di sfuggita la giovane maga dagli occhi verdi.
«Intendi il suo ordine. Hanno una specie di confraternita?»
«Esatto, proprio come la vostra combriccola di cavalieri.»
«E cosa voleva Gilford da loro?»
«La domanda giusta, Arslan, è cosa volesse l'ordine da Gilford, e cosa vuole invece da te. L'unico modo per trovare le risposte è andare da loro, ad Isil, con Vera. Quindi vedete di fare pace e andare d'accordo, ci vorrà qualche giorno di mare per raggiungere la capitale. Il sole è già alto, deve essere quasi mezzogiorno. Se partite subito arriverete a Biancaspuma all'imbrunire. Con un po' di fortuna incontrerete qualcuno che salperà verso Sud. Nel peggiore dei casi, vi darò del denaro così l'indomani potrete noleggiare una barca.»
«Pare che non abbia altra scelta.» Disse Arslan con aria poco entusiasta.
«Nessuno ce l'ha, Arslan. Nessuno »
Tornò al tavolo da Cabe e finì di mangiare in silenzio tenendosi stretto il diario e la spada. Vide Marcus uscire, avanti e indietro, con borse piene di provviste e coperte, mentre madame Myria seduta al tavolo con Vera, parlava con tono sommesso elargendo raccomandazioni, proprio come farebbe una madre con sua figlia prima di un lungo viaggio. Giurò di aver visto Vera sorriderle dolcemente, confutando per un momento, l'idea acida e spocchiosa che Arslan si era appena fatto di lei.
«Dov'è Macchia?»
«Proprio qui fuori a rifocillarsi con un po' di foraggio. Marcus ci accompagnerà fino a Biancaspuma, poi dovremo andare ad Isil da soli.»
«Vieni anche tu con noi?»
«Beh... Gilford mi aveva detto di venire con te, quindi.»
«Si, hai ragione.»

Le Cronache Di Elen  il guerriero di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora