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capitolo diciannove

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capitolo diciannove.

Guardo il soffitto, senza un apparente motivo che spieghi il mio stato d'animo attuale. Mi sento come se avessi il corpo bloccato in una turbina carica di emozioni ed è completamente in balia di esse. Devo essere forte mi ripeto, ma è più facile a dirsi che a farsi. Devo capire cosa sta succedendo. Qualcosa mi sta cambiando, come se dentro di me si fosse attivato un campanello d'allarme che mi stimola a trovare il nesso tra tutti i suoi comportamenti. Sembra strano come tutto questo stia accadendo proprio a me, a me che fino a qualche tempo fa pensavo che con Hero fosse tutto finito e che invece mi ritrovo a dover fare i conti con qualcosa di più grande di un'amicizia finita. Devo capire che cosa lo tormenta, che cosa lo rende così instabile da avere certi comportamenti ambigui e quasi... Spaventosi. Forse dovrei informarmi tramite i suoi genitori, ma sono quasi sicura del fatto che non mi direbbero nulla. Se Hero ha davvero qualche problema e i coniugi Tiffin ne sono a conoscenza, non sarà di certo facile estorcergli informazioni.

La sua famiglia è sempre stata elegante e sofisticata, ha cercato in ogni modo di non far parlare di sé e dei loro membri da quando si sono trasferiti a Perth. Sono rispettati e, soprattutto, rispettano gli altri. Anche per questo, rimangono delle persone molto riservate sugli affari di famiglia e su ciò che ne comprendono, perciò sicuramente cercheranno di deviarmi verso qualche altra strada o, semplicemente, mi diranno qualcosa per cercare di farmi arrivare alla soluzione finale da sola. Sbuffo frustrata, perché non è di questo che ho bisogno. In un mondo di menzogne, ho solo la necessità di essere estranea ad ogni dubbio e avere un quadro chiaro della situazione. Purtroppo sono sempre stata così fin da bambina, una perfettina e maniaca del controllo — Hero non ha mai smesso di prendermi in giro per i miei comportamenti a volte fin troppo compulsivi.

Estraggo il nuovo telefono dalla tasca dei pantaloni della tuta, notando un messaggio di mia madre dove mi avvisa del suo ritorno imminente a casa. Potrei chiedere qualcosa a lei. Con molta probabilità non sa nulla, ma se sapesse qualcosa, farebbe di tutto per non tradire la fiducia di Emily. Controllo altri vari messaggi nel gruppo della classe dove, come al solito, non dicono nulla di nuovo se non qualche stupido pettegolezzo su alcune ragazze della scuola. Come se fossero di vitale importanza. La cosa che riesce sempre a sorprendermi è la stupidità umana. Le persone fanno di tutto per dar aria alla bocca e immischiarsi nella vita degli altri, volendola trasformare in un inferno. Ci sono riusciti e ci riescono anche con me. Sarà perché io sono più debole di altri, ma ho intenzione di cambiare, voglio cercare di essere qualcosa in più che la semplice e ingenua Josephine Langford.

«Ci sei tesoro?» La voce di mia mamma che proviene dall'altra parte della porta mi fa sobbalzare. Esprimo un verso di affermazione e in qualche istante me la ritrovo in camera, munita delle sue immancabili calze color carne e della gonna aderente che le calza a pennello. Le sorrido dolcemente e lei ricambia, ma il suo sguardo muta notevolmente non appena incrocia bene il mio sguardo. «Tutto bene piccola?» domanda ancora, venendosi a sedere accanto a me. La guardo qualche istante negli occhi prima di scuotere la testa debolmente: non serve più annulla mentire. Il suo viso si addolcisce ulteriormente e lascia cadere le scarpe col tacco sul pavimento, emettendo un rumore sordo non appena si scontrano con il parquet. «Cosa succede? Vuoi parlarne?» chiede con tranquillità, sciogliendosi la coda per lasciar libera la sua chioma color miele.

Annuisco, prima di prendere un profondo respiro. «Mamma... Tu sai cos'ha Hero?» domando con la voce bassa, facendo sbarrare gli occhi alla donna che, sotto pressione, comincia a muoversi in modo nervoso. «Insomma, lo vedo che c'è qualcosa che non va, ma tutti sembra che vogliano lasciarmi in disparte... Perché io non posso sapere che cosa succede?» domando un po' accigliata, mentre lei emette solamente un sospiro triste. Nei suoi occhi non leggo altro se non una sorta di malessere che non riesco a decifrare.

Solo nell'istante in cui mi accorgo delle silenziose lacrime scendere dai suoi occhi mi rendo conto che la situazione è più grave di quanto immaginassi. Senza rendermene conto, comincio a sentire un dolore forte all'altezza del petto. Come se, tutto d'un tratto, avessi capito. Le stringo forte la mano nella speranza di riuscire a donarle il coraggio necessario per alzare il viso e guardarmi, per farmi capire realmente che cosa sta accadendo. So che, probabilmente, dopo averlo scoperto la mia vita subirà una grossa frenata... Mia madre non si commuoverebbe affatto se non fosse una cosa grave. E il mio cuore lo sente, sta male, proprio come lui.

«N—Non... Non vogliono tenerti allo scuro per farti un torto, piccola mia, ma solo per proteggerti. Ci sono cose che non so neanche io che sono un'adulta e ormai posso sopportare qualsiasi cosa...» mormora affranta, passandosi una mano tra i capelli chiari, scompigliandoli leggermente. Mi mordo il labbro inferiore, totalmente in balia della situazione che si è venuta a creare. Mi dirà cosa sta succedendo? E soprattutto, lei lo sa? «Ciò che posso dirti è che sono contenta che tu gli stia accanto, Josephine. Ne ha bisogno. Emily non mi ha voluto dire più di tanto, se non... — » Improvvisamente si blocca, lasciandosi andare in un pianto disperato e frenetico.

Nonostante questo, nonostante io vedo e percepisca il suo dolore, non sono in grado di fare niente. Rimango ferma a guardarla e a lasciare che si liberi di un peso che forse la sta distruggendo. Non ho mai visto mia madre in queste condizioni, non ho mai dovuto consolarla, perciò non so che cosa fare. Mi sento male per lei, per Emily, per Hero, per qualsiasi dannata cosa stia succedendo. Riesco solo a stringerle più forte la mano e a tirare su col naso, conscia del fatto che tra non molto sarò proprio io a disperarmi tra le sue braccia. Ma lei, a differenza mia, riuscirà a consolarmi. «C—Che cosa ti ha detto, mamma?» domando con un filo di voce, costringendola ad alzare gli occhi verso di me. Rossi e cupi.

Sembra passare un'infinità di tempo prima che le sue labbra si schiudano, facendoci finire sopra alcune piccole lacrime. Mi stringe la mano, come per farmi forza. «Lui... È malato, Josephine...» mormora a bassa voce, e succede tutto così in fretta. Sento come se la mia anima stesse abbandonando il mio corpo. Come se mi svuotasse interamente di tutto quello che tengo dentro di me. Come se non avessi più niente. «Non ha una malattia, da quello che so, ma è una cosa psicologica... Non sta bene, non sta bene per niente...» annuncia ancora sotto voce, come se stesse cercando di addolcire la pillola amara che sono costretta a mandar giù.

Annuisco, gli occhi fissi sul pavimento, le mani che tremano, il cuore che scalpita. Qualcosa mi diceva che non stava bene, che non andava tutto nella direzione giusta... E ora ne ho la conferma. Rimango lì, a piangere in silenzio anche quando mia madre se ne a lasciandomi sola per farmi realizzare la cosa, con il solo rumore dei singhiozzi a farmi compagnia.

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